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Volontari per forza. Il boom possibile del lavoro di pubblica utilità

Una serata con gli amici può costare anche molto cara se, dopo aver alzato il gomito, si viene fermati dalla stradale. Multe salate, confisca dell’auto e, nei casi più gravi, si può anche finire in carcere. Ma c’è un’alternativa che, però, non tutti conoscono: scontare la pena attraverso i lavori di pubblica utilità (Lpu), cioè svolgendo un’opera di volontariato non retribuita in favore della collettività. Un tipo di misura che, prevista per la prima volta con la legge sulla droga del 1990, sta conoscendo dal 2010 un incremento sostanzioso, anche se i numeri rimangono ancora di dimensioni ristrette rispetto alle potenzialità. Le persone ammesse agli Lpu sono state infatti 62 nel 2010 (anno dell’entrata in vigore delle nuove sanzioni del codice della strada), 830 nel 2011 e 1341 solo nei primi 4 mesi e mezzo del 2012, secondo i dati dell’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) del ministero della Giustizia. Eppure si tratta di una soluzione molto vantaggiosa per il condannato: permette di non dover pagare l’ammenda, di non scontare la pena in carcere ma soprattutto di mantenere pulita la fedina penale. Un’inchiesta di Redattore sociale cerca di capire perché questo tipo di misure non decolla, quali sono i limiti nella gestione, ma anche di raccontare le storie di chi da volontario “per forza” ha poi scelto di continuare a mettersi al servizio della collettività.

I reati commessi. Su 1.341 persone che al 15 maggio 2012 hanno svolto lavori di pubblica utilità la maggior parte, ben 884, ha violato il codice della strada: è stato sanzionato, cioè, per guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope. Ci sono, poi, 19 casi di persone condannate per spaccio e traffico di stupefacenti e altri 10 sempre per reati legati alla droga. Due per associazione a delinquere, altri due per associazione a delinquere legato al traffico di stupefacenti, due per reati legati all’uso di armi, una persona per lesioni, un’altra per furto e ricettazione. Ci sono poi altri 303 soggetti che hanno commesso reati di altro genere.

Uepe: “Una misura che stenta a imporsi: poche convenzioni, va promossa di più”. Sono solo poco più di mille in tutta Italia le persone che scelgono di dedicarsi alla collettività come pena alternativa. “È una misura che ha stentato a imporsi – sottolinea Luigia Mariotti Culla, direttore generale dell’Uepe presso il ministero della Giustizia – perché presuppone una competenza specifica anche dei presidenti dei tribunali che devono fare le convenzioni con gli enti territoriali e gli enti di volontariato. Abbiamo fatto due circolari per ricordare ai tribunali questa possibilità e degli incontri con l’ordine degli avvocati. E ora cominciamo a vedere i risultati: nell’ultimo periodo c’è stato, infatti, un vero e proprio incremento di questa misura.” Poche le convenzioni, ma anche poca informazione per una misura che, invece, secondo il dirigente dell’Uepe: “va promossa di più, perché ha un grosso rilievo pedagogico”. A pesare è anche la “diversa sensibilità” nelle diverse zone del Paese: con il Nord molto impegnato e le regioni del sud che registrano ancora pochi casi.

Una situazione a macchia di leopardo. È nelle regioni settentrionali, infatti, che le persone scelgono di usufruire maggiormente di questo tipo di pena, svolgendo un’attività non retribuita verso la collettività. Al 15 maggio 2012 secondo i dati dell’Uepe il maggior numero di persone ammesse a svolgere sanzioni di pubblica utilità risiede in Piemonte e Valle d’Aosta (398) e in Lombardia (243), seguono la Liguria (104) e la Toscana (98), l’Emilia Romagna (89) e la Sardegna (67). Maglia nera alle regioni del Sud: solo 4 in Basilicata; 6 in Campania; 8 in Calabria e 14 in Sicilia. Non solo, ma spostandosi da regione a regione si registrano situazioni anche paradossali. Nella provincia di Milano, per esempio, sono solo 15 (11 associazioni e 4 Comuni), gli enti autorizzati ad accogliere i volontari. Con le liste d’attesa che si allungano sempre di più. Come succede anche a Bologna dove le richieste superano di gran lunga i posti disponibili. A Roma, invece, è principalmente il Comune, che fa la mediazione con gli enti, e a fronte di una convenzione stipulata negli ultimi 5 anni per 450 persone ha avviato ai lavori di pubblica utilità meno di una cinquantina di persone. Anche per quanto riguarda le convenzioni stipulate e l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità lo scarto è evidente: in totale sono 2.893 i soggetti “ammissibili” a Lpu nel 2012 (cioè il numero potenziale per il quale il tribunale ha stipulato una convenzione con gli enti) ma di fatto sono poco più di 1300 i soggetti ammessi. Anche qui il divario tra le regioni è sostanziale: con il Triveneto che stipula convenzioni per 496 persone e la Lombardia per 336, in confronto alla Campania che lo fa per 10 persone o la Calabria per 57.

