attualità, politica italiana

"Ma quel sistema non assicura neanche la «governabilità»", di Michele Prospero

Non si può parlare di presidenzialismo, vale a dire di una organizzazione del potere del tutto difforme da quella ora vigente in Italia e in gran parte delle democrazie europee, in una maniera solo propagandistica, e cioè senza alcun riguardo alla complessità anche tecnica di un problema che ha profonde implicazioni storiche e politiche. Il passaggio da una forma di governo parlamentare flessibile a un regime di tipo presidenziale non solo non avviene mai a freddo, e senza scosse traumatiche nella vita di una nazione, ma contiene una tale potenza simbolica da mutare alla radice la mappa delle culture istituzionali e la geografia dei partiti.
La carta che Berlusconi ha deciso di giocare è solo una trovata disperata di chi sa comunque di stendere cortine fumogene e poi ignora persino i termini istituzionali più essenziali della questione. In fondo la sua è una ennesima prova di carenza di ogni senso dello Stato. Dichiara infatti il Cavaliere che a indurlo sul carro della scelta presidenziale è stato lo spettacolo recente vissuto dalla Francia. In gran fretta Parigi ha sciolto l’enigma della governabilità e un capo di Stato, appena insediato, già gira per il mondo, con a supporto un nuovo esecutivo da lui gradito. Ma forse Berlusconi non sa che, dopo l’investitura dell’inquilino dell’Eliseo, per avere un governo di legislatura, che operi nelle sue piene funzioni, si deve ancora aspettare l’esito del voto a doppio turno previsto a giugno per esprimere la nuova Assemblea nazionale.
Se anche alla Camera la gauche si aggiudicherà la maggioranza dei seggi, Hollande si troverà al comando di una repubblica iperpresidenziale, con un capo monocratico che si ritrova in mano vasti poteri discrezionali (e senza i limiti di efficaci bilanciamenti come quelli previsti a favore del Congresso americano) che il titolare della Casa Bianca neppure si sogna. Dalle urne potrebbe però anche scaturire, e in Francia è già accaduto altre volte, una maggioranza di destra, cioè con un colore diverso da quello che ha condotto alla presidenza il socialista Hollande.
Una tale eventualità metterebbe in seri guai l’Eliseo. Gli ingranaggi dei poteri salterebbero e comunque verrebbero sfidati da una paralizzante coabitazione con un primo ministro di destra. Questo effetto perverso della condanna periodica alla coabitazione dei due presidenti che non si amano è peraltro solo uno dei tanti buchi neri della Quinta Repubblica (altri ne esistono, anche dopo le riforme costituzionali del 2008, in rapporto alle flebili attribuzioni del Parlamento, al potere di scioglimento dell’assemblea, alla facoltà di indire referendum e dichiarare l’emergenza).
Per gli indubbi momenti di intrinseca debolezza contenuti nei dispositivi tecnici francesi, l’ubriacatura per il presidenzialismo, che senza alcuna approfondita analisi si getta nella mischia spacciandola come soluzione miracolosa, è solo un ulteriore indizio di una destra inaffidabile che gioca alla cieca anche con il congegno costituzionale.
Il salto nel buio di ordine costituzionale proposto da Berlusconi non è un’efficace terapia al malessere della politica. Peraltro non può in alcun modo trovare un appiglio con un preteso presidenzialismo di fatto già imposto da Napolitano e che si tratterebbe solo di mettere in forma. Questa inferenza, che anche taluni storici a digiuno di costituzionalismo hanno con troppa fretta accreditato, è semplicemente falsa.
Il Quirinale ha solo garantito la tenuta delle istituzioni parlamentari in momenti drammatici conservando la natura di potere neutro e senza in alcun modo aprire il cantiere che conduce al presidenzialismo.
Oltre che improvvisata, la sortita di Berlusconi intende di nuovo cavalcare l’onda anomala della personalizzazione del potere, che purtroppo ancora non si è placata. Il disegno è sempre quello di passare dal partito personale alla repubblica personale. Una sciagura storica che potrebbe scatenare una grave involuzione sistemica.
La crisi profonda della politica non ha per rimedi la vana ricerca di presunti uomini della provvidenza. La strada che il Pd ha indicato è per questo molto diversa da quella tardo carismatica e recupera il meglio della riflessione che su questi temi ha visto impegnata l’intelligenza giuridica di Leopoldo Elia.
Occorre ricostruire una solida democrazia rappresentativa, con un Parlamento forte, con un ricco tessuto pluralistico, con sfere di società civile e con partiti di nuovo organizzati. Tutto il resto è solo confusione, alimentata a disegno da chi insegue la chimera di un nuovo potere personale assoluto.

