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"Una leggina salva gli abusi alle falde del Vesuvio", di Gian Antonio Stella

Sotto il Vesuvio non ci vogliono pensare, agli scenari da incubo disegnati dagli esperti e a tutti i discorsi di questi giorni sulla prevenzione contro i disastri. Peggio: in Regione stanno discutendo su come rimuovere un po’ di vincoli nella «zona rossa». Bollata da qualche sindaco come «una legge criminale che ha ucciso l’economia».È dal 19 marzo 1944 che il vulcano appare a riposo. Quando la statua di San Gennaro, racconta l’ufficiale inglese Norman Lewis nel libro «Napoli 1944», fu portata nella cittadina di San Sebastiano al Vesuvio nascosta sotto un lenzuolo, di riserva, pronta a fermare la lava, come avvenne, nel caso non fosse bastato l’intervento del santo patrono ufficiale, appunto San Sebastiano.

Fino ad allora, dall’Unità d’Italia il Vesuvio aveva già brontolato più o meno spaventosamente nel 1861, 1867, 1872 (quando era stato distrutto lo stesso paese di San Sebastiano), 1891-95, (quando si era formato il colle Margherita, 1895-99 (quando era nato il colle Umberto) e poi ancora nel 1906, quando era stata devastata Boscotrecase e infine nel 1929. Quelli che nel 1944 erano bambini, se lo ricordano bene, l’incubo. Ma lo hanno rimosso. E nonostante gli spaventi del sisma in Irpinia e del bradisismo a Pozzuoli, troppa gente vive da decenni il Vesuvio come se non fosse un vulcano, ma una montagna.

E vive dunque i vincoli imposti ai 18 comuni della «zona rossa» come un’angheria imposta alla povera gente dalla «politica». C’è un condono? Non si può usare. Ne arriva un altro? Non si può usare. Col risultato che un pò di politici ha individuato nella guerra alle regole antisismiche una strategia per andare a batter cassa dagli elettori. Come il sindaco di Sant’Anastasia, Carmine Esposito, che da anni si è auto-nominato nemico numero uno della «truffa confutabile a livello scientifico» e qualche settimana fa si è spinto ad affiggere manifesti che dicevano: «Zona rossa, finalmente si cambia». Posizione condivisa da qualche parlamentare come il senatore pidiellino Carlo Sarro che a fine marzo tuonò: «Quello che si sta consumando in Campania è un dramma culturale, una vicenda segnata da una profonda ingiustizia. Ci sono 67.000 sentenze di demolizione e questo fa capire come sia drammatica la situazione».

Tutte case abusive. Ma «le associazioni spesso continuano a diffondere l’idea che l’abusivismo è uguale a criminalità, ma è una mistificazione gigantesca. Dietro la scelta forzata di costruire case abusive ci sono sacrifici, investimenti frutto del lavoro di famiglie». Sono in zone ad altissimo rischio sismico? E vabbè… Ed ecco che proprio in questi giorni, come denuncia l’ex l’assessore Marco Di Lello, autore del progetto «Vesu-via» che dava 30mila euro a chi se ne andava comprando casa fuori dalla «zona rossa» e tolse tutti i benefici fiscali così da rendere più cari gli affitti e fare invecchiare il patrimonio edilizio e buttò giù qualcuna delle migliaia di opere abusive dentro il parco, in Regione discutono di un disegno di legge che spazzerebbe via una serie di vincoli.

Una leggina stupefacente. Soprattutto di questi tempi di lutti e macerie in Emilia. Non solo rimuove il vincolo di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto di un chilometro intorno all’antica Velia, nel parco del Cilento. Non solo stravolge il Piano Urbanistico Territoriale della penisola sorrentina limitando i vincoli alle spalle della Costiera Amalfitana nonostante sia un’area a forte rischio idrogeologico teatro di tragedie come qualche anno fa la frana di Nocera Inferiore. Ma, accusa Di Lello, deforma pesantemente «la legge regionale 21 del 2003 che sancisce il divieto assoluto di rilascio di titoli abilitativi (permessi a costruire, Scia e Dia) a fini abitativi nella zona rossa vesuviana così come perimetrata dalla Pianificazione d’emergenza della Protezione Civile». Per capirci, prendiamo le parole proprio di Carmine Esposito che si vanta del successo: «Non vogliamo aumentare il carico abitativo. Questo però non vieta la possibilità di fare nuove abitazioni nel rispetto idrogeologico del territorio» Sic… Di che genere di territorio si tratti lo lasciamo dire al vulcanologo Franco Barberi: «Non esiste al mondo una località a più alto rischio vulcanico, considerando l’abnorme concentrazione edilizia spintasi fino a poche centinaia di metri dal cratere».

