ambiente, attualità

"Il coraggio di una comunità", di Vittorio Emiliani

Il terremoto ha colpito e colpisce crudelmente una regione strategica nella storia oltre che nella geografia d’Italia, una regione-cerniera. Quella dove finisce la pianura padana e comincia l’Italia centrale, oltre il Rubicone. Quella che più rapidamente seppe unirsi al Triangolo industriale e crescere, fra non pochi squilibri, col primo «boom». Quella che sul piano politico-amministrativo e sociale ha saputo dire e dare molto, coi grandi partiti popolari, con le cooperative rosse, bianche e verdi, con la nuova imprenditoria nata dalla campagna, col volontariato di ogni colore. Per questo e per altro l’Emilia-Romagna, così centrale nella storia italiana, non può essere lasciata sola, alla sua pur forte volontà di reagire. Perché, da molti punti di vista, ne sarebbe come spezzata in due l’Italia stessa.
Soltanto dopo la guerra, meno di settant’anni fa, un soffio per la storia, l’Emilia-Romagna portava sulle spalle un esercito di braccianti alla disperata ricerca di qualche giornata di lavoro e un Appennino mezzadrile e piccolo-proprietario che stava franando a valle. «Nel 1944 diventai segretario della Camera del Lavoro provinciale col più alto numero di iscritti», amava raccontare il forlivese Luciano Lama. «Più di 140 mila: sembra incredibile, in maggioranza erano braccianti. Dobbiamo dirlo forte che siamo andati tanto avanti anche grazie alle nostre lotte», concludeva alzando il tono polemico della bella voce baritonale.
Mercoledì sera Vasco Errani ha precisato due cose importanti: ad un giornalista che parlava di terremotati «impauriti e smarriti», ha opposto: «Impauriti sì, e chi non lo sarebbe? Ma smarriti, no, la voglia di reagire c’è, eccome»; poi ha rifiutato l’etichetta di «commissario straordinario» del governo, perché tutte le istituzioni devono lavorare insieme, Stato-Regione-Enti e comunità locali, associazioni di cittadini. All’Aquila il commissariamento voluto da Berlusconi (che inseguiva un suo insensato modello narcisistico) ha pesato e pesa come un macigno sul dopo-terremoto. Qui non sarà così. Il presidente non-commissario della Regione ce l’ha ben chiaro. Come i sindaci dei Comuni più colpiti e di quelli sfiorati e minacciati.
Riaffiora nella memoria il motto che nel 1976-77 fu dei vescovi friulani per quel terremoto che non finiva mai e che fece, ricordiamocelo, quasi mille morti, per quella ricostruzione lunga ma esemplare, specie a Venzone, pietra su pietra: «Prima le fabbriche, poi le case e infine le chiese». Non far sfibrare il tessuto produttivo è fondamentale perché il lavoro è una delle formidabili risorse in questa crisi planetaria e nessuno può permettersi di indebolirlo. Rispettando, certo, le misure di sicurezza, non esponendo al pericolo altre vite di operai, italiani e immigrati (questa è la regione d’Italia con più stranieri rispetto ai residenti), ma ridando vita e operatività, appena possibile, a filiere produttive di eccellenza internazionale: l’agro-alimentare, la meccanica di precisione, il biomedicale e in genere la sanità, il benessere, la ceramica, le nano-tecnologie, la carpenteria, le imprese per il recupero e il restauro dell’antico e altro ancora.
L’Emilia-Romagna è l’Italia: rianimarla, risollevarla, rimetterla in piedi senza facili assistenzialismi, senza “cricche”, ma con dignità, professionalità e trasparente onestà, vuol dire rianimare, risollevare, rimettere in piedi l’Italia stessa. Quella che, anche senza sismi, non ce la fa a camminare e riaffida da tempo all’emigrazione i suoi figli più coraggiosi, più preparati, svenandosi. Molti degli intervistati dalle tv (le quali spesso trasmettono più emozioni che racconti) rispondono col franco, coraggioso realismo di chi ha costruito per sé e con gli altri qualcosa ereditato dai loro vecchi: il senso civile della comunità. Sovente i terremoti – ce lo insegna la storia – non durano giorni o settimane. In ogni caso le ricostruzioni durano molto di più e però possono essere esaltanti se vissute come riscatto autonomo, ostinato, vitale. Qui non vogliono disperdersi, vogliono restare vicini a case, fabbriche, stalle, officine. Bisogna aiutarli anche in questo. Dalla comunità tutto può rinascere. Qui e nel Paese.