Storie di “volontari per forza” ma anche per passione. Il diverso approccio che sul territorio si registra nella gestione di questo tipo di misure alternative, ha anche un altro rovescio della medaglia: nelle regioni dove gli Lpu funzionano si trovano storie di chi da “forzato” della solidarietà è diventato un volontario convinto. È il caso di Mamadou, che sta scontando la pena alla Casa della carità di Milano e che ha espresso la volontà di continuare a prestare servizio anche dopo aver chiuso i conti con la giustizia. Così come un ragazzo di Bologna, che dopo aver ecceduto con alcune sostanze ora aiuterà il Centro di accoglienza La Rupe per i banchetti di informazione sulla prevenzione da alcol e droghe.

CHE COSA SONO I LAVORI DI PUBBLICA UTILITA’. L’ordinamento italiano conosce diverse tipologie di attività non retribuite in favore della collettività. Uno di questi è il lavoro di pubblica utilità (Lpu), che rappresenta una sanzione sostitutiva della pena detentiva attraverso la prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato. Il vantaggio principale è che con il Lpu, oltre a non dover scontare la pena in carcere e a non pagare un’ammenda, si lascia la propria fedina penale pulita.

Le leggi. E’ stato introdotto per la prima volta dall’art. 73 comma 5 bis Dpr 309/90 (il Testo unico sulla droga), ma è nel 2000, con il decreto legislativo 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, articoli 52, 54 e 55) che si è data la facoltà al giudice di pace, per i reati di sua competenza, di applicare su richiesta dell’imputato la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilità. A differenza delle pene alternative (che vengono applicate in fase di esecuzione delle pena) queste due misure vengono previste in fase di giudizio. La prestazione di Lpu viene svolta a favore di persone affette da hiv, persone con disabilità, malati, anziani, minori, ex detenuti o stranieri; nel settore della protezione civile, nella tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato. Un forte impulso è avvenuto nel luglio del 2010, quando con la legge n.120 art. 33, sono stati previsti i lavori di pubblica utilità anche per reati legati alla violazione del Codice della strada (mediante l’inserimento del comma 9-bis nell’art. 186 e del comma 8-bis nell’art. 187). Il controllo è affidato all’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe).

Chi è ammesso. La sanzione viene applicata per i reati previsti dal comma 5 dell’art. 73 del Dpr 309 (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti di lieve entità), quando non può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; viene comminata in alternativa alla pena detentiva e alla pena pecuniaria, con le modalità previste dall’art. 54 del decreto 274/2000. A usufruire del Lpu sono, inoltre, tutti i condannati per il reato di cui all’art. 186 del Codice della strada (guida in stato di ebbrezza) o per il reato di cui all’art. 187 (guida sotto l’effetto di sostanza stupefacente) ai quali sia stato concessa la sostituzione. La legge prevede, però, due condizioni ostative: la ricorrenza dell’aggravante di cui al comma 2-bis (aver provocato un incidente stradale) e aver già prestato lavoro di pubblica utilità in precedenza (il Lpu si può svolgere una sola volta).

I tempi. La durata della sanzione sostitutiva è commisurata alla durata delle pena, in deroga ai limiti previsti dall’art. 54, comma 2 del decreto legislativo 274/2000 (da 10 giorni a 6 mesi) e a tal fine la legge prevede anche autonomi criteri di ragguaglio. In particolare, nel caso delle violazioni del codice della strada un giorno di arresto corrisponde a un giorno di Lpu (mentre, a norma dell’art. 58 del 274/2000 un giorno di pena detentiva corrisponde a 3 giorni di lavoro di pubblica utilità). Sempre nel caso di guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope, un giorno di Lpu corrisponde a € 250 di ammenda (mentre l’art. 55, comma 2 d.lgs nr. 274/2000 prevede un criterio di ragguaglio di € 12).