l’Unità 26.05.12

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“L’incubo ricorrente della Seconda Repubblica”, di Francesco Cundari

L’idea di usare una proposta di riforma dell’intera architettura costituzionale come diversivo, al solo scopo di non parlare più della scomparsa del Pdl sancita dalle elezioni amministrative, la dice già abbastanza lunga sulla cultura istituzionale e sul senso dello Stato degli aspiranti padri costituenti (casomai non bastassero le testimonianze provenienti dal tribunale che si sta occupando della ex nipote di Mubarak). Non può stupire, pertanto, che le reazioni alla conferenza stampa di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano si siano fermate a questo primo, superficiale aspetto della questione: il suo carattere apertamente strumentale.
C’è tuttavia anche nel merito della proposta, presidenzialismo e doppio turno sul modello della Francia (che non è una repubblica presidenziale, bensì semipresidenziale, ma evidentemente non c’è stato tempo per studiare i dettagli), qualcosa che turba come un brutto ricordo tornato improvvisamente alla memoria, come il trauma di fondo di questo ventennio, rimosso negli ultimi mesi di governo tecnico e mai elaborato, e proprio per questo destinato a riemergere alle prime difficoltà. Parafrasando l’entusiastico commento di Maurizio Gasparri, si potrebbe dire che l’approvazione della proposta Berlusconi-Alfano sul presidenzialismo rappresenterebbe il coronamento di un incubo.
Al fondo, infatti, l’obiettivo è sempre lo stesso: la nostra Costituzione, i suoi principi cardine, il suo spirito, l’idea stessa di democrazia parlamentare concepita dai costituenti. I tanti che in questi vent’anni hanno condotto una simile offensiva, da destra e da sinistra, in forme ora esplicite ora camuffate, dovrebbero riflettere sulle loro stesse parole, sulle loro analisi e previsioni, sulle ricette che hanno consigliato, adottato e visto alla prova. Non è passato poi molto tempo dall’ultimo, assordante coro di elogi per la nuova stagione aperta dalle elezioni, quelle del 2008, che videro il trionfo del Cavaliere. Gli ingredienti, del resto, c’erano tutti: una legge elettorale dotata di un robustissimo premio di maggioranza, con parlamentari di fatto nominati dal leader; un premier dotato di risorse extra-politiche, economiche e mediatiche pressoché illimitate; un parlamento di fatto in suo totale controllo.
E oggi, dopo che quello stesso leader ci ha portati sull’orlo della bancarotta, e c’è voluto il rischio della bancarotta per mandarlo via, eccolo ripresentarsi sulla scena a invocare maggiori poteri e una più forte legittimazione per il capo dell’esecutivo (perché questo è il meccanismo che ha in mente il Pdl, al di là delle chiacchiere). E invece la lezione della crisi da cui ancora non siamo usciti ci dice proprio il contrario: che non è finendo di scassare il sistema con ulteriori torsioni presidenzialiste che ci salveremo. Non è aumentando ogni volta le dosi del veleno che lo trasformeremo in medicina. È tempo di cambiare strada.

l’Unità 26.05.12