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"Sulla sicurezza non si tratta", di Luigi Mariucci

L’azienda che chiede ai propri dipendenti di firmare una cosiddetta «liberatoria» al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità penale e civile in caso di nuovi sismi compie certamente un atto ignobile. Con una aggravante: quell’atto oltre che indecente è per di più inutile, perché in nessun modo un lavoratore può disporre della sua vita e della sua sicurezza. Sarebbe come se a un dipendente si chiedesse la disponibilità ad utilizzare sostanze palesemente nocive, come l’amianto. La sicurezza del lavoro non è ovviamente disponibile con atti negoziali privati. Pare tuttavia che questo sia accaduto in alcune aziende delle zone colpite dal terremoto in Emilia Romagna. Non c’è ragione di dubitarne, perché la denuncia viene da una persona seria, componente della segreteria regionale della Cgil. C’è da domandarsi come si sia potuti arrivare a un atto così palesemente insensato. Sono le aziende che vogliono imporre ai dipendenti la ripresa a tutti i costi del lavoro, o sono gli stessi lavoratori che sono ansiosi di tornare a lavorare, di riprendere la vita normale? Tornare alla normalità, riprendere il lavoro, ricostruire anzitutto le aziende e le attività produttive sono impulsi giusti, sacrosanti. È evidente infatti che in quel cuore produttivo emiliano ad altissima qualità, investito dal sisma, la priorità assoluta consiste nel fare ripartire il lavoro. È strano come nelle catastrofi si veda meglio ciò che fonda il tessuto connettivo di una società: il lavoro, anzitutto, la capacità di guadagnarsi da vivere lavorando, poiché il lavoro è lo strumento principale della integrazione sociale, del senso di sé come individuo legato ad una collettività. Tuttavia tra questa esigenza primaria (il lavoro) e l’altra (la sicurezza del lavoro) talora si aprono contraddizioni drammatiche. Di questo è carica la storia dell’industrialismo, dai suoi albori ai nostri giorni. Basti pensare a cosa succede a Taranto, attorno all’Ilva: metà popolazione vuole la chiusura dello stabilimento inquinante, l’altra metà lo difende essendo la sua esistenza condizione di vita. Perciò le indecenti quanto inutili «liberatorie » costituiscono certo un grave incidente, da rimuovere subito, che non fa giustizia al sentimento di solidarietà che prevale in quelle situazioni e che sarà la forza vera della rinascita, ma ci raccontano anche qualcosa di più profondo. Ci dicono quanto sia difficile mettere in equilibrio i diritti delle persone che lavorano e le esigenze materiali, del mercato, della competitività, del produttivismo. Fantasticare di scenari alternativi (dalle teorie della decrescita a quelle sui modelli alternativi di sviluppo) è facile. Tutt’altra cosa è agire nel concreto, qui e oggi. Il terremoto dell’Emilia costituisce quindi uno straordinario paradigma della complessiva vicenda dell’Italia di oggi. Si tratta di far fronte alla emergenza, di rassicurare le popolazioni, di assisterle, di favorire la loro voglia di ricostruzione. Ma al tempo stesso di fare intendere che qualcosa, nella struttura del mondo in cui viviamo, non va. Non può essere che siano le dinamiche del mercato a dettare le leggi. Che la politica sia intesa solo come esecutrice di questi leggi oