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"Che condanna essere stato il primo della classe", di Alberto Asor Rosa

Proprio perché ho pubblicato recentissimamente su queste colonne una specie di elogio della scuola pubblica italiana (“Tra quei banchi si vede l´Italia, la Repubblica, 2 giugno 2012), sono rimasto di stucco leggendo il giorno dopo sul medesimo giornale che l´attuale ministro della Pubblica istruzione, Profumo, ha inserito tra le misure più appariscenti della sua riforma l´incoronazione, istituto per istituto, dello “studente migliore dell´anno”. Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza a tentare di conseguire, dalla prima elementare alla terzo liceo classica (ahimè, riuscendovi) il riconoscimento, implicito, certo, ma anch´esso prestigioso, di “primo della classe”. So bene, dunque, di che si tratta. Solo quando sono arrivato all´Università ho capito che avere compagni migliori, e ne ho avuti, era molto meglio che dannarsi ad essere il migliore. Vorrei dire ora che tra le visioni della scuola (visioni del mondo?), che il ministro Profumo ed io nutriamo, c´è un abisso, anzi un antagonismo insormontabile. L´idea che si migliora la scuola trasformandola in una corsa a ostacoli è letale. L´impressione positiva che io volevo trasmettere, ricavandola dall´esperienza di passaggi (rapidi, ma non superficiali né da una parte né dall´altra) in quindici-venti istituti medi superiori italiani (ma ultimamente ho spiegato Dante anche in una scuola media unica di Roma!), era esattamente opposta. E cioè: ci sono, nella scuola pubblica italiana, masse di presidi e di docenti che si battono con silenziosa lena per “tirar su” classi intere di alunni, molto bravi, bravi e meno bravi, perché solo quello sforzo comune è scuola: e perché solo quello sforzo comune fa emergere le eccellenze vere (senza coltivazione di “migliorismi” di quarta generazione: sembra una novità assoluta, ed è un ritorno al più antico e deprecabile passato).
Se le cose in alto stanno così, l´idea con cui concludevo il mio precedente articolo, secondo cui sarebbe opportuno riaprire una grande discussione su cos´è e cosa dev´essere la scuola pubblica italiana, mi sembra meno fuori luogo oggi di ieri.

La Repubblica 05.06.12