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"Gli statali vengono già licenziati. Le norme ci sono" di Massimo Franchi

Licenziare i dipendenti pubblici, naturalmente fannulloni, era il sogno di Renato Brunetta. Passato Berlusconi, giovedì il fuoco alla miccia l’ha riacceso il ministro sbagliato, Elsa Fornero, colei che non ha competenze sui lavoratori della Pubblica amministrazione. Ma sia Brunetta che Fornero non sanno, o fanno finta di ignorare, che licenziare dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato in Italia è possibile. Di più. Accade a centinaia di persone. Stime precise sono quasi impossibili. I più esperti in materia parlano di circa duecento licenziamenti negli ultimi cinque anni. Persone che hanno perso cause giudiziarie, spesso come tali diventate eclatanti. L’unico dato preciso e certificato è fornito direttamente dalla Ragioneria generale dello Stato. E riguarda i cosiddetti “cessati”, lavoratori che hanno lasciato la Pubblica amministrazione, al netto di chi si è dimesso. Ebbene, il Conto annuale del 2010 alla voce “Altre cause” ne conta ben 39.458 nell’intero settore pubblico (scuola, università, forze armate ed enti di ricerca inclusi) di cui 16.811 nella Pubblica amministrazione strettamente intesa. Si tratta dunque della cosiddetta mobilità in uscita. Quella che smentisce la supposta inamovibilità dei dipendenti pubblici in Italia. Numeri che portano il segretario generale della Funzione pubblica Cgil Rossana Dettori ad attaccare pesantemente Elsa Fornero: «Le sue parole mi hanno lasciato senza parole, mi chiedo se sa di che cosa parla, stiamo discutendo di un qualcosa che non ha né capo né coda ». E spiega: «Già nell’ultimo contratto nazionale firmato nel 2009 erano state fortemente inasprite le pene e le tipologie che danno ai dirigenti il potere di sanzionare i lavoratori con provvedimenti che vanno dal richiamo verbale, alla sospensione, che in caso di reiterazione portano al licenziamento». La fattispecie più citata è sempre quella: «Un lavoratore che timbra il cartellino e intanto va a fare la spesa commette una truffa nei confronti dello Stato e il licenziamento è previsto e sacrosanto». Naturalmente però «come avviene nel settore privato, sta alla Pubblica amministrazione l’onere di provare la fattispecie del comportamento». La bilancia rispetto ai dipendenti privati infatti non è sempre a favore dei pubblici: «Ad esempio per chi è stato licenziato ingiustamente non c’è il reintegro, ma il giudice stabilisce una ri-stabilizzazione nel posto precedente e non è nemmeno previsto alcun indennizzo». Il tutto senza dimenticare che spesso le fattispecie sono molto delicate: «Basta pensare ad un chirurgo che sbaglia ad operare, nel settore pubblico ci sono mansioni in cui sbagliare può avere conseguenze cruciali ».
PROTOCOLLO ESTENDE LA MOBILITÀ Nelle ultime settimane però le cose sono ulteriormente cambiate. Il 3 maggio i sindacati confederali e il ministro Filippo Patroni Griffi hanno sottoscritto un Protocollo che «aumenta le pene in caso di licenziamento disciplinare con fattispecie molto più pesanti dei contratti privati » e di fatto estende la mobilità in uscita nella Pubblica amministrazione. «Nel protocollo – continua Rossana Dettori – si prevede che, vista la crisi economica fortissima, nel caso di difficoltà insormontabili per un’azienda sanitaria o un ente locale, si preveda un meccanismo di mobilità. I lavoratori sono considerati esuberi e per due anni percepiscono l’80 per cento dello stipendio. In questo periodo possono essere ricollocati in un’altra amministrazione. Se rifiutano o al termine dei 24 mesi non ci sono possibilità di ricollocarli verranno licenziati ». Proprio su questo tema ieri è intervenuta direttamente Susanna Camusso. «Nonostante i ripetuti annunci, l’intesa raggiunta tra sindacati, governo ed enti locali – attacca il segretario generale della Cgil – non è ancora stata varata dal Consiglio dei ministri: sarebbe grave se il governo non procedesse rapidamente ad adempiere ai suoi compiti e magari subisse le pressioni di qualche politico contro quell’intesa, altrimenti «entrerebbe in gioco la credibilità dell’operato del governo». Chi invece contesta la firma del protocollo è l’Usb. «Noi – spiega Licia Pera, dell’esecutivo nazionale – continueremo ad opporci con determinazione a questo progetto e inoltre confermiamo la mobilitazione dei lavoratori pubblici prevista per l’8 giugno prossimo»

l’Unità 26.05.12

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