Come si accede. La sanzione viene disposta dal giudice su richiesta dell’imputato, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale (patteggiamento). Con la sentenza di condanna il giudice individua il tipo di attività, nonché l’ente o l’amministrazione dove deve essere svolto il lavoro di pubblica utilità. La prestazione di lavoro non retribuita ha una durata corrispondente alla sanzione detentiva irrogata. Il giudice, con la sentenza di condanna, incarica l’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice.

Dove e come viene svolto. L’attività di lavoro non retribuita viene svolta presso gli enti pubblici territoriali e le organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato individuati attraverso convenzioni stipulate dal ministero della Giustizia o, su delega di quest’ultimo, dal Presidente del tribunale, a norma dell’art. 2 del decreto ministeriale 26 marzo 2001. Nelle convenzioni sono indicate le attività in cui può consistere il lavoro di pubblica utilità, i soggetti incaricati di coordinare la prestazione lavorativa e le modalità di copertura assicurativa. L’elenco degli enti convenzionati è affisso presso le cancellerie di ogni Tribunale. L’attività viene svolta nell’ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore. Le amministrazioni e gli enti presso cui viene svolta l’attività lavorativa, assicurano il rispetto delle norme e la predisposizione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei condannati.

Revoca. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, su richiesta del pubblico ministero, il giudice che procede o quello dell’esecuzione (con le formalità di cui all’art. 666 del codice di procedura penale), tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della sanzione con il conseguente ripristino della pena che era stata sostituita. Avverso al provvedimento di revoca è ammesso il ricorso in Cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.
Milano: troppe richieste e pochi posti. Roma: solo 45 persone coinvolte in un anno. Mamadou, 53enne di Brugherio, fermato in auto la sera di Capodanno nel Milanese per aver bevuto qualche bicchiere di troppo, è scampato a una multa salata e alla confisca dell’auto. Come? Grazie ai lavori di pubblica utilità, introdotti da un decennio, ma favoriti realmente dal 2010 come alternativa alla pena ‘tradizionale’ per chi viene sorpreso, tra l’altro, alla guida in stato d’ebbrezza. Non sono altro che un periodo di volontariato, stabilito in base alla sanzione (due ore di lavoro corrispondono a un giorno di reclusione e a 250 euro di multa), da svolgere in associazioni o enti pubblici convenzionati con il tribunale. Una pratica che ha riscosso successo tra i milanesi, che sempre di più scelgono quest’opzione. La conseguenza è che ci sono tante richieste a fronte di pochi posti. Nella provincia di Milano infatti sono solo 15 (11 associazioni e 4 Comuni), gli enti autorizzati ad accogliere i volontari e le liste d’attesa si allungano. “Nel 2011 – spiega Claudio Castelli, dell’ufficio del Gip di palazzo di Giustizia – le persone giudicate per questo reato sono state 2.254. Di questi circa 350 sono stati assegnati ai lavori di pubblica utilità”. L’intenzione però, afferma Castelli, è di “raddoppiare in tempi rapidi” il numero di enti disponibili. Diversa la situazione a Brescia, dove sono 45 gli enti convenzionati e non ci sono problemi di affollamento. Anche Mamadou ha avuto difficoltà a trovare un posto libero in cui svolgere le ore assegnategli dal tribunale. Da un mese lavora alla Casa della carità di Milano, dove oggi prestano servizio sette persone e altre nove sono in lista d’attesa. Per riavere patente e macchina il 53enne dovrà passare 250 ore con gli anziani ospitati dal centro. È lì da un mese ed è entusiasta. “Mi si è aperta una finestra sul mondo e una volta finito manterrò i rapporti” racconta. Anche altri due “volontari” scontato il periodo stabilito dal Tribunale hanno deciso di continuare a dare una mano alla Casa della carità. Mamadou ha tre figli e, spiega, la possibilità di rendersi utile per scontare la sua “disgrazia”, gli ha permesso di mantenere la serenità in famiglia e di non sentirsi un criminale. “Questa opzione, garantita a chi viene fermato in stato d’ebbrezza – sottolinea don Virginio Colmegna, fondatore dell’associazione – apre un tema centrale: la possibilità di gestire la pena in termini di utilità sociale”. Le uniche condizioni per poter svolgere i lavori di pubblica utilità sono: non aver provocato o essere stato coinvolto in un incidente ed essere stati fermati con un livello di alcol superiore allo 0,8 (la soglia massima consentita è 0,5). Una volta terminato il periodo di lavoro, che non può superare le sei ore alla settimana, vengono garantiti: l’estinzione del reato penale, la revoca della confisca dell’auto o della moto e il dimezzamento del periodo di sospensione della patente.
Dalla tutela dell’ambiente al servizio giardini, passando per l’arte-terapia. A Roma sono tanti gli ambiti in cui è possibile svolgere lavori di pubblica utilità, le attività non retribuite a favore della collettività, che sostituiscono alcune pene detentive (vedi scheda pubblicata). Nonostante siano misure vantaggiose per il condannato (perché permettono di non dover scontare la pena in carcere, pagare un’ammenda, e lasciano la fedina penale pulita) i lavori di pubblica utilità stentano, però, a diventare una prassi diffusa. Colpa delle lungaggini burocratiche ma anche di una cattiva informazione. Nella capitale a svolgere un ruolo di mediazione tra il Tribunale di Roma e gli enti è principalmente il Comune che si avvale per questo tipo di attività della cooperativa Pid (Pronto intervento disagio). Negli ultimi cinque anni (dal 21 maggio 2007 al 20 maggio 2012) il Campidoglio ha stipulato una convenzione per 450 persone. In realtà, spiega Silvia Giacobini, responsabile del progetto Lpu per la cooperativa Pid, i numeri di chi realmente ha usufruito del servizio sono molto più ridotti. “Nei primi anni erano due o tre le persone l’anno che svolgevano questa attività – afferma Giacobini –. Fino al 2010 il servizio non si è mai concretizzato in maniera massiccia. Poi nell’agosto 2010, con l’entrata in vigore delle nuove norme del codice della strada, in particolare per quanto riguarda gli articoli 186 e 187, le richieste sono aumentate. Abbiamo pensato quindi a un progetto ad hoc che è partito da gennaio 2011”. In tutto da gennaio 2011 al 30 aprile 2012 sono state avviate ai lavori di pubblica utilità attraverso la mediazione del Comune, 45 persone di cui 12 hanno già terminato il percorso, mentre 33 continuano a prestare attività non retribuita. Tre gli ambiti di impiego: la tutela ambientale e il servizio giardini; il Bioparco; le biblioteche e le attività connesse al dipartimento, soprattutto collegate alla rete della solidarietà (l’agenzia per le tossicodipendenze, i senza dimora, le case di accoglienza e i minori non accompagnati).