l’Unità 01.06.12

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“50 scosse al giorno Clini: servono 15 anni per un’Italia sicura” di Salvatore Maria Righi

Finalmente, dopo 11 giorni di scosse, morti, disastri e paura, qualcuno ha squarciato il cielo plumbeo che grava sull’ Emilia nonostante l’ inizio dell’ estate. Dopo un altro giorno da dimenticare, tra la terra che non smette di tremare e la contabilità della sciagura, ormai vicina la soglia dei 2 miliardi di danni, il ministro Corrado Clini ha cercato di alzare la testa dal quotidiano stillicidio di bollettini su epicentri, crolli e sfollati certo un po’ piegati, ma mai spezzati. «Ho cominciato a parlare di un piano nazionale per la sicurezza del territorio non appena mi sono insediato. Un piano che duri quello che deve durare ma almeno 15 anni».

Così il titolare dell’Ambiente, sintetizzando la lezione che sembra sempre più venire dalle zone colpite dal sisma. Nell’interesse del paese tutto e secondo una parola, prevenzione, che non è proprio congeniale allo Stivale. Il piano di cui parla il ministro, mentre anche ieri una forte scossa da magnitudo 4, registrata alle 16.58 e ad una profondità di 5,8 km con localizzazione verso Novi di Modena ha terrorizzato il nord, è articolato e apre scenari molto importanti. «Un piano straordinario per 60 mila posti di lavoro destinato ai giovani» ha spiegato, dal Greening Camp alla Luiss a Roma, il ministro Clini. «È un programma straordinario per l’occupazione giovanile nelle tecnologie ambientali con l’ambizione di generare almeno 60 mila nuovi posti di lavoro tra i laureati con meno di 30 anni». Il progetto, aggiunge Clini, «può essere sostenuto con misure fiscali ordinarie e meccanismi di finanziamento» ad hoc.

FALSI ALLARMI
Non è stata solo la giornata delle parole che impegnano e danno speranza, ovviamente. Dal vocabolario del sisma ne è uscita una che non manca mai, quando ci sono queste tragedie: sciacalli. Il fenomeno, pare, comincia ad interessare seriamente le zone colpite. «Attenzione, lasciate le case, sta arrivando una scossa violentissima». Chiamate telefoniche del genere, messe in atto da sciacalli che si fingono operatori della Protezione civile stanno alimentando il panico tra la popolazione, soprattutto nel modenese. La Procura di Bologna ha disposto una serie di accertamenti in relazione ai falsi allarmi di un imminente nuovo terremoto che si sono diffusi nel capoluogo emiliano. Il rincorrersi di queste voci ha raggiunto anche uffici pubblici seminando la preoccupazione all’interno del Tribunale o della sede della Banca d’Italia. Il disastro di cui ignoti avvoltoi sono già pronti ad approfittare, è già enorme. I dati dei danni stimati all’economia e alle imprese sono sempre più catastrofici.

Due miliardi di danni per una zona che da sola vale 1% del Pil. Sono cominciati i sopralluoghi su case e capannoni industriali. La gente, per il momento, non ha intenzione di rientrare in casa: le soluzioni alternative (campi, strutture coperte, alberghi) ospitano oltre 15mila persone, senza contare i tanti mini-campi improvvisati con le tende un po’ ovunque: aiuole, giardini pubblici, terreni agricoli. Dopo la strage di operai dei giorni scorsi, a lavoro non si tornerà prima che le verifiche saranno concluse e diranno con chiarezza quali capannoni rispettano le più recenti norme antisismiche e quali no. Poi, piano piano, le case agibili, quelle che sono state abbandonate per paura, torneranno a popolarsi, si comincerà a pensare alla ricostruzione e, eventualmente, a soluzioni abitative provvisorie. Ieri sera erano 68 le scosse che si sono susseguite dalla mezzanotte fra le province di Modena, Ferrara e Mantova, secondo i dati dell’Ingv. E una nuova scossa di magnitudo 3.2 è stata registrata alle 13.18 in provincia di Ferrara, nei pressi dei comuni di Mirabello, Vigarano, Mainarda e Poggio Renatico.

Tra i paesi più colpiti dal sisma c’è Mirandola, dove la zona industriale della città è stata chiusa per ordine del sindaco. Chiuso anche l’ultimo supermercato rimasto aperto. In totale 15mila i senza casa, mentre la prefettura di Modena ha fatto sapere che sono 7.231 gli sfollati ospitati in 23 campi e 17 strutture coperte e diversi alberghi anche nell’Appennino modenese.

l’Unità 01.06.12