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Gli sfollati: "Dormiamo ancora in auto: stare in casa fa troppa paura" di Paolo Colonnello

Venti scosse in una notte, una cinquantina in media al giorno, non sono il semplice seguito di un sisma, ma un terremoto dell’anima. I cui effetti sono ben più profondi e permanenti dei sussulti che hanno solo parzialmente devastato la zona dell’epicentro, le cui case, dall’altro ieri, sono state dichiarate agibili al 98 per cento. Perché «ogni torre o campanile crollato modifica la geografia di questi luoghi millenari e di conseguenza anche la geografia dei riferimenti e dei sentimenti delle persone», racconta Antonella, una delle assistenti sociali di Sant’Agostino e Cento che in questi giorni, insieme con le equipe degli psicologi della Croce Rossa, stanno seguendo i grandi e piccoli drammi di una popolazione fiaccata da uno «sciame sismico» che, pur decrescente, continua a riservare sgradite sorprese, soprattutto notturne.

Ecco allora la famiglia di marocchini che mercoledì è ripartita per il proprio paese con un volo last minute trovato dall’equipe che li assisteva o quella con il nonno in carrozzella che tutti i giorni tira a sorte per chi deve entrare in casa a prendere il cambio di vestiti.

Come sempre, sono i poveri a pagare di più, gli immigrati sopratutto, che lavorano nelle campagne o nelle fabbriche, tutti regolari e con famiglia, con gli appartamenti nelle case più vecchie e pericolose e senza parenti che possano offrire loro altre abitazioni. Affollano i campi di accoglienza, dove ogni tanto scoppiano risse tra extracomunitari residenti e quelli che arrivano da altri paesi senza tendopoli. «Io stessa continua Antonella – lavoro e mi sento terremotata. Tanto per dire: la nostra sede, che era nel castello di Poggio Renatico, è attualmente sepolta dalle macerie. Il problema è che anche chi si era convinto a fare ritorno a casa, con queste scosse preferisce tornare in piazza o nei centri di raccolta… Si vive alla giornata, cercando di non farsi gestire dalle scosse, di mantenere uno stile di vita. Lo sappiamo che sono scosse di assestamento, ma dobbiamo ripetercelo in continuazione nella testa per non decidere di scappare via, lontano da qui».

È una consolazione che qualche intervento economico da parte dello Stato e soprattutto la solidarietà di molti cittadini anonimi abbiano iniziato a portare qualche aiuto alle zone terremotate perché intanto, tra capannoni crollati e stalle rase al suolo, si calcola che siano diventati quasi 10 mila le persone a rimanere senza lavoro. Così le macchine sono tornate ad essere il vero «bene rifugio» di queste parti, perché dopo i temporali e il freddo dei giorni scorsi adesso è scoppiato il caldo soffocante e afoso della Bassa e vivere nelle tende in promisquità per molti è peggio che svegliarsi anchilosati con il cambio di un’auto nel costato.

Gli «sfollati» secondo la Protezione Civile, sono 5.142: un numero variabile che non tiene conto dei tanti che si accampano nel giardinetto di casa o usano l’auto per dormire. E non importa se ieri, dopo accurate verifiche, è stata ulteriormente ridotta per dimensioni la «zona rossa» di Finale, epicentro delle ultime scosse, lasciando liberi molti abitanti del centro storico di fare ritorno nelle proprie abitazioni.

Il terremoto fa ancora paura, nonostante i tecnici e gli esperti di geofisica ritengano che il comportamento dello «sciame sismico», con picchi improvvisi intorno a magnitudo 4, sia assolutamente nella norma. Sta succedendo una cosa che nessun sismografo potrebbe rilevare: il terremoto si è insinuato nella testa delle persone, ha inciso la loro memoria e nessuno si sente più al sicuro.

Ci sono bambini, raccontano le assistenti sociali, che non dormono la notte: uno di loro, a Finale, domenica scorsa ha visto la cameretta invasa dalla polvere delle macerie della torre dell’orologio e da quel giorno ha smesso di parlare. Gli anziani in alcuni casi reagiscono meglio, mettendo in campo la saggezza: «Quando è arrivata la scossa di mercoledì sera ero a letto e lì sono restato», racconta Gianni Superbi, 74 anni, di Finale Emilia, mentre tiene saldamente il manubrio della sua bicicletta. «Sembrava fosse esplosa una bomba però ho pensato: se devo morire, meglio nel mio letto. Poi al mattino prendo la bici e vado in giro. Faccio così da quattro giorni, vado a vedere se ci sono nuovi crolli e ogni volta è un tuffo al cuore, la pelle d’oca, viene la nausea dall’ansia che mi prende». Parla di disturbo da adattamento e da stress acuto, lo psicologo e psicoterapeuta Alessandro Costantini. «Il terremoto diventa un detonatore, un innesco pericoloso di emozioni e sentimenti che abbassano la guardia e rischiano di esondare, mettendo a dura prova l’equilibrio psicologico individuale. I tempi di recupero saranno diversi a seconda degli individui ma per alcuni l’anima avrà una ferita più profonda e richiederà maggiori cure». Un rimedio? «Stare insieme agli altri, a chi vogliamo bene, agli amici per un processo di elaborazione. Più ne parliamo più depotenziamo l’influsso negativo dell’evento». Generosità, condivisione: sono queste la parole chiave di ogni tragedia: l’altra faccia, quella positiva, del terremoto.

La Stampa 27.05.12