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"La strada del coraggio", di Massimo Riva

La recessione presenta il conto e illumina di una luce obliqua il circolo vizioso nel quale si dibatte la politica economica del paese, stretta fra la necessità del rigore e l´esigenza di ritrovare la strada della crescita. A prima vista, i dati sulle entrate fiscali del primo quadrimestre dell´anno potrebbero anche essere letti in positivo dato che segnalano un incremento, seppur piccolo, dell´1,3 per cento. Ma ciò, purtroppo, non significa affatto che consumi e attività produttive riescono comunque a tenere un buon passo. Il punto è che quel minimo aumento del gettito è dovuto essenzialmente agli effetti delle manovre dell´ultimo scorcio dello scorso anno con le quali lo Stato ha pesantemente gravato con maggiori prelievi la vita degli italiani, segnatamente con le accise su benzina e combustibili vari.
Una manovra resa indispensabile per fermare la corsa dell´Italia verso il baratro ma che – ecco l´aspetto più allarmante dei nuovi dati – si sta rivelando insufficiente a raggiungere gli obiettivi di risanamento programmati. Quantunque in aumento, il volume complessivo delle entrate risulta, infatti, inferiore di 3.500 milioni alle aspettative del governo come indicate nell´ultimo Documento di economia e finanza. Insomma, a dispetto dell´aumento della pressione fiscale, i conti ancora non tornano e ciò potrebbe far immaginare che l´Erario dovrà ulteriormente appesantire la sua mano nei restanti mesi dell´anno. In concreto: il temuto aumento dell´Iva dal 21 al 23 per cento, almeno in base a questi primi dati, si sta materializzando su un orizzonte sempre più ravvicinato.
Prospettiva che assume contorni drammatici alla luce di un dettaglio specifico del rendiconto fiscale sui primi quattro mesi dell´anno. Dal quale emerge che una delle voci più negative per le entrate pubbliche riguarda proprio gli incassi dell´Iva sugli scambi interni diminuiti del 2,2 per cento nonostante il già effettuato aumento dal 20 al 21 per cento dello scaglione principale. Cifre che dicono una verità tutt´altro che sorprendente: quando l´Iva cresce in tempi di crisi il suo effetto, come s´usa dire in economia, è prociclico. Vale a dire che deprime consumi e affari fino al punto di neutralizzare ogni speranza di maggiori incassi da parte dell´Erario.
Ciò significa che la politica economica del paese è sempre più prossima a un punto di rottura oltre il quale la strategia del rigore, anziché aiutare il risanamento dei conti pubblici, minaccia di renderlo impossibile. L´unica strada percorribile per uscire da questa strettoia travalica e di parecchio i confini nazionali. Soltanto in una dimensione europea, infatti, possono essere affrontati e allentati quei prepotenti vincoli esterni che stanno mettendo alla corda i paesi con le finanze più instabili.
C´è un surplus di durezza nell´offensiva che i mercati finanziari stanno conducendo contro i paesi più vulnerabili di Eurolandia – dalla Grecia alla Spagna e forse presto anche all´Italia – dovuto all´incapacità delle istituzioni continentali di offrire risposte adeguate alla portata della sfida. Incapacità – questo ormai è sotto gli occhi di tutti – che ha le sue radici nel palese rifiuto del governo del paese più ricco di assumersi la responsabilità storica di far fare al più presto passi avanti decisivi sul terreno dell´integrazione europea vuoi dando alla Bce poteri e compiti da vera banca centrale vuoi accettando di condividere attraverso l´emissione di obbligazioni comuni (gli ormai famosi Eurobond) un percorso di mutualità almeno analogo a quello che gli atri soci europei seppero fare per aiutare la riunificazione delle due Germanie con il ben discutibile cambio alla pari fra marchi dell´Est e dell´Ovest.
Ecco un nodo risolutivo sul quale oggi dovrebbe essere concentrato in via esclusiva il dibattito del mondo politico italiano.
Soprattutto dopo che le elezioni francesi hanno aperto un´insperata finestra sulla possibilità di praticare una svolta nella conduzione della politica europea. Con sconcerto crescente, viceversa, si è costretti ad assistere a un teatrino politico domestico nel quale anziché avanzare proposte e progetti per aiutare il governo Monti ad alzare la sua voce in Europa, si discute in toni goliardici di elezioni anticipate come se il paese stesse attraversando una crisi interna come tante superate in passato. Agli italiani tartassati, che anche giustamente si scandalizzano per gli eccessivi costi della politica, è il caso di segnalare che il vero ed esorbitante costo della politica domestica consiste oggi nella manifesta inadeguatezza dei suoi esponenti a fronteggiare le micidiali sfide che stanno dinanzi al paese.

