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"Bersani e la sfida di un PD aperto: le alleanze dopo",di Maria Zegarelli

La parola d’ordine sarà aprirsi. Ai movimenti, alla società civile, alle associazioni, a chi ha voglia di rinnovamento ma non vuole chiudersi nella formula di un partito, a chi ha votato Movimento 5 Stelle perché disamorato da tutto il resto, a chi prima votava Pdl perché moderato e poi ha smesso perché ci ha visto solo il populismo. Ecco perché il tema delle alleanze non è la priorità in questo momento per Pier Luigi Bersani, che non ha gradito né l’ultimatum di Sel e Idv né la sua sagoma di cartone piazzata tra Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Se qualcuno dalla direzione di martedì si aspetta la definizione della mappa delle alleanze rimarrà a bocca asciutta, perché «non può esserci una soluzione politicista, di formule e sigle. Non è questo di cui c’è bisogno ora. Noi dobbiamo aprirci a una platea vasta, mettendo in atto una politica davvero partecipata».

E pensare che proprio ieri il governatore pugliese durante la direzione nazionale di Sel, riferendosi a Bersani, ha detto di aspettarsi «molto» dalla direzione nazionale del Pd proprio sul tema delle alleanze. Ma per il segretario Pd in questo momento la priorità è riallacciare i fili tra cittadini e democrazia e non c’è che una strada per riuscirci: rimettere il tema sociale al centro della politica. Solo in questo modo, è la convinzione, si può accorciare la distanza tra la società civile e la politica, riconciliando i cittadini con la democrazia per respingere le spinte populiste che arrivano dal profondo del Paese.

«Noi parleremo al Paese con un programma di governo alternativo, parleremo di crescita, solidarietà, impegno comune, una politica che rimette al centro il lavoro, le riforme e un nuovo assetto democratico. Di questo parleremo e chi condividerà questo progetto sarà con noi», ha spiegato in questi giorni il segretario. Non gli va di essere tirato per la giacca, né gli piacciono i tentativi di chi cerca di mettere il Pd nell’angolo dove sono finiti tutti gli altri partiti: «Non siamo tutti uguali e non ci sto a finire nel mucchio».

Sa bene che le liste civiche – da più parti ipotizzate e in qualche caso anche abbozzate – possono essere un’insidia o un’opportunità. Bersani non sottovaluta la portata di una tale novità sulla scena politica, né il potenziale di elettori che potrebbero attirare pescando nomi e volti nuovi dalla società civile. Proprio per questo il segnale che il segretario vuole mandare ai dirigenti del Pd è quello di un partito che non si chiude in formule politiciste, né intende lasciare praterie a disposizione di altri, Grillo compreso. Bersani non esclude intese politiche: anzi, vuole fare dell’apertura alle esperienze civiche un tratto importante della direzione di martedì. La questione delle alleanze comunque non può che venire dopo. Intanto ci sarà un richiamo all’unità interna e alla condivisione di un progetto ambizioso – che parli ai progressisti, ai moderati e, appunto, al civismo.

Significative le parole della presidente Pd Rosy Bindi a Repubblica: «Il Pd ha un progetto che Bersani ha chiamato il nuovo Ulivo: un’alleanza dai confini molto larghi. Per tenere insieme il centrosinistra, con tutte le sue forze, ma che punti anche a coinvolgere i moderati, le forze di centro, quelle che dopo aver staccato la spina a Berlusconi appoggiano il governo Monti per portare in sicurezza i conti dello Stato disastrati dalla stagione del centrodestra». le proposte Bersani rilancerà anche le proposte a cui il suo partito lavora da tempo, «non le cambiamo sulla scia dei sondaggi, noi siamo un partito serio» e allora le proposte sono quelle di cui il numero uno del Nazareno ha più volte parlato anche con il premier Mario Monti: investimenti per far ripartire l’economia, alleggerimento dell’Imu attraverso la patrimoniale, misure per i giovani; un piano di politiche industriali; piano energetico, razionalizzazione e efficienza della pubblica amministrazione e, nell’immediato, risposte certe per gli esodati, «e quello che non si riuscirà a fare adesso con questo governo lo faremo noi, quando vinceremo le elezioni».

Ma dato che non puoi dire gatto se non l’hai nel sacco, le elezioni si vincono se gli elettori ti votano e se tornano a fidarsi della politica tutti quelli che fino ad ora se ne sono tenuti a distanza e hanno disertato le urne. «Per questo spetta a noi del Pd – è convinto il segretario – portare avanti la battaglia per le riforme, a cominciare da quella della legge elettorale». Il Pd ha una sua proposta, il doppio turno di collegio con quota proporzionale, che metterà di nuovo sul tavolo attorno a cui dopo il 2 giugno torneranno a sedersi gli sherpa incaricati di trovare un accordo sulla riforma che deve superare il Porcellum.

«Ma per cambiare la legge da soli non bastiamo, serve la maggioranza», e quanto sia vera l’apertura di Silvio Berlusconi al sistema francese si vedrà presto. Di margini per accordicchi non ce ne sono. Per ora la sensazione condivisa tra i democratici è che l’ex premier abbia messo sul piatto la proposta di riforma costituzionale del semipresidenzialismo soltanto per prendere tempo sulla riforma elettorale e arrivare alle elezioni del 2013 con il Porcellum. Mettere ora in discussione l’intero assetto della Repubblica, come vorrebbe l’ex premier, di fatto potrebbe tradursi nell’immobilismo. Da qui la convinzione che sia soltanto l’ennesimo bluff di un Pdl alla disperazione. Ma stavolta gli elettori, soprattutto di centrosinistra, non perdonerebbero ingenuità. E Beppe Grillo non aspetta altro che un passo falso.

l’Unità 28.05.12

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