Sostengono gli scienziati che da molti anni il vulcano è «tranquillissimo» ma «prima o poi dovremo fare i conti con una nuova eruzione». Il materiale incandescente se ne sta pressato a una profondità di otto chilometri. Questo sarebbe un bene e un male: prima di spingere forsennatamente verso l’alto per cercarsi una via d’uscita il magma dovrebbe dare dei segnali via via più chiari dando qualche tempo per l’evacuazione che, stando al piano della protezione civile del 2004, dovrebbe portar via 12 giorni. Basteranno? Erosa la spinta, lo strato di lava «salterebbe come un tappo di champagne».«Una volta aperto il condotto», scrive il vulcanologo Gianni Ricciardi dell’Osservatorio Vesuviano in un saggio che sta per essere pubblicato, «si formerà una colonna eruttiva che potrà raggiungere un’altezza di oltre dieci chilometri. La parte alta della colonna pliniana, meno densa, sarà spinta secondo la direzione dei venti prevalenti d’alta quota e da essa si avrà caduta di particelle al suolo. La parte bassa della colonna, più densa, collasserà generando correnti piroclastiche, che scorreranno, seguendo la morfologia, lungo i fianchi del vulcano, a grande velocità e con elevato potere distruttivo.

Probabili piogge indotte dalle perturbazioni delle condizioni atmosferiche causate dall’eruzione, potranno mobilizzare il materiale piroclastico depositato lungo le pendici del vulcano, provocando colate di fango e alluvionamenti durante e anche a eruzione finita».Un’apocalisse. La «zona rossa» dei 18 comuni circumvesuviani «è soggetta a distruzione pressoché totale, a causa dello scorrimento di correnti piroclastiche, colate di fango e alla ricaduta imponente di ceneri, bombe e lapilli». La «zona gialla», un migliaio di chilometri quadrati comprendenti 96 comuni di cui 34 della provincia di Napoli, 40 di quella di Avellino, 21 di quella di Salerno ed 1 della provincia di Benevento «potrebbe essere interessata da un’importante ricaduta di cenere e lapilli, con carichi superiori a 200 kg/m2». Da brividi.

Eppure, spiega lo scienziato nel suo lavoro intitolato «Le eruzioni del Vesuvio dal 1861 al 1944. Cosa ci aspetta?», quella «zona rossa» così pericolosa ha visto aumentare, incredibilmente, la sua popolazione. Lo scriveva già lo storico vesuviano Silvio Cola nel 1958: «Dopo l’ultima eruzione del 1944, il Vesuvio non ha dato più segno di attività, lasciando in una perfetta calma gli abitanti dei Paesi nascenti alle sue falde, i quali, per nulla preoccupati delle sorprese che potrebbe dare il terribile vulcano, quasi dappertutto, fanno sorgere, continuamente, grandi fabbricati e magnifiche ville».

Al primo censimento del 1861 la popolazione vesuviana era di 107.255 persone, concentrate quasi tutta sulla costa. Dieci anni fa, al censimento del 2001, erano 530.849. Oggi, secondo Ricciardi (anche se i dati provvisori dell’Istat non concordano) sarebbero 580.913. Hanno sotto gli occhi le rovine di Pompei, Ercolano, Oplontis. Hanno conosciuto dai nonni i racconti delle grandi paure di qualche decennio fa.Guardano il vulcano, sospirano e fanno spallucce.

Il Corriere della Sera 03.06.12