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“Lavoro e sicurezza, il modello emiliano è già ripartito”, di Massimo Franchi

Un viaggio discreto nei luoghi della distruzione. Nell’Emilia orgogliosa che vuole ripartire, ma in sicurezza. Cgil, Cisl e Uil dovevano essere a Roma a manifestare contro il governo. Hanno invece deciso di festeggiare la Repubblica venendo qua dove i lavoratori sono finiti sotto i capannoni e il lavoro rischia di scappare lontano. Hanno pranzato con gli sfollati e i volontari, hanno ascoltato e incitato i lavoratori e i sindacalisti locali, improvvisato comizi con il megafono di fianco ai camper e alle tende. Se il terremoto è stato quel «brutto lavoro che è stato», qui si vuole tornare al «buon lavoro che si è sempre fatto». L’orgoglio e il carattere delle genti di queste parti ha già fatto reagire l’intera popolazione: «Siamo tutti mobilitati». L’Emilia produttiva non è già più ginocchio. Si sta rialzando da sola. Ma farla ripartire «al più presto, ma solo in sicurezza» è l’imperativo. Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti partono da Bologna su un pullmino. Con le delegazioni ridotte all’osso scelgono di muoversi senza lampeggianti e con le scorte ridotte al minimo con la richiesta ai giornalisti di evitare di seguirli in tutti gli spostamenti. Arrivano a Marzaglia, il campo base della Protezione civile. Incontrano Franco Gabrielli e il governatore Vasco Errani e con loro fissano quel «patto sociale fra imprese e sindacati» che chiede subito «al governo di far partire gli ammortizzatori sociali» e di conciliare «rapidità e legalità», come sottolinea Camusso. Daex muratore Raffaele Bonanni spinge sul tasto «della necessità di una cooperazione fortissima per trovare accordi per garantire che il lavoro rimanga qui» e «perché la ricostruzione venga fatta nella legalità dalle aziende migliori». Luigi Angeletti invece sottolinea «la funzione essenziale del Commissario Errani che deve garantire i criteri di sicurezza nel far riaprire nel modo più veloce possibile». È una lotta contro il tempo, perché il rischio è quello di vedersi portare via il lavoro e non rivederlo più. «Il messaggio è che si può continuare a lavorare qui, non c’è da de localizzare, si può riaprire in tempi ragionevoli», ripete Susanna Camusso. Per farlo Errani ricorda che «c’è già un fondo di rotazione a tasso zero per tutte le imprese per interventi immediati per riavviare o ricostruire gli impianti spiega un accordo che sarà operativo nei prossimi giorni e che avverrà prima del riconoscimento dei danni, da fare in un secondo momento». Mentre per il settore bio-medicale, l’80% del quale è nel distretto di Mirandola, promette che «entro dieci giorni lo Stato pagherà tutte le fatture arretrate». Poi il pranzo al campo Friuli Venezia Giulia di Mirandola di fianco alla piscina. Qui il Cicerone è Alberto Morselli, segretario generale Filctem Cgil, ma soprattutto ex sindaco e «sfollato a Nonantola» che racconta fiero come la sua città «sta reagendo». Si vedono gru gigantesche già al lavoro sui capannoni industriali e qualcuno che ha già intonacato le crepe della casa o del negozio. Poi si passa nell’alto ferrarese, in quella Cento che indenne alla prima scossa è stata colpita duramente dalla seconda e ora ha 1.400 sfollati. Nell’arrivarci si passa davanti alla Wm, grande azienda metalmeccanica in cui, anche nel giorno di festa, si stanno facendo controlli per capire se e quando potrà ripartire l’attività produttiva. L’ultima tappa è a Crevalcore, comune della bassa bolognese più colpito della provincia dove il centro storico è tutta zona rossa e dove 3mila persone dormono fuori casa. Qua c’è la Magneti Marelli, la fabbrica Fiat che di punto in bianco, senza nessun preavviso e senza avvertire nessuno qualche giorno fa aveva deciso di caricare i macchinari e di portarli nell’altra sede di Bari. L’allarme lanciato via Facebook dalla Fiom ha bloccato il piano con il presidio degli operai a non far uscire i camion già caricati. E qui è successo un altro miracolo sindacale. Quando la proprietà ha convocato solo Fim Cisl e Uilm per discutere il da farsi, i sindacati che hanno sempre firmato tutto con Marchionne, hanno chiesto che questa volta la Fiom-Cgil non fosse esclusa. E così tutti i sindacati hanno bloccato unitariamente la fuga del lavoro e trovato un accordo verbale per mantenere la produzione a Crevalcore. «La paura l’abbiamo ancora spiega Francesco Di Napoli, delegato Fiom perché l’azienda continua a dire che se non riusciremo a soddisfare la commessa di pezzi di motore per la Fiat di Termoli, il trenta per cento della produzione sarà comunque spostata a Bari. Ma è un pretesto». Se ne riparlerà martedì, quando sindacati e imprese di Bologna si siederanno al tavolo per mettere a punto gli accordi del caso. Una conferma ulteriore: il modello emiliano è già ripartito.

L’Unità 03.06.12