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E la campagna sprofonda nel passato "Come dopo la guerra, viviamo di baratti", di Luigi Spezia

Basta lasciare la statale 12 che taglia in mezzo al terremoto e scendere in un angolo di campagna per tornare indietro nel tempo, scoprire storie che le statistiche della Protezione civile ignorano. Si fa il bagno nella vasca delle tartarughe, si piazzano i frigoriferi in mezzo all´aia, si affittano container per proteggere le cose strappate alle scosse, si ricorre al baratto, si invitano a cena i vicini che non sanno dove cucinare perché la casa è mezza distrutta. Un quadrivio di stradine a caso: via Di Mezzo, Via Personali, via Baccarella, via Margotta, nomi che non si trovano nemmeno sulle carte. Oltre gli alberi il campanile del Duomo di Mirandola rimasto in piedi, qua e là, sopra il grano quasi maturo, i capannoni rimasti in piedi della grandi multinazionali della biomedicina. Lontano dai riflettori e dalle discussioni sul terremoto, qui si è tornati all´economia di guerra, si scambiano le cose di prima necessità, ci si ingegna e arrangia come si può. «La spesa l´andiamo a fare nel mantovano, nei paesi qua attorno è tutto chiuso. Ieri al forno di San Possidonio ho comprato gli ultimi due chili di pane, il resto finito tutto. Ci arrangiamo con quello che c´è, una volta in fondo si viveva con molto meno».
Gente abituata a lavorare, investire, produrre, veder crescere famiglia e impresa si sente ora sprofondare nel passato. Nelle campagne, dove si lavora la terra ma magari si ha un posto in fabbrica, non c´è casa, corte o fienile che non abbia un danno. Claudio Bertoli mostra la schiera di magazzini ricamati di crepe. «Dormiamo fuori, come tutti. La paura non è passata. Abbiamo aggiustato una vecchia roulotte. Io e mio figlio abbiamo due officine a Concordia, crollate. A 54 anni posso pensare di investire ancora? Non lo so. Però si riscoprono tanti valori rimasti nascosti. Mio padre l´altra sera ha riunito la famiglia, ha detto: “Ci siamo tutti, conta questo. Il resto si risolve”. E qui ci diamo tutti una mano. Si va a casa dei vicini: cum´andemmia? Come andiamo? E se uno ha bisogno, si aiuta».
Claudia Busoli, la vicina, vive in tenda con la figlia e il marito. Piange: «La casa sembra intatta, ma la scala è crepata. La stalla e il capannone sono da buttar giù. Sono morte una trentina di galline. Io lavoro alla Bellco, è chiusa. Dopo il primo terremoto avevano previsto quattro mesi di cassa integrazione, ora chissà. Niente più tv, siamo riusciti a trovare qualche bottiglia d´acqua a Mirandola, la condotta per l´irrigazione è chiusa e il pozzo s´è riempito di sabbia. Nell´orto un po´ di insalata c´è, scorte ne abbiamo. Ma poi?». I due trattori del marito per curare i campi sono rimasti sotto le macerie. Poco più avanti passa una jeep dei vigili del fuoco e una donna corre verso il cancello agitando le mani. I vigili si fermano, ma non possono fare niente. La donna con gli occhi umidi implora che entrino a vedere i danni della casa, loro vengono da Asti, hanno un altro compito da svolgere. La casa della donna appena ristrutturata è piena di crepe, fuori e dentro. Il fienile e la lavanderia sono puntellati con grosse assi di legno. Tende nel giardino, dove dormono lei, il marito, i due figli e le fidanzate riparate in campagna. «Non abbiamo più niente per puntellare la casa – dice Santo Gallo, il capofamiglia – per cucinare usiamo le vecchie bombole del gas rimaste di una volta».
Bombole di gas non se ne trovano più, qualcuno le va a ricaricare nei distributori di gpl, che è proibito. La doccia è un traliccio coperto di teli con un bidone d´acqua sopra che si scalda al sole quasi estivo. I due ragazzi della famiglia hanno aiutato la vicina, Daniela Pareschi, a tirare fuori dalle macerie di casa il frigorifero salvavita: «Sì, è vero, sono diabetica e devo tenere al fresco l´insulina – raccolta lei – . Questa signora è mia madre che ha 91 anni e ha l´Alzheimer. La verranno a prendere in ambulanza per sistemarla in una casa protetta a Parma o al mare». La signora anziana è in carrozzina, messa dentro un carro coperto. «È una carovana, una volta si attaccava dietro al trattore e portava il gasolio per i lavori nei campi». Nemmeno Daniela ha più acqua per irrigare l´orto: «Questa è la vasca dove prima nuotava la tartaruga che avevo salvato in una discarica. Adesso io e mio marito la usiamo per lavarci. E quello è il water»: tre vecchi pneumatici impilati uno sull´altro. Daniela è stata aiutata ma avrebbe voluto anche lei fare qualcosa: «Mettere qui una tenda per mia mamma e gli anziani di due mie amiche che abitano in città». Poi alza la testa: «Guardi là, Prandini sta portando via i maiali».
Guido Prandini abita in fondo alla strada sterrata e la sua vecchia casa è messa molto male. Osserva con uno sguardo disperato. «Cento maiali li ho portati nell´altro stabilimento di Bastiglia, è più sicuro. Altri seicento sono ancora qui. Se siamo ancora vivi dobbiamo aiutarci. L´altra sera abbiamo cotto le braciole anche per i vicini e quando abbiamo avuto bisogno di pane ce l´hanno prestato». Anche Prandini dorme in tenda come il figlio e la compagna che allatta Giada, di 37 giorni. «Meno male che la putina sta bene, in tenda riesce a dormire. La mia paura era tutta per lei, è il nostro avvenire». A cento metri dell´incrocio ecco l´agriturismo “Da Frandull”, lo gestiscono le sorelle Franca, Deanna, Laura, Liliana e Ida. “Frandull” era il nonno, negli anni anteguerra fattore del conte Luigi D´Arco. Nel locale mostrano con orgoglio le foto storiche di una celebrità locale, Fatima Miris, grande allieva di Fregoli lodata da Matilde Serao. La casa di famiglia è lesionata nello spicchio di una delle sorelle, Ida sovrintende alla cucina: «Il ristorante è rimasto illeso, è l´unica struttura qui attorno costruita con criteri antisismici. Sotto la veranda apparecchiamo tutti i giorni per venti, trenta persone. Parenti e amici sfollati qui nel prato, vicini che non hanno più la cucina. Fino a che questo disastro non sarà passato, a casa mia mangiano tutti senza pagare».

La Repubblica 01.06.12