Ma queste attività hanno un reale valore educativo? “Molto è delegato alla persona – continua Giacobini – se pensa che si tratti di un percorso da cui poter imparare qualcosa, o se per lui è solo un’attività che ha l’obbligo di dover fare. In generale l’approccio è positivo rispetto alla sola repressione e soprattutto permette di avvicinare le persone a settori che prima non erano conosciuti, soprattutto in ambito sociale”. “In ogni caso si tratta un’esperienza forte – aggiunge -. Nel reato di guida in stato d’ebbrezza, per esempio, incappano spesso persone che non hanno avuto mai questo genere di problemi. C’è una sproporzione del danno”. Per ora al Comune non ci sono liste d’attesa di persone che vogliono svolgere Lpu. E le criticità maggiori risiedono soprattutto nella difficoltà a individuare un modello organizzativo tra le parti. “La legge presenta ancora alcune lacune – conclude la responsabile del Pid – non parla di chi dovrebbe fare cosa. E così ogni territorio si organizza a modo suo. L’altro problema riguarda la scarsa informazione”. Di cattiva informazione, parla anche Alfonso D’Ippolito, di Oikos, una delle tre associazioni oltre al Comune, ad aver stipulato convenzioni con il tribunale di Roma per Lpu. “C’è molta disinformazione in questo settore, anche da parte degli avvocati, che spesso non propongono questo tipo di misure”. In 12 anni, da quando cioè l’associazione ha iniziato a occuparsi dei lavori di pubblica utilità, l’utenza è molto cambiata. “Ci sono persone di estrazione sociale e cultura molto diverse – continua D’Ippolito – Per noi fare questo tipo di attività significa rispondere a un impegno sociale, fatto per aderire al principio di garantire una reale alternativa. Ma non è facile stare dietro a un’utenza così diversificata”. Di Art therapy si occupa, invece, Aletes l’associazione creata da Mario Salvo. “Lavoriamo nelle scuole con i ragazzi disabili, che cerchiamo di far partecipare ai nostri corsi di arte a seconda delle loro capacità – spiega Salvo – . Il mio motto è restituire i colori a chi li ha persi. E penso che l’arte sia un potente mezzo di comunicazione, integrazione e autostima”. L’associazione ha stipulato col Tribunale una convenzione nel 2011 per due anni, e attualmente ha avviato al lavoro di pubblica utilità due persone.