La Repubblica 06.06.12

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“I FATTORI DELLA CRISI”, di MOISÉS NAÌM

Perché la crisi in Europa continua ad aggravarsi e a estendersi? Ignoranza? Troppo potere concentrato in poche mani? O forse invece tutto il contrario, e cioè che chi deve prendere le decisioni non ha il potere per farlo? A mio parere si tratta di una nefasta combinazione di tutti e tre questi fattori.
– Ignoranza. È evidente che non c´è accordo sulle misure da prendere, né tra i Governi né tra gli esperti. Il dibattito fra i difensori dell´austerità e quelli che vorrebbero spendere di più per stimolare la crescita dell´economia domina i titoli dei giornali, e mentre la tormenta infuria la discussione si trasforma in un torneo di frasi fatte e affermazioni superficiali. D´altronde, l´austerità, di regola, non è un´opzione fra le tante. Un povero non vive in ristrettezze perché prima se la passava bene e a un certo punto ha deciso che preferiva la frugalità allo sperpero. Allo stesso modo l´austerità per molti Paesi – e famiglie – è una feroce e ineludibile realtà. D´altro lato, anche imporre ancora più austerità a chi già non riesce a vivere con il poco che ha non è un´opzione valida. In ogni caso il dibattito va avanti e la sicurezza con la quale i nomi più noti della scienza economica offrono le loro raccomandazioni contrasta con l´attendibilità dei loro pronostici e interpretazioni prima e durante la crisi. Andrew Lo, un economista del Mit, ha appena pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore Journal of Economic Literature una rassegna dei 21 libri che hanno avuto maggior risonanza nel dibattito sulla crisi. Questa la sua conclusione: «Da questo vasto e contraddittorio insieme di interpretazioni non emerge una narrazione unica: la grande varietà di conclusioni a cui giungono i diversi studiosi […] mostra con chiarezza la disperata necessità che gli economisti di professione si accordino su una base di dati comuni da cui partire per costruire deduzioni e narrazioni più accurate». In altre parole: se gli economisti più importanti non riescono nemmeno a mettersi d´accordo su quali siano i fatti e i dati rilevanti per spiegare la crisi, non c´è da sorprendersi che abbiano opinioni diverse su quello che bisogna fare per uscirne. Eppure non sembrano darsene per inteso. Questa crisi ha rivelato che uno dei rischi professionali di chi pratica l´economia come mestiere è l´arroganza intellettuale.
– Molto potere in poche mani. D´altro lato, è evidente anche che la crisi non è solo economica e che le contraddizioni e discordie fra gli esperti non bastano a spiegare quello che sta succedendo. La politica ha molto a che vedere con quello che sta succedendo e parlare di politica è parlare di potere. Ci sono protagonisti di questo dramma che non hanno il potere per dare soluzione alla crisi, ma hanno il potere di mettere il veto alle iniziative altrui che non gli vanno a genio, interrompendo il gioco. Un esempio in tal senso è la Cancelliera tedesca Angela Merkel. La Germania potrebbe stimolare maggiormente la sua economia e sostenere altre misure in grado di aiutare il resto dell´Europa a uscire dalla crisi. Mettere in vendita sui mercati mondiali un´obbligazione unica emessa dall´insieme dell´Eurozona è un buon esempio di iniziative valide che finora sono state frenate da Berlino. Questi «eurobond» avrebbero a garanzia tutta l´economia continentale e servirebbero a ridurre il premio di rischio e gli interessi che devono sborsare i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi (e che più dipendono dal credito estero). Ma di questi tempi il potere non si concentra solo in alcuni Paesi o alcuni leader. Anche i finanzieri in grado di spostare grandi volumi di capitali da un Paese all´altro sono protagonisti importanti del dramma europeo. Non possono imporre politiche, ma possono mettere il veto alle decisioni o limitare le opzioni a disposizione dei Governi.
– Poco potere in molte mani. Per altro verso, un aspetto paradossale e contraddittorio del potere di questi tempi è la scarsità, precarietà e contraddittorietà del medesimo. Perfino i personaggi più potenti devono fare i conti con ostacoli smisurati per esercitare il potere. E lo perdono con frequenza inusitata, rimpiazzati da rivali, colleghi oppure concorrenti a sorpresa che compaiono in scena all´improvviso. Angela Merkel non è in grado di fare tutto quello che le piacerebbe e le opzioni a sua disposizione sono limitate da una miriade di micropoteri che pur non avendo la forza di imporre la loro volontà hanno la forza di limitare i più potenti. Nemmeno i padroni della finanza oggi possono dormire tranquilli nella certezza che le loro cariche e le loro organizzazioni siano al riparo dalle turbolenze in cui viviamo. Nel mondo di oggi il potere è estremamente frammentato e la crisi europea è la prova più lampante di questa tendenza. Perfino le persone che hanno più potere sono in grado di influire sulla sua evoluzione solo in modo tenue e indiretto. La crisi continua perché in Europa non c´è nessuno che abbia il potere per mettervi argine. Per il momento.
#moisesnaim
(Traduzione di Fabio Galimberti)

06.06.12