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"La meritocrazia della frusta secondo Shakespeare", di Francesco Cundari

Il dibattito suscitato dalle proposte del ministro Profumo per la promozione del merito non può non risentire di un clima culturale diffuso, che è anche il frutto di una lunga campagna ideologica: quella che ha come parola d’ordine la «meritocrazia» e come modello i Paesi anglosassoni. In proposito, tra tante citazioni di Margaret Thatcher (peraltro non sempre dichiarate), vale forse la pena di citare un autore che nella cultura anglosassone ha avuto un ruolo certamente non inferiore.
Ci riferiamo all’Amleto di William Shakespeare (Atto II, scena 2), laddove il principe di Danimarca raccomanda a Polonio di trattare come si deve un gruppo di attori loro ospiti, e il ciambellano risponde che li tratterà «come meritano». Parole che suscitano l’immediata replica di Amleto: «Per il sangue di Cristo, amico, molto meglio! Trattate ogni uomo secondo il suo merito, e chi sfuggirà alle frustate? Trattateli secondo il vostro proprio onore e la vostra dignità: quanto meno essi meritano, tanto più merito c’è nella vostra generosità». Da notare che a proporre di trattare gli attori «come meritano» è Polonio, personaggio che agli occhi di Amleto rappresenta l’incarnazione stessa della mediocrità; ma una mediocrità non priva di astuzia, che all’ombra del potere si fa strada grazie agli unici veri meriti che può vantare presso il sovrano: conformismo e ipocrisia. Si potrebbe dire, pertanto, che è dai tempi di Shakespeare che a invocare «meritocrazia» sono anzitutto i cortigiani del potere. Basta pensare a come sono stati trattati, in quel modello di «meritocrazia» che sarebbero gli Stati Uniti, i manager responsabili del fallimento delle principali banche americane (nonché della più grave crisi finanziaria del dopoguerra), salvate dallo Stato a peso d’oro: tutti usciti di scena con compensi miliardari (quando ne sono usciti). Ed è lo stesso Paese in cui poi si discute se i fumatori o gli obesi poveri, a causa del loro stile di vita, abbiano diritto a essere curati a spese dei contribuenti (per non parlare di tutto il dibattito sulla riforma sanitaria di Obama). A dimostrazione di quanto diversa sia la valutazione e il riconoscimento di meriti e demeriti: severissima con chi si trova alla base della piramide sociale, assai più generosa con chi si trova ai vertici.
Quello che sta accadendo in Grecia, e più in generale in Europa, è un altro esempio di come nel nostro dibattito pubblico parole come «virtù», «disciplina», «merito», siano diventate nient’altro che l’ossequio del più debole alla legge del più forte (nel caso specifico, la Germania). Eppure i Paesi dove c’è la maggiore mobilità sociale, dove cioè i figli delle fasce più povere hanno le maggiori possibilità di migliorare la propria condizione di partenza, non sono affatto quelli portati a esempio dai cantori della «meritocrazia» (Stati Uniti e Gran Bretagna), ma proprio quelli dell’Europa continentale (dalla Germania ai Paesi scandinavi), dove sono minori le diseguaglianze e più forte il ruolo dello Stato, della politica e dei corpi intermedi.

l’Unità 06.06.12