In Toscana oltre 100 persone svolgono Lpu, tanti i volontari all’Anpas e alle Misericordie. Sono oltre 100 le persone che svolgono lavori di pubblica utilità in circa 10 associazioni della Toscana evitando così il carcere attraverso la commutazione della pena. Si tratta in prevalenza di giovani ragazzi italiani (dai 20 ai 25 anni) in stato di fermo per reati relativi all’abuso di alcol e conseguente ritiro della patente. Rimangono solitamente a lavorare per una o due settimane, giusto il tempo per esaurire il tempo della pena (un giorno di carcere corrisponde a due ore di lavoro).

All’Anffas Toscana (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) ci sono attualmente dieci persone che svolgono mansioni prevalentemente di accompagnamento di ragazzi disabili, attività di riabilitazione, giardinieri, operazioni di manutenzione, collaborazione con fisioterapisti, collaborazione nella musicoterapia. Non mancano quelli che svolgono mansioni da ufficio. All’Anffas, a differenza di molte altre associazioni, i giovani che scontano la pena lavorando sono soprattutto stranieri (circa il 60%). Anche in questo caso, il reato commesso è relativo all’abuso di alcol. Reati simili anche all’Anpas, dove si trovano soprattutto italiani. L’Anpas è una delle realtà associative toscane in cui ci sono più condannati: oltre 50 le persone che scontano la pena con mansioni di servizi di accompagnamento, centralinisti e addetti alle pulizie. Tante pene da scontare anche alle Misericordie: sono 6 le persone a quella di Firenze ma sono diverse decine quelle in tutta la Toscana. Anche qui le operazioni più frequenti sono il trasporto dei disabili. Sono invece 5 le commutazioni della pena in corso alla Caritas, dove i lavori sono i più disparati: centralinisti, lavori di segreteria, magazzinieri, addetti alla mensa. Anche qui, la maggior parte è costituita da ragazzi fiorentini che hanno alzato un po’ troppo il gomito. Infine, ci sono lavori di pubblica utilità anche all’Associazione Nazionale Tumori della Toscana, alla Polisportiva Silvano Dani e all’associazione Insieme.

“Misura utile, perché la gente corre meno per strada e muore di meno”. La testimonianza di una donna mestrina. Un brindisi e un gin tonic per festeggiare un matrimonio, il rientro a casa e l’etilometro della polizia che rovina la festa: sopra il limite, anche se di poco. Succedeva a una donna mestrina, T.T., di 38 anni. Quattro anni e un figlio dopo, arriva la sentenza di patteggiamento e la condanna tramutata in lavoro di pubblica utilità. Dalla sfortuna nasce un’esperienza di vita preziosa: 58 ore di servizio durante i weekend nella casa alloggio dell’Anffas di Mestre. “Un’esperienza fantastica” la definisce la donna, che annuncia di aver già chiesto il tesseramento poiché “è un’avventura che voglio proseguire. Si sono instaurati rapporti affettivi che intendo mantenere. Queste persone ti danno moltissimo, anche se tu non dai niente”. L’ Anffas di Mestre è una delle 15 realtà convenzionate con il Tribunale di Venezia, in larga parte comuni della provincia. “Conoscevo l’associazione perché in famiglia abbiamo avuto esperienze di servizio civile con loro – racconta -. Di fronte alla prospettiva di 4mila euro di multa ho preferito fare questa esperienza che mi ha arricchito. Tutti dovrebbero farla”. Ripensando a quella sera di quattro anni fa, T.T. spiega: “Non ho mai preso una multa in vita mia, eppure mi è successo questo. Sicuramente saranno molte le persone come me, catapultate in questa realtà. Comunque, ritengo che sia una misura utile, perché la gente corre meno per strada e muore di meno”. L’associazione mestrina ha all’attivo 28 richieste da parte di persone in attesa di sentenza. La convenzione con il tribunale risale a inizio anno ma la lista d’attesa è già lunga. “Abbiamo riscontri perfino da Belluno”, spiega la presidente Graziella Lazzari Peroni, che aggiunge. “Finora chi ha fatto quest’esperienza si è detto molto felice per aver conosciuto questo mondo di persone che troppo spesso sono invisibili e trasparenti”. A Padova gli enti convenzionati con il Tribunale sono circa 25, tutti comuni tranne qualche realtà come Ristretti Orizzonti, la rivista dal carcere di Padova. È lunga anche la lista di Treviso, con 46 convenzioni. Anche in questo caso, si tratta perlopiù di enti locali, a eccezione della Caritas di Vittorio Veneto e di tre cooperative sociali.

Puglia in forte ritardo, ma Lecce dà l’esempio per recuperare. La Puglia sta cercando con una certa decisione di recuperare il ritardo nell’applicazione dei lavoro di pubblica utilità (lpu). Dal 2011 il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) la promuove in particolare per le due fattispecie introdotte più di recente nell’ordinamento italiano: la sanzione prevista dal 2006 nei confronti dei tossicodipendenti condannati per violazioni di lieve entità del divieto di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti; la sanzione prevista dal 2010 dal nuovo Codice della strada per i reati di guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, se tale condotta non ha provocato un incidente stradale. Proprio lo scorso anno il Provveditorato ha condotto un progetto pilota di ricerca-intervento denominato “Utilmente” per contribuire all’ampliamento delle possibilità applicative in Puglia del lpu, attraverso la diffusione delle informazioni sulla sanzione e il confronto tra quanti vi sono impegnati sul versante istituzionale e sociale. La ricerca ha evidenziato che oltre il 70% degli intervistati (magistrati e operatori del settore) ritengono che l’insufficiente informazione sia causa della marginale applicazione della normativa. A valle di questo progetto che ha coinvolto numerosi enti istituzionali e non, allo scopo di sensibilizzarli e di divulgare l’informazione sulla misura, sono stati stretti diversi accordi e convenzioni tra gli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) provinciali, i tribunali, le organizzazioni del terzo settore ed enti pubblici come comuni e province. A un anno da questa azione voluta dal Prap di Bari, la situazione sul territorio regionale rispetto agli accordi stretti è ancora a macchia di leopardo. A Lecce si registra il più consistente numero di convenzioni sottoscritte, 29 complessivamente, tutte a cavallo tra il 2011 e il 2012: 24 sono stipulate dai Comuni, equamente distribuiti tra alto e basso Salento, 3 con associazioni di volontariato, 1 parrocchia e 1 comunità riabilitativa. Molto differente è la situazione nelle altre province, dove i numeri calano vertiginosamente (ad esempio Brindisi con due convenzioni sottoscritte e Foggia con una sola). Ma, indipendentemente dal numero di convenzioni stipulate, è bassissimo il numero delle persone inserite nella misura del lavoro di pubblica utilità in Puglia. In tutto il territorio regionale si contano al 15 maggio 2012, solo 15 persone che beneficiano della misura e quasi tutte praticamente nella provincia di Lecce (80%), cui segue la provincia di Brindisi con 2 inserimenti e quella di Taranto con un solo beneficiario. È totale invece l’assenza nel capoluogo barese, nella provincia di Foggia e della Bat. Numeri ben distanti dalle regioni del Nord Italia (Piemonte e Valle d’Aosta assieme contano 398 inserimenti alla stessa data, Lombardia 243, Liguria 152, Triveneto 157) e segno che molta strada ancora c’è da compiere in Puglia per l’affermazione di un diritto spesso disatteso per scarsa conoscenza o per totale disinformazione. Non ha dubbi sui motivi di questa situazione Eustachio Vincenzo Petralla del Prap di Bari e direttore dell’Uepe: “Il ritardo è dovuto a responsabilità sia della magistratura, sia degli enti che dovrebbero ospitare queste persone, difficoltà e resistenze legate soprattutto alla resistenza culturale a entrare nell’ottica che la sanzione non è solo la pena detentiva, e che questo tipo di misure possono servire a ridurre la detenzione e soprattutto ad ampliare l’area delle sanzioni, soprattutto laddove non si parla di delinquenza tradizionale, ma di infrazioni più o meno gravi che sarebbe davvero poco adeguato punire con la detenzione”. Per questo, secondo Petralla, laddove quest’inversione culturale è avvenuta, si vedono i risultati: “Sulla zona di Lecce – spiega Petralla – hanno lavorato bene il privato sociale, l’amministrazione penitenziaria, cioè l’Uepe di Lecce e la magistratura, lavorando di concerto. Questo ha consentito di sottoscrivere molti accordi. In altri posti in Puglia, sono state soprattutto le difficoltà organizzative, la sotto dotazione di organico, a non giocare favorevolmente”.

da Redattore Sociale