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"Come aiutare le aziende emiliane a ripartire subito", di Dario Di Vico

Gli imprenditori modenesi chiedono di ripartire subito, senza se e senza ma. Da una parte c’è l’orgoglio «laburista» degli industriali di territorio, dall’altra c’è il terrore di perdere mercato e di uscire per sempre dalla competizione globale. N on è facile ragionare di politica industriale quando la terra balla e non si sa per quanto tempo continuerà a muoversi. Le emozioni, come è naturale che sia, prendono il sopravvento. Così la richiesta che viene dagli imprenditori modenesi è quella di ripartire subito, senza se e senza ma. Da una parte c’è l’orgoglio «laburista» degli industriali di territorio, dall’altra c’è il terrore di perdere mercato e di uscire una volta per sempre dalla competizione globale. Anche quindici giorni in questa drammatica congiuntura economica e psicologica sembrano essere assolutamente decisivi per la vita o la morte di un’azienda. Ma la spinta che viene dal basso per riprendere il lavoro deve fare i conti con i rischi che si corrono e diventa quindi decisivo il tema della responsabilità. Ci vuole un soggetto che convalidi-autorizzi le condizioni del rientro degli operai in fabbrica. Oggi non c’è e non si può pensare di affidare a singoli consulenti una decisione così difficile.
Per evitare poi che il numero delle aziende che vanno fuori mercato sia eccessivo, è necessario usare la capacità produttiva degli impianti locali come un vaso comunicante. Se ci sono, ad esempio, sul territorio modenese aziende della ceramica che possono produrre conto terzi ed evitare che altri imprenditori chiudano, è compito della rappresentanza d’impresa rendere possibile questo piccolo miracolo di collaborazione tra concorrenti. Culturalmente gli imprenditori modenesi sono attrezzati per farlo, occorre solo vedere se i trasferimenti di produzione siano realizzabili solo nel settore della ceramica o anche nella meccanica e nell’agroalimentare.
Per quanto riguarda il distretto gioiello di Mirandola (biomedicale) vanno prese decisioni urgenti. Le multinazionali presenti in zona stanno accentuando il loro pressing e sembrano disponibili a trasferire le lavorazioni in altri Paesi. Bisogna trovare un’area limitrofa nel Modenese o nel Bolognese per traslocare il distretto e non togliere all’Emilia (ma a questo punto all’Italia) un polo di assoluta eccellenza mondiale. In questo caso i tempi sono veramente stretti ma il trasferimento sarebbe largamente accettato e ci sono le condizioni per realizzare, nel caso, nuove sinergie con le università emiliane e i tecnopoli voluti dalla Regione.
Un altro capitolo urgente riguarda il rapporto con le banche nazionali e di territorio. Le misure che possono essere negoziate sono numerose ma siccome stiamo parlando di una delle zone più ricche e laboriose del Paese è interesse dello stesso mondo del credito evitare quella che gli industriali modenesi chiamano «desertificazione». Serve quindi aprire una discussione e sarebbe importante che le grandi banche mettessero in campo professionalità non solo locali perché si tratta di trovare soluzioni innovative che possono però arricchire la (stanca) relazione tra imprese e credito. Dagli industriali emiliani arrivano anche, come è naturale che sia, molte richieste al governo e vanno dalla richiesta di sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione alle aziende del biomedicale alla creazione di una sorta di zona franca fino al coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti. Si tratta in questo caso di individuare quali siano gli strumenti più efficaci e allo stesso sostenibili per la disastrata finanza pubblica. Tutto non si potrà avere.
Il Corriere della Sera 05.06.12

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La paura delle aziende: ci soffiano i clienti

