attualità, politica italiana

"Il problema è che Silvio c’è (ancora)", di Michele Prospero

Il voto di maggio consegna una destra sull’orlo di una devastante crisi di nervi. Manca agli sbigottiti orfani di Berlusconi una qualche testa politica in grado di disegnare un percorso non effimero per non perire in maniera fulminea tra le macerie di un partito carismatico che non c’è più. Esplodono perciò virulente tensioni tra i tanti luogotenenti ambiziosi e rissosi che non esitano a dare uno sfogo pubblico alle reciproche invidie per una loro possibile ascesa di grado. Troppi aspiranti ai galloni del comando si rivelano del tutto inadeguati per afferrare ciò che ancora resta di una forza a lungo egemone e sfidare così il destino che la conduce al più mesto crepuscolo.
Non si vedono in giro riflessioni di una qualche consistenza analitica in grado di dare senso alle operazioni necessarie alla elaborazione della più efficace prospettiva politica da seguire. Affiorano solo ciechi e impolitici risentimenti. Ci sono troppi veti astiosi tra i signorotti del Pdl che paralizzano un appannato movimento personale che non ha mai pensato sul serio a come diventare un partito normale. La politica è la grande assente nella crisi di coscienza che tormenta la destra. È certo proibitivo transitare da uno strisciante servilismo verso il capo assoluto, che altro non esigeva dai suoi sottoposti che una venerazione conformista, a un’esplicita dialettica politica che procede alla luce del sole e senza inutili infingimenti.
Come pretendere però un grande disegno politico da una forza dell’antipolitica che nei congressi intonava l’insulso motivetto «meno male che Silvio c’è»? Per questo il problema più grosso della destra in cerca di futuro è proprio Berlusconi. Ormai il Cavaliere ha le sembianze inquietanti di un inquilino scomodo che occorre allontanare al più presto. Ma il passato ingombrante divora il sogno flebile di un futuro. Il guaio è che tra i manager di famiglia, la pattuglia di nominati, gli ex missini d’assalto, proprio nessuno ha il fegato politico per rivelare al Cavaliere una buona volta che ormai è politicamente usurato e quindi deve sloggiare.
Nessuno dei capi che ancora l’attorniano, scrutandolo sempre con modi molto ossequiosi, ha la forza autentica per intimargli l’ordine di accomodarsi perché la sua presenza appare come un palese ostacolo a una qualsiasi strategia di uscita dall’incantesimo personale-carismatico ormai estinto. Il successo di Grillo e i sondaggi amplificati dai media compiacenti anzi complicano di molto le operazioni tecniche da avviare per spersonalizzare la destra, rimuovendo il corpo mistico del capo padrone. Chi osa sfidarlo per avviare la costruzione di una destra politica che non sia più una succursale aziendale si imbatte in un Cavaliere ringalluzzito che pensa di utilizzare il comico genovese come uno splendido guastatore, il cui servizio è da inserire in una astuta prospettiva di rivoluzione passiva. Ovvero: al comico dall’imprecazione facile il mandato di abbattere senza alcuna pietà i partiti con le sue metafore mortifere che piacciono così tanto ai media di regime che all’unisono suonano il piffero ai novelli avanguardisti che promettono una piazza pulita dai partiti.
Berlusconi in mente altro non ha che la rediviva scorciatoia carismatica coltivata con i soliti ritrovati di uno stantio populismo. Egli pensa di cavalcare con consumata leggerezza l’ennesima onda antipolitica che gli scaltri persuasori palesi dei media e delle potenze economiche miopi gli regalano generosamente. Diffondere porzioni gigantesche di antipolitica in ogni momento, in ogni trasmissione politica o di intrattenimento o satirica, serve soltanto per resettare il quadro politico esistente e confondere a lungo colpe e meriti in modo tale da agevolare la ricomparsa di un altro uomo nuovo pronto a commissariare la stanca repubblica. Per una abilità diabolica che sempre connota le classi dominanti (Rousseau ha descritto in maniera magistrale il fenomeno), i ceti privilegiati trovano sempre il modo di far lavorare per il loro vantaggio proprio i soggetti che avranno di sicuro la peggio dal loro trionfo.
Il guaio è che una destra dal formato normale, che trovi cioè la via di una politica organizzata che si proietti oltre il comando irresistibile assicurato dal monopolio di media e denaro, rientra tra gli interessi generali del sistema politico. L’impressione è però che l’Italia continuerà ancora a lungo a convivere con un sistema senza una destra politica. Lo spettro di caldi sogni carismatici agiterà i sogni di una destra incapace di riconciliarsi con la politica e di occupare con responsabilità uno spazio nel fisiologico gioco della alternanza. Di figli di carattere disposti a sbarazzarsi del padre padrone per salvare una ipotesi politica non se vedono proprio nei palazzi surriscaldati della destra appassita.

l’Unità 24.05.12