attualità, politica italiana

"Il dovere della verità" di Massimo Giannini

Corvi in Vaticano, talpe a Palazzo Chigi? Il giallo del disegno di legge sulla riforma dell´organismo disciplinare per l´operato dei magistrati è molto più di un incidente di percorso. Forzatura burocratica, manovra politica. Qualunque sia il movente, è un episodio grave e inquietante, che si verifica nel cuore della struttura di governo e si traduce nella sconfessione pubblica di uno dei suoi uomini più rappresentativi: Antonio Catricalà. La smentita della presidenza del Consiglio è netta: quel testo, anticipato ieri da Repubblica, esiste ed è stato all´attenzione del governo. Ma il premier Monti «aveva già da tempo ritenuto tale iniziativa inopportuna e non percorribile». E il guardasigilli Severino l´aveva bocciato, considerando «impossibile una simile riforma attraverso legge ordinaria anziché costituzionale». A questo punto una domanda si impone: chi e perché lo ha promosso e lo ha portato avanti? La portata tecnicamente eversiva di quel disegno di legge è sotto gli occhi di tutti. Come hanno scritto ieri sul nostro giornale Liana Milella e Gianluigi Pellegrino, con quelle norme si sarebbe stravolto, per via legislativa, un principio di autonomia funzionale garantito dalla Costituzione attraverso il Consiglio superiore della magistratura. Attraverso l´istituzione di un nuovo organismo «misto» di valutazione dell´operato delle toghe, il lavoro dei magistrati sarebbe stato di fatto riportato sotto il controllo della politica. Un obiettivo perseguito per anni dal Cavaliere, nella fase più rovente del berlusconismo da combattimento, e per fortuna scongiurato dalla resistenza del Capo dello Stato e delle opposizioni. Ma ora silenziosamente e misteriosamente rilanciato dalla tecnostruttura di Palazzo Chigi. All´insaputa o addirittura contro la volontà del presidente del Consiglio.
Qui sta la straordinaria gravità del fatto. Come dimostrano i documenti che pubblichiamo oggi in esclusiva, a sponsorizzare il provvedimento non è stato un funzionario qualsiasi, ma il sottosegretario di Palazzo Chigi. Monti e la Severino, come recita il comunicato ufficiale, avevano «già da tempo» respinto e archiviato l´iniziativa. Tuttavia, Catricalà in persona ha trasmesso quel testo agli organi istituzionali preposti alla formulazione di un parere giuridico. Catricalà in persona ha firmato di suo pugno la lettera di accompagnamento, inviata il 2 maggio alla Corte dei conti e il 14 maggio al Consiglio di Stato. E appena quattro giorni fa, come dimostra il verbale che riproduciamo a pagina 11, il Consiglio di Stato si è riunito per formulare il suo parere, su un disegno di legge che «già da tempo» il capo del governo aveva considerato politicamente insostenibile e giuridicamente impraticabile.
Come può essere accaduto un simile cortocircuito? Il sottosegretario è stato ispirato da qualcuno, o ha fatto di testa sua? E poi: ha agito autonomamente, senza sapere che il suo presidente del Consiglio e il ministro competente erano contrari all´iniziativa? Oppure sapeva di questa contrarietà, e nonostante questo è andato avanti lo stesso? In tutti e due i casi, si tratta di un serio strappo istituzionale. Nella prima ipotesi, è un atto pericoloso: un sottosegretario non può assumersi una responsabilità così grande, senza informare i suoi “superiori”, su un tema nevralgico per la vita democratica, come la giustizia e i rapporti tra politica e magistratura. Nella seconda ipotesi, è un atto sedizioso: un sottosegretario non può prendere decisioni sottobanco, meno che mai se contrarie alla volontà del presidente del suo Consiglio.
Gli interrogativi sono tanti. I punti oscuri da chiarire sono ancora di più. Il comunicato di Palazzo Chigi risponde a una metà del problema: quello che riguarda l´orientamento di Monti, per fortuna fermo sul principio dell´indipendenza della magistratura. Ma l´altra metà della questione rimane in ombra: e questa tocca a Catricalà portarla alla luce del sole. Il “Gianni Letta” del governo tecnico, come viene spesso definito, non può essere sospettato di ruoli impropri, né può apparire come la “talpa” che scava il terreno sotto i piedi di Monti. È un servitore dello Stato, e deve rispondere di ciò che fa al capo del governo (che lo ha scelto) e ai cittadini (anche se non lo hanno eletto).
L´unica cosa che non può fare, dopo quello che è successo, è tacere. Il suo predecessore sapeva farlo benissimo, e per tanti, troppi anni gli è stato concesso questo “privilegio”. Ma Catricalà, oggi, non se lo può più permettere.

