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"La lezione più difficile", di Franco Mosconi

Avrei dovuto scrivere, qui dall’Emilia centrale, questo articolo l’altroieri, proprio martedì 29 maggio: ma quello che è stato (purtroppo) ribattezzato il «terremoto infinito» non lo ha consentito. Beninteso, i mezzi tecnologici oggi a disposizione rendono possibile, anche in una giornata così, tutto: la trasmissione di immagini e di informazioni, come sappiamo e vediamo, avviene a ritmo continuo. Non è lì, nella tecnologia, il problema. Quando intorno alle due del pomeriggio ho parlato al telefono col direttore di questo giornale la terra – qui in Emilia, nella provincia di Modena in particolare – aveva appena tremato per la seconda volta. Dopo l’iniziale scossa delle 9.00 quella intorno alle 13.00: in quel preciso istante qualcosa è cambiato nella testa e nell’animo delle persone. Difatti, dopo la prima scossa, tutte le scuole – come si suol dire – “di ogni ordine e grado” hanno posto in essere le loro ordinate procedure di evacuazione.
Era una bellissima giornata di sole.
Ma nei luoghi feriti a morte dal sisma, con nuove vittime nelle fabbriche e nelle Chiese, c’era, e c’è tuttora, lutto e silenzio. In tutti gli altri luoghi, colpiti sì dal sisma ma non piegati del tutto, ecco che – come per incanto – parchi e giardini pubblici si riempivano di bambini (senza zainetti, che col loro carico di compiti sono rimasti a scuola!). E di nonni. E di mamme e papà che, nel frattempo, dai luoghi di lavoro si precipitavano verso le loro rispettive città di residenza. Eravamo in tanti – martedì 29 – in uno di questi parchi e giardini di cui sono piene, spesso anche in centro storico, le nostre città emiliane. Avevamo raggiunto i nostri bambini a metà mattina, oggi possiamo dire fra la prima (che ha colto tutti noi sui luoghi di lavoro) e la seconda scossa. Giocando e correndo, la loro ansia e la loro paura per il primo terribile botto – quello delle 9.00, quello dove si sono riparati sotto il banco – stavano, poco a poco, svanendo. Si avvicinava così l’ora del pranzo; o, per meglio, dire, del panino e della pizzetta: nessuno, soprattutto fra chi abita in centro storico, voleva (poteva) rientrare a casa. La terra ha tremato sotto i nostri piedi per tanti altri lunghissimi secondi proprio quando tutti noi – genitori, nonni e bambini – eravamo in fila al chiosco o al bar per prendere qualcosa da mangiare. In quel momento è certamente nato – se guardiamo le cose dal punto di vista geologico – il «terremoto infinito», come si ricordava in apertura. Ma in quel momento, guardando gli sguardi dei bambini, tornati pieni di ansia e di paura, è nato anche qualcos’altro. Vogliamo chiamarla una nuova «età dell’incertezza»? Forse sì, tenendo conto che non ci si sente più sicuri di ciò che può accadere nelle ore che hai davanti nella comunità in cui vivi.
Scrivo dunque questo articolo il giorno dopo, mercoledì, per tentare – come con Stefano Menichini ci siamo detti nella nostra telefonata – una primissima valutazione, per così dire, “economico-industriale” del terremoto e delle sue conseguenze. Per essere ancora più accurati: la quantificazione dei danni compete alle autorità e sarà un esercizio difficilissimo. In questa sede vogliamo iniziare a gettare luce sul potenziale produttivo proprio di queste terre, un potenziale che il paese tutto non può permettersi il lusso di vedere amputato. Per semplicità possiamo concentrarci sulle medie imprese industriali e sui distretti, entrambi fra i principali protagonisti della manifattura (di qualità) italiana.