«Un commissario decida sull’agibilità dei capannoni». Squinzi: ripartire ora. Al presidente tedesco della multinazionale, che l’ha chiamata domenica sera dopo l’ennesima scossa superiore al quinto grado, Giuliana Gavioli, direttore generale della Braun Avitum Italy a Mirandola (175 dipendenti, 46 milioni di fatturato), ha fornito, diciamo così, una versione edulcorata del terremoto all’emiliana: «Ma no, niente di grave, solo una scossa di assestamento, ripartiremo presto…». Una mezza bugia che nasconde un’enorme paura: che le multinazionali del biomedicale (6 solo a Mirandola e dintorni, oltre a 150 aziende) decidano che non vale più la pena correre rischi e «magari se ne vanno in Svezia o in Polonia».
Vainer Marchesini, presidente di Wamgroup (1800 dipendenti di cui 400 in Italia), specializzata in meccanica, con sede a Cavezzo, ha ricevuto attestazioni di solidarietà da mezzo mondo: «Intanto però alcuni concorrenti ci stanno soffiando i clienti, vanno in giro a dire che faremo fatica a ripartire: è il mercato, certo, ma per riguadagnare quote poi occorreranno anni». E pure Nicoletta Razzaboni, titolare di Cima (20 milioni di fatturato, 81 dipendenti), sede a Mirandola dove produce dispositivi per la sicurezza, ha ricevuto tanta solidarietà, ma altrettante disdette, e poi ha un grosso problema: «Ascolto le istituzioni e non capisco: la Regione dice una cosa, la Protezione civile un’altra…». Anche per questo Roberto Fabbri, presidente della ceramica Abk Group (120 dipendenti a Finale Emilia, 87 milioni di fatturato), istituirebbe «una sorta di commissario, come per l’Expo, al quale facciano capo tutte le esigenze delle aziende».
Quattro imprenditori. Quattro storie. Un terremoto infinito. Anche se imposto dalla disgrazia, il copione scelto ieri dall’assemblea generale di Confindustria Modena non poteva essere più efficace nell’offrire volti e voci alla Waterloo di un’economia mutilata dai morsi della terra. Un bacino che costituisce l’1% del Pil nazionale, il 10% di quello regionale e che, come ha ricordato il presidente Pietro Ferrari, riunisce 500-600 aziende industriali per 12 mila dipendenti, con tributi al Fisco pari a 6-7 miliardi e un fatturato Iva di 400 milioni. Un tesoro a forte rischio. Non è un caso se il neopresidente degli industriali, Giorgio Squinzi, che da queste parti ha due stabilimenti, non si perde una battuta dei lavori al forum Monzani. «Il vero problema è ricreare le condizioni per riprendere l’attività», dice, andando subito al sodo. A partire dal problema dei capannoni: danneggiati, riaperti, di nuovo danneggiati. E ora chi li riapre? «C’è una questione di sicurezza e di responsabilità» sottolinea Dario Di Vico del Corriere della Sera che modera il dibattito. E infatti Roberto Fabbri dell’Abk Group si chiede: «Dopo la scossa del 20 maggio avevo ottenuto l’agibilità, ma ora non so se quei certificati sono ancora validi con il nuovo decreto…». Hanno fretta, una fretta spaventosa. Vainer Marchesini della Wamgroup, è uno che non intende mollare, però non può fare a meno di allungare lo sguardo sul baratro: «Ho perso la metà dei 70 mila metri quadrati dei capannoni, il fatturato è a zero, i costi corrono e l’indebitamento pure, molti ordini sono stati annullati: Modena ha sempre dato molto allo Stato, ora ci vuole un intervento straordinario a fondo perduto». E poi certezze, programmazione: «Ad esempio — ringhia Nicoletta Razzaboni —, la storia della detassazione fino a settembre è una presa in giro: a Roma forse pensano che in 3 mesi ci si risollevi?».
Giuliana Gavioli della Braun Avitum si sente addosso il fiato dei suoi superiori all’estero: «Anche solo 15 giorni di ritardo possono significare la perdita di un mercato, il biomedicale rischia lo smembramento». Il direttore Ferrari la lista per il governo l’ha pronta. Al primo posto, il saldo dei crediti da parte della Pubblica amministrazione: «Tra le nostre associate e le altre, si viaggia sui 700 milioni…».

Il Corriere della Sera 05.06.12

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Guccini, Vasco Rossi, Pausini e Ligabue In concerto insieme per la loro regione

Era nell’aria una mobilitazione di tutti gli artisti emiliano-romagnoli per il terremoto. Alla fine a prendere l’iniziativa e a organizzare un megaconcerto per il 25 giugno allo stadio Dallara di Bologna è stato uno dei grandi vecchi della musica emiliana, Beppe Carletti, fondatore e anima dei Nomadi. Sul palco della manifestazione, che sarà trasmessa in diretta da Raiuno e condotta da un emiliano doc, Fabrizio Frizzi, dovrebbero salire Francesco Guccini, Zucchero, Laura Pausini, Luciano Ligabue, gli Stadio, Paolo Belli, Cesare Cremonini, Gianni Morandi, Biagio Antonacci, il flautista Andrea Griminelli, Caterina Caselli, Nek, Luca Carboni, Samuele Bersani, Andrea Mingardi, Vasco Rossi e, naturalmente, i Nomadi.
«La città dove vivo, Novellara, ha avuto pochi danni — spiega Beppe Carletti —. Ma la mia città natale Novi è devastata. Domenica è caduta la torre dell’orologio. Così nei giorni scorsi sono andato a prendere la mia mamma, Elvira, di 86 anni con la sua badante e le ho portate a casa mia. Mio fratello Renzo vive in un camper che gli ha trovato la Protezione civile. I paesi della bassa Modenese sono sempre stati casa mia e a vederli così mi viene la pelle d’oca. A Mirandola i capannoni sono venuti giù tutti. Sono a rischio seimila posti di lavoro. Il mio amico Elvino, industriale, 65 anni come me, piangeva fra le mie braccia: “Sono nudo, ho perso tutto!”. Cosa gli vai a dire a questa gente? Meglio un gesto concreto, una mobilitazione di tutti gli artisti dell’Emilia Romagna per un evento unico e irripetibile».
Mercoledì mattina verrà annunciato il cast ufficiale. E si saprà chi potrà esserci. «Rivolgo un appello ai fan di tutti gli artisti — conclude Carletti — affinché vengano allo stadio Dallara per mandare un segnale forte di solidarietà. Tiriamo fuori l’anima emiliano-romagnola, facciamo vedere al mondo di cosa siamo capaci. Mai nella storia d’Italia c’è stato un concerto con un simile cast. L’incasso non verrà distribuito a pioggia, ma servirà a un progetto preciso sotto il controllo della Regione. Una formula, quella dell’intervento diretto e specifico, che noi Nomadi abbiamo utilizzato con successo in passato negli interventi benefici nei Paesi di in via di sviluppo e anche all’Aquila, dove finanziammo delle borse di studio per studenti meritevoli».

Il Corriere della Sera 05.06.12