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"Il merito di Profumo scontenta tutti", di Alessandra Ricciardi

Un miliardo di euro di fondi europei per l’istruzione al Sud, 117 milioni per le scuole che offrono una seconda chance a chi ha abbandonato gli studi. E 400 milioni per gli asili nido. E per il merito? «Solo 30 milioni». É con questi numeri che ieri il ministro dell’istruzione, università e ricerca, Francesco Profumo, ha provato a smantellare il grattacielo di critiche che ha collezionato la sua proposta di riforma sul merito nella scuola e nell’università: contrarie le associazioni di genitori e i sindacati (si confonde il merito con la qualità della scuola, una delle critiche più diffuse), contrario il Pd e il Pdl, anche se per motivi diversi.

In una nota inviata ai sindacati e pubblicata sul sito del miur, ieri Profumo rivendica l’impegno a favore della scuola di tutti, a cui la riforma del merito toglierebbe poche risorse. «Spero che la lettera del ministro sia solo il preliminare di un approfondito confronto di merito che dia corpo a relazioni sindacali vere e non soltanto epistolari», è la secca replica di Francesco Scrima, segretario Cisl scuola. E sugli stanziamenti citati da Profumo a dimostrazione della sua buona volontà: «Non vorremmo che si trattasse in larga parte di un déja vu (fondi europei), o di spese non propriamente riconducibili all’istruzione, come nel caso di quelle destinate agli asili nido», che sono a carico del ministero del welfare. «Una scuola migliore? Accettiamo la fida», rilancia Massimo Di Menna, segretario Uil scuola. La riforma era attesa al consiglio dei ministri la scorsa settimana, quando era già alla terza versione. Poi è stata rinviata a domani, per metterla a punto in modo da farla piacere ai contestatari e a chi vuole che si faccia a tutti i costi: del resto il premier Mario Monti l’ha già illustrata (non si sa però in quale versione) al capo dello stato, Giorgio Napolitano. Restano le contrarietà dei sindacati, in questo caso il fronte confederale si è riunito, mentre il Pd oltre che una questione di merito, per tutti l’ex ministro Beppe Fioroni (si premiano pochi dimenticando che la scuola ha bisogno di altro), ne fa una questione anche di forma: no a un decreto legge, si lasci spazio alla discussione parlamentare, dice la responsabile scuola del partito, Francesca Puglisi. Per il Pdl è invece fondamentale che non si intacchi la riforma del reclutamento dell’università fatta da Mariastella Gelmini, per il resto la competizione tra gli studenti va più che bene. Intanto però non è neanche certissimo che domani se ne ridiscuta al cdm, potrebbe subire un nuovo rinvio, una nuova pausa di riflessione. Al ministero dicono: il testo è ancora in riscrittura. Ma che cosa prevede di così radicale e urticante la riforma Profumo? ItaliaOggi ha avuto modo di leggere una delle ultime bozze: 31 pagine, divise in due capi, il primo per la scuola, il secondo per l’università. Titolo: «Schema di decreto legge recante misure urgenti per la valorizzazione della capacità e del merito nell’istruzione, nell’università, nell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e nella ricerca». Il primo articolo è dedicato alla capacità e al merito nelle scuole: tutti gli istituti, compresi quelli paritari, devono prevedere sistemi premianti per gli alunni migliori, coinvolgendoli in competizioni nazionali o internazionali. La regola vale sia per gli studenti delle superiori che per quelli più piccoli delle elementari. Competizioni come le olimpiadi della matematica, per le quali in verità i fondi a disposizione sono sempre di meno. Dal prossimo anno scolastico, si prevedono master class estive di formazione per chi si piazza ai primi tre posti delle olimpiadi e di altre competizioni equivalenti. Le scuole individueranno tra i propri ragazzi che alla maturità otterranno 100/100, ovvero il massimo, il più bravo, a cui andrà la medaglietta di «studente dell’anno». Un riconoscimento che comporterà la riduzione di almeno il 30% della retta universitaria. Quanti potranno essere gli studenti dell’anno dipenderà dalle risorse, che dovranno essere stabilite con decreto dell’istruzione d’intesa con il ministero dell’economia. A copertura si indica la legge 440/1997: inizialmente era destinata alle scuole per la realizzazione del piano dell’offerta formativa e per la formazione e l’aggiornamento del personale, è stata poco per volta depauperata. Tanto che al Tesoro hanno storto il naso: sarebbe meglio per la copertura cercare altrove. L’altrove ad oggi però non si è ancora trovato.

da ItaliaOggi 05.06.12

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Il ministro Profumo scrive agli insegnanti

Care colleghe e cari colleghi, per cultura e storia personale sono abituato a prestare la massima attenzione e a mettermi in ascolto quando parlano i rappresentanti dei lavoratori. Nella mia esperienza di cittadino, di docente e infine di Rettore ho incontrato tante volte il sindacato, e ho sempre cercato di farlo mettendomi dalla parte giusta: quella della coesione e della solidarietà nell’interesse generale.