La Repubblica 28.05.12

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“Così è fallito il piano di Catricalà gelo tra sottosegretario e premier”, di Liana Milella

Non mesi fa, ma giusto il 14 maggio. Carte dirette verso il Consiglio di Stato e la Corte dei conti per una ufficialissima richiesta di parere. Come Repubblica è in grado di ricostruire. Il nome dell´autore è proprio quello del sottosegretario alla presidenza Antonio Catricalà. Monti piglia le distanze dalla riforma, sottace chi l´ha pensata e sponsorizzata, e la voragine che si apre tra i due appare incolmabile. C´è anche chi, nelle stanze della presidenza, è convinto che Monti attenda una lettera di dimissioni del suo sottosegretario. Per questa via il caso “sezioni disciplinari” delle magistrature si trasforma nel caso Catricalà. Il quale risponde e minimizza. Lui e Monti non si sono parlati, ma chi è stato in contatto con il premier ne descrive l´arrabbiatura verso il sottosegretario: «Ha agito da solo, per conto suo, nonostante gli avessimo detto con chiarezza che quella modifica non poteva assolutamente essere fatta e che il parere del Guardasigilli Severino era contrario».
Due fronti aperti per Catricalà, il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica, visto che su di lui erano già caduti i fulmini del Colle appena giovedì scorso quando sul Messaggero era uscita una sua intervista in cui, a proposito della discarica di Corcolle, difendeva il prefetto Pecoraro e la localizzazione, a suo avviso «lontana», da villa Adriana. Ma lo scontro sulla giustizia disciplinare è assai più grave e rischia di arroventarsi sulle carte. Anche se, come vedremo, l´ex presidente dell´Antitrust ha una sua versione minimalista.
La riforma esiste. Repubblica lo ha scritto. Ed è in grado di provarlo con le stesse missive inviate da Catricalà – la sua firma è ben leggibile in calce – ai presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Quattro articoli, dal 26 al 29, che dovevano costituire il «capo III, la Giustizia», all´interno del ddl sul merito scolastico. È il 2 maggio quando Catricalà scrive di «un nuovo schema di disegno di legge di iniziativa governativa che contiene norme sul merito, sulla trasparenza, sulla responsabilità». Su di esse chiede «un parere urgente» in modo da ottenerlo «se possibile prima che il consiglio dei ministri approvi lo schema del provvedimento». In allegato ecco un primo schema di nuova giustizia disciplinare per i magistrati amministrativi e contabili in cui sono i laici, numericamente, a far la parte dei leone. Passa qualche giorno e dalle magistrature arriva una richiesta di chiarimenti.
Catricalà, a quel punto, manda un secondo plico. Siamo al 14 maggio, una data che contrasta in modo palmare con quanto sostiene Monti a proposito di un progetto che «già da tempo» aveva bocciato come «non percorribile» anche a seguito dello stop del Guardasigilli Severino. Ma per Catricalà, evidentemente, quella strada è ben aperta. Tant´è che scrive ancora al presidente del Consiglio di Stato: «Le trasmetto gli articoli della bozza del disegno di legge in preparazione che riguardano le magistrature e le libere professioni». A capo. E poi: «Il fine che il ddl vuole perseguire è di assicurare terzietà agli organi disciplinari per evitare la critica, fin troppo estesa nella società civile, di una giustizia domestica e dare trasparenza e certezza di imparzialità all´azione disciplinare». Paiono parole di Berlusconi e Alfano, ma sono di Catricalà. Che allega i quattro articoli su Csm, Consiglio di Stato, Corte dei Conti e giudici tributari. A scartabellare in archivio, le soluzioni sembrano fotocopiate da più di una proposta di legge del Pdl.
Sono ubbidienti le magistrature. Pochi giorni e il parere, anche se negativo, viene recapitato sul tavolo di Catricalà. Per esempio quello del Consiglio di Stato che appena giovedì 24 maggio, nel corso della sua “adunanza generale”, ha trattato il quesito richiesto dal sottosegretario: «Esame della bozza di legge di istituzione della sezione disciplinare presso il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa». Da palazzo Chigi, ufficialmente, non è arrivato alcuno stop.
Dal Csm, invece, raccontano che si sia incollerito il vice presidente Michele Vietti: «Ma come, da palazzo Chigi mandano in giro una possibile riforma del Csm e nessuno ci avverte?». Per certo, a palazzo dei Marescialli non è arrivato nulla. E si può agganciare qui l´autodifesa di Catricalà: «Da sette, otto giorni Monti ci aveva detto che avrebbe approvato solo norme sul merito scolastico». Si noti, non «da tempo» come dice il premier, ma solo da una manciata di giorni. Quanto all´iniziativa, il sottosegretario la racconta così: alla nascita del governo, a palazzo Chigi, si è insediato anche un gruppo di analisti su merito, trasparenza e responsabilità, il quale avrebbe segnalato l´anomalia della «giustizia domestica» dei giudici. Catricalà ammette l´immediato altolà di Severino, che stoppa qualsiasi intervento sul Csm, riformabile solo per via costituzionale, ma va avanti, formula gli articoli di legge, chiede i pareri. Solo a notizia ormai pubblica arriva il definitivo stop di Monti.

La Repubblica 28.05.12