Primo, le medie imprese: la nota indagine Mediobanca- Unioncamere stima che nel Nord Est (di cui l’Emilia Romagna fa parte) ve ne siano 1238, capaci di produrre il 15% circa del valore aggiunto dell’industria manifatturiera di questo pezzo d’Italia. Tuttavia, aggiungono i curatori, «il volume dei loro acquisti di beni porta a valutare un indotto pari all’11% circa. Il peso complessivo è dunque pari al 26% (contro il 21% della media nazionale)». In Emilia Romagna ce ne sono più di 500 di queste società, e ognuna di loro – come dimostrano i dati or ora citati – vale non solo per se stessa ma anche per l’indotto che è capace di generare. Sono le nostre “multinazionali tascabili” che esportano più del 50% del loro fatturato.
Secondo, i distretti industriali: in Emilia Romagna sono disseminati lungo la via Emilia e in alcuni casi rappresentano veri e propri simboli del made in Italy. Le piastrelle di Sassuolo, la meccanica strumentale di Modena e Reggio Emilia, l’agroindustria di Parma, l’abbigliamento di Carpi e così via nei settori tradizionali, fino al polo tecnologico del biomedicale di Mirandola, il più duramente colpito dal terremoto di questi giorni. Il monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo censisce trimestralmente le performance dei 15-20 distretti e/o poli emiliano-romagnoli, parte rilevante dei circa 150 a livello nazionale. L’indicatore utilizzato è l’export: nel 2011 le esportazioni distrettuali dell’Emilia- Romagna sono state pari a oltre 10 miliardi di euro, in aumento rispetto all’anno precedente.
C’è un unico indicatore macroeconomico, in giro per il mondo, che volge sempre al bello: la dinamica di crescita del commercio internazionale, stimata al 6% medio annuo. È un’onda che l’industria italiana deve avere l’ambizione di cavalcare se si vuol dare al paese la ragionevole speranza di un nuovo ciclo di crescita. Parlando della forza intrinseca dell’industria europea, Romano Prodi è solito descrivere «un cilindro della manifattura europea che va da Amburgo a Firenze». Ebbene, il sisma di questi giorni ha messo in ginocchio una parte consistente del versante italiano del «cilindro» sol che si pensi all’epicentro del sisma e alla sua diffusione lungo la via Emilia e ben al di là di essa. Ora, le «filiere produttive» che hanno come terminali le medie imprese, in molti casi, sono state spezzate dall’onda d’urto del sisma (quello del 20 maggio e poi quello di martedì): esse vanno riattivate nel più breve tempo possibile; così come vanno riannodati i fili della cooperazione fra le imprese localizzate nei distretti. Come conseguire questi obiettivi della ricostruzione? L’intervento delle autorità è essenziale, come dimostrano i richiami del presidente Napolitano, i primi provvedimenti del governo Monti, il lavoro sul campo della Protezione civile d’intesa con la regione e tutti gli enti locali. Ma di fronte a una tragedia – umana, sociale ed economica – di queste proporzioni serve qualcosa in più. È quel qualcosa che ha a che fare con lo spirito civico di una popolazione; con i legami di fiducia che intercorrono fra i suoi membri, legami capaci di rappresentare altrettanti “ponti” che promuovono la collaborazione tra ambienti diversi.
L’Emilia-Romagna eccelle, a livello nazionale e internazionale, in tutti gli studi che riguardano il cosiddetto «capitale sociale» (che è la definizione data dagli esperti a questi legami di fiducia). Ai bambini usciti ordinatamente, ma col batticuore, dalle loro scuole martedì scorso non la puoi però raccontare così. Puoi solo dirgli che gli adulti di questa terra hanno oggi il compito più difficile di sempre: lavorare insieme per poter riaprire case, scuole, ospedali, chiese e fabbriche. È una lezione antica, troppo spesso dimenticata: del benessere che abbiamo raggiunto ce ne accorgiamo solo quando sta scivolando via. È il tempo oggi di far tesoro di questa lezione.

da Europa Quotidiano 01.06.12