Tanto più, quindi, desidero ascoltare e interloquire con voi oggi che mi trovo a fare il ministro. Ho riflettuto sulle osservazioni e sulle critiche che avete voluto fare in questi giorni, sulla base di anticipazioni giornalistiche, ai provvedimenti sulla scuola e l’università che saranno da me proposti mercoledì in Consiglio dei ministri.

Desidero rassicurarvi e fugare uno ad uno tutti i dubbi da voi espressi, che mi sembrano nascere in realtà da una più generale paura che la scuola venga abbandonata a se stessa. Non lo sarà. Non da me, almeno. Non potrei nemmeno volendo – e non voglio – visto che nella scuola e nella formazione ho passato quasi tutta la mia vita, prima da studente e poi da professore, ma anche da marito di un’insegnante e da padre di tre figli.

Capisco però questi timori. La scuola italiana ha attraversato negli ultimi anni un periodo di grande difficoltà, fatto di tagli e di marginalizzazione rispetto all’agenda politica del paese. Di questa messa all’angolo la scuola ha sofferto molto, ed in primis i suoi lavoratori, che si sono sentiti feriti e colpiti.
Sin dall’inizio del mio mandato, però, tutto il mio lavoro è stato indirizzato ad invertire questa tendenza e a rimettere la scuola al centro dell’agenda del Paese. Perché sono fermamente convinto che la scuola, soprattutto in tempi di crisi economica, sia parte della soluzione e non del problema. E voglio anzi dire di più: senza di essa nessuna soluzione potrà mai funzionare.

Non sono solo parole, perché il governo ha già operato con grande concretezza in questa direzione. Nella prossima stagione, nonostante le difficoltà di bilancio, per la prima volta dopo sette anni consecutivi i cicli scolastici manterranno lo stesso organico del 2011-2012. Vi assicuro, non è stato semplice. Così come non è stato semplice reperire un miliardo di fondi europei per il sud e principalmente per la scuola del bisogno. Ed ancora, scovare 117 milioni per cento scuole di “seconda occasione”, che offrono un’altra possibilità a chi ha abbandonato. Così come altri 400 milioni per gli asili nido, ancora al sud, in modo da dare cura all’infanzia e possibilità a molte donne di poter lavorare nel tessuto produttivo nazionale.

Non è mia intenzione rifugiarmi dietro un elenco notarile, che pure è costato tanta fatica e segnala una precisa scelta politica, per eludere il nodo da voi evidenziato. Mercoledì in Consiglio dei ministri non proporrò certo provvedimenti sul premio a chi si impegna nella scuola alternativi allo sforzo, che invece deve essere sempre più intenso, per fare della scuola un mondo dove nessuno è lasciato indietro, a cominciare dai più deboli e svantaggiati. Questi provvedimenti li intendo invece come del tutto complementari. Così come prevede l’articolo 34 della nostra Costituzione. Mantenendo la giusta proporzione fra i diversi obiettivi: impegniamo qualche decina di milioni per le misure a favore dell’impegno nell’eccellenza, e più di un miliardo di euro per la scuola di tutti.

Questa è anche la logica che lega il nostro impegno per la scuola a quello per l’università, che pensiamo indissolubilmente congiunti. E’ in questa prospettiva, per esempio, che abbiamo previsto una presenza non occasionale dei docenti universitari nelle scuole e forme più efficaci di orientamento. Il tipo di scuola e di università che il governo intende promuovere non è quello dove vi è posto solo per i più bravi, ma al contrario quello dove la centralità della funzione didattica viene esaltata a vantaggio di tutti. E questo lo si può fare solo se si concepiscono diritto allo studio e misure premio per chi si impegna di più come due facce della stessa medaglia di una scuola moderna, europea ed inclusiva.

Per questo ho inteso lavorare in queste settimane prima ad un provvedimento sul potenziamento del diritto allo studio universitario, dove nell’appena pubblicato decreto legislativo n. 68 del 29 marzo 2012 le risorse disponibili sono passate da 110 milioni di euro a quasi 150, per poi proporre un pacchetto di misure premiali per chi si impegna nel sistema formativo, sia da studente sia da professore.

Non sempre è stato così, nella storia della cultura politica dei partiti e in quella sindacale, dove pure grande è l’attenzione per la coesione sociale e a non lasciare nessuno indietro. Questa esclusività e visione di due sistemi come alternativi poteva essere forse vera qualche decennio fa, in tutt’altro contesto economico e politico, prima della globalizzazione. Oggi non lo è più, ed è la stessa Europa – è stata la commissaria europea in visita a Roma a dirmelo con grande decisione – a volere da noi una modernizzazione della nostra visione della formazione.

Quel che stiamo facendo, però, non lo facciamo solo per l’Europa o perché qualcuno ce lo impone. Lo facciamo per un dovere di fedeltà alla nostra Costituzione e ai valori di eguaglianza, di dignità e di opportunità in essa sanciti. La rinuncia della scuola e dell’università italiane a valorizzare al suo interno i “capaci e meritevoli” rappresenta una scelta di fatto – anche se non di diritto – elitaria e discriminatoria proprio nei confronti dei più deboli. Se la scuola e l’università rinunciano a fornire a chi ne potrebbe usufruire e a chi si impegna in esse possibilità formative di “eccellenza”, di fatto le lascia alla pura forza di chi ha una famiglia alle spalle che se le possa permettere.

L’antagonismo ideologico tra equità e merito non ha più ragion d’essere nel mondo globalizzato di oggi e si rivela sempre più una scelta di classe a favore dei ricchi, indipendentemente dal loro merito e dall’apporto che sapranno portare all’intero paese. La competizione di un volta tra sistemi nazionali è divenuta oggi anche competizione mondiale tra individui e noi italiani non possiamo fare a meno di confrontarci seriamente con questo passaggio d’epoca.

Lo ripeto: diritto allo studio e misure premio per chi si impegna di più sono due facce della stessa medaglia di una scuola moderna, europea ed inclusiva. Ne sono davvero convinto. Certo, non è un concetto di immediata intuizione, perché il diritto allo studio è universale, mentre il premio è per sua natura selettivo. Ma sono sicuro che, esaminando nel merito tutte le proposte, su cui sono sempre aperto al confronto, potrete riconoscere che la filosofia che le innerva non è quella di un modello elitario e spietato, bensì quello di una democrazia aperta e attenta soprattutto ai più deboli. Solo così potremo fare il bene allo stesso tempo del nostro paese e dei nostri ragazzi. E a questo modello inclusivo ma flessibile intendo lavorare nei mesi che rimangono del mio incarico, spero con il vostro sostegno.

A presto Francesco Profumo

da Retescuole 05.06.12

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“Ma la vera partita è sui fondi alle scuole migliori” di Alessandra Ricciardi

La riforma del merito riguarda il merito degli studenti e quello delle scuole. Basta la medaglietta allo studente dell’anno a giustificare l’alzata di scudi di sindacati e Pd contro la proposta sul merito di Profumo? Certo, c’è un discorso di fondo che attiene al senso di scuola come comunità, perché innescare tra gli studenti l’emulazione verso i migliori deve significare anche innalzare la qualità del gruppo-classe. E però. Nella bozza che ha letto ItaliaOggi, all’articolo 5 spunta la «valorizzazione del sistema scolastico»: la riforma del merito riguarda il merito degli studenti e quello delle scuole. Su questo tema già Mariastella Gelmini aveva avuto filo da torcere, la valutazione delle scuole alla fine è stato avviata sotto forma di sperimentazione. E uno dei progetti, quello che dava premi ai singoli docenti migliori, dopo aver scontato grandi difficoltà nel trovare adesioni, è stato bloccato. Va avanti la valutazione delle perfomance dell’istituto. La proposta Profumo ridisegna il sistema. Prevede che le scuole siamo valutate in base all’offerta di percorsi per le certificazioni delle lingue straniere, ai risultati ottenuti nella prevenzione dell’abbandono scolastico e formativo e nel contrasto all’insuccesso scolastico, e alla luce «del numero degli alunni che hanno partecipato alle fasi provinciali e regionali delle Olimpiadi» a cui accedono i più bravi. Nel novero dei criteri di valutazione, la collaborazione con istituzioni culturali e soggetti imprenditoriali e la partecipazione a progetti comunitari. Ma a cosa servono le valutazioni? A conoscere i punti di forza e di debolezza degli istituti, ma potenzialmente anche a diversificare i finanziamenti. In Inghilterra, per esempio si penalizzano le scuole peggiori in quanto a perfomance. Questo il decreto Profumo non lo diceva, ma il timore che si andasse a parare in quella direzione era diffuso.

da ItaliaOggi 05.06.12