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"Brindisi: tra le ombre della verità", di Claudia Fusani

Fra tanti allarmi manca ancora una verità. Controlli a tappeto e perquisizioni. «Ma non c’è nessun sospettato»
Interrogati per ore due fratelli residenti nella zona vicino
la scuola. Sono stati poi rilasciati in serata: non c’entrano con l’ordigno. Se le indagini fossero il disegno di un puzzle, possiamo dire che i pezzi ci sono tutti ma che il lavoro da fare per trovare gli incastri giusti è ancora molto lungo. Complesso. E la figura narrata ancora molto sbiadita. Almeno tanto quanto quella dell’uomo con il telecomando.
Che è stata restituita dalla memoria delle due telecamere del chiosco “Il panino dei desideri”. Che ieri polizia scientifica e Ris dei carabinieri sono andati a cercare anche tra i volti delle migliaia che hanno affollato la chiesa e la piazza di Mesagne durante i funerali di Melissa. Microtelecamere hanno filmato decine e decine di volti di uomini di mezza età somiglianti all’immagine diffusa ieri da tv e giornali. L’attentatore potrebbe anche essere andato ai funerali. Ipotesi da non scartare. Compatibile con il profilo psicologico di uno che arma un ordigno come quello esploso davanti alla scuola “Morvillo Falcone” e si ferma quel tanto che basta per vederne gli effetti.
In tre giorni i duecento investigatori specializzati di Ros dei carabinieri e Sco della polizia spediti a Brindisi da Roma hanno sentito a verbale 162 persone, numero fissato alle cinque di ieri pomeriggio e destinato a crescere ora dopo ora. Qualcuna di queste è stata, almeno per qualche ora, più sospettata di altre. Ma nessuna di queste risulta al momento indagata nonostante gli allarmi e le voci che si rincorrono da giorni. «Non abbiamo il fiato sul collo di nessuno» taglia corto un inquirente alla fine di un’altra giornata frenetica, piena di notizie farlocche. Che ha raffreddato gli entusiasmi e riporta le pedine di questa indagine alla casella di partenza. Anche nella forma visto che il fascicolo, sempre contro ignoti cioè senza nomi di indagati, torna sulla scrivania del procuratore antimadia di Lecce Cataldo Motta, lascia l’ufficio del procuratore di Brindisi Marco Dinapoli che però applica il sostituto antimafia Milto De Nozza. «Allo stato non è possibile escludere alcuna ipotesi» dice il ministro della Giustizia Paola Severino che racconta, dopo il vertice in prefettura, «di una magistratura unita che lavora di comune accordo». «Faremo il focus sulla criminalità nella tre province pugliesi più a rischio crimine organizzato, Brindisi, Lecce e Taranto» assicura il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. Tutto. E nulla. Schema classico quando le indagini non stringono sul risultato sperato.
UN’IMMAGINE SBIADITA
L’elemento più forte al momento nelle mani degli investigatori è e resta l’immagine dell’attentatore ripresa dalle telecamere del Chiosco che dista venti metri dalla scuola. «Siamo stati fortunati a trovare quell’immagine» spiega un investigatore, «ma anche sfortunati perché quelle immagini, tre quelle utili, non sono di buona qualità. Dicono ma non a sufficienza per vedere in faccia chi ha premuto il telecomando che ha fatto esplodere le tre bombole del gas». La tecnologia è al lavoro. Ma anche lavorando di pixel e cercando di riempire i vuoti, «possiamo arrivare al 55 per cento dell’immagine». Adesso è al 50 per cento. Non c’è un volto. C’è una persona. Un uomo di circa 55 anni, alto più o meno un metro e 65, caratteri europei, giacca blu, camicia chiara, pantaloni chiari, scarpe sportive con suola chiara. Tiene la mano destra in tasca e usa solo la sinistra. Ha una menomazione? «Possibile, ma non ne siamo sicuri». Da ieri mattina quell’immagine è sulle locandine di tutti i giornali locali e sulle porte dei bar, la gente cammina lungo Corso Roma, si ferma, osserva, punta il dito e comincia a ricordare. «Ci arrivano decine di segnalazioni, chiamano il poliziotto o il carabiniere amico, stiamo valutando tutto».
In questo «tutto» c’è anche l’ipotesi sempre più forte che l’attentatore non abbia agito da solo. E ci sono due casi più clamorosi degli altri. Il primo riguarda un sottufficiale dell’Aeronautica, espulso anni fa per un’indagine sull’immigrazione clandestina, esperto di circuiti elettrici ed esplosivi, parente di persone che hanno un commercio di bombole del gas. «Non solo – racconta un investigatore quando siamo arrivati in casa sua aveva sul tavolo un ritaglio di giornale del 2004 relativo alla scuola “Morvillo Falcone”». L’uomo ha un alibi di ferro. Già verificato e riscontrato.
Il secondo caso ha tenuto in scacco matto l’informazione per tutta la giornata di ieri. Riguarda due fratelli, uno dei quali leggermente claudicante dalla parte destra del corpo e residente a 200 metri dalla scuola, entrambi somiglianti con l’uomo del telecomando. Li hanno portati in questura dove un gruppo di giovani ha anche assalito un’auto civetta pensando ci fopsse dentro l’attentatore. Lungo interrogatorio. Rilasciati con tante scuse in serata. Quando si diffonde un altro allarme. Dalla questura la solita risposta: «Accertamenti di routine». Tra le persone sentite, due studentesse della scuola hanno riconosciuto nelle immagini «un uomo che in settimana ha sostato a lungo nei giardini davanti alla scuola». Ci sono immagini. Ci sono impronte e Dna ricavate dai mozziconi di sigaretta lasciati intorno al chiosco. Elementi utili per fare un confronto quando ci sarà un sospettato. Certo, riflette un inquirente, «più il tempo passa e più si concretizza l’ipotesi che possa non essere di Brindisi». Gli investigatori sono al lavoro. Con un ausilio inedito. Il boss della Sacra Corona Raffaele Brandi lunedì ha avvicinato il caposcorta di un pm e gli ha promesso: «Se li troviamo ce li mangiamo».

l’Unità 22.5.12

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“L’orrore e gli errori” di Giovanni Pellegrino

Le stragi sono lo strumento più raffinato di terrore, quando colpiscono un obiettivo indiscriminato: la clientela di una banca, un’assemblea democratica riunita in una piazza, il microcosmo che si costituisce in un vagone ferroviario o nella carlinga di un aereo, la folla festosa, che in una stazione attende di partire per le ferie.
Ciascun membro della comunità si sente esposto al rischio di essere vittima di un prossimo attentato. Nell’esperienza italiana degli anni di piombo a ciò si aggiungeva la mancanza di rivendicazioni: le stragi restavano misteriose, perché tali si voleva che fossero, lasciandone inconoscibili i fini. L’evento brindisino ha avuto questi caratteri per la natura del suo obiettivo: un gruppo di studentesse, che scendeva da una autobus recandosi a scuola. Ciò ha determinato una ovvia reazione di dolore, sdegno ed angoscia, cui si aggiunge nell’immediatezza dell’evento la difficoltà di inquadrarlo in una sia pur generica matrice.
L’essere la scuola intitolata ad uno dei magistrati uccisi a Capaci e il suo situarsi in un contesto cittadino interessato nello stesso giorno da una manifestazione in favore della legalità spingono a prospettare una origine mafiosa dell’attentato, ipotesi, con cui stridono però la natura dell’ordigno e la difficoltà di individuare una credibile strategia della cosca, in cui l’attentato possa logicamente inserirsi.
È pur vero che nei primi anni novanta la mafia dei corleonesi si spinse a compiere stragi con obiettivi indiscriminati in una logica di innalzamento dello scontro militare con lo Stato. Ma i bersagli furono non a caso individuati in Roma, Milano e Firenze e cioè in luoghi lontani da quelli tradizionali dell’insediamento mafioso. Una cosca non può infatti avere credibile interesse ad attirare sul proprio territorio la pressione degli organi di polizia, per la banale ragione che ciò nuoce allo svolgimento dei suoi affari.
D’altro lato il luogo in cui è stato collocato l’ordigno, spinge ad escludere anche che si sia in presenza del non voluto effetto collaterale di un attentato di tipo estorsivo.
Difficile appare anche ipotizzare di essere in presenza di un atto attribuibile ad un terrorismo di matrice ideologica o politica. Si tratterebbe infatti di un atto di propaganda armata, che necessita di un target determinato come nel recente attentato genovese, che non a caso è stato credibilmente rivendicato. Attentati terroristici che colpiscono obiettivi indiscriminati, quale una scolaresca, hanno senso in fenomeni di terrorismo irredentista (Eta, Ira, Olp), che in Italia non hanno ragion d’essere. Più opportuno, almeno allo stato delle acquisizioni, risulta riflettere come nella contemporaneità scuole e scolaresche siano state spesso bersagli di azioni stragiste da parte di attentatori isolati o da gruppi estremamente esigui (ma non per questo meno pericolosi) di esaltati. I primi riscontri indagativi sembrerebbero confermare la validità della ipotesi, evidenziando come all’indubbia preparazione dimostrata nell’approntamento dell’ordigno si sia accompagnata la colossale imprudenza di un attentatore, che si espone all’occhio vigile di una pluralità di telecamere di sicurezza.
È prevedibile e auspicabile che tutto ciò sia confermato da una rapida individuazione dell’autore dell’attentato e di un possibile numero ridottissimo di complici. Se ciò non avvenisse, l’aver reso noto che si era in possesso di immagini dell’attentatore in azione si rivelerebbe una clamorosa imprudenza indagativa.
Certo è che il contrasto che si è acceso su questo punto tra Procura ordinaria e Procura distrettuale antimafia rende incomprensibili le ragioni, per cui ci si attardi nell’estendere la competenza della Procura nazionale antimafia e delle Dda ad una più ampia gamma di reati.

l’Unità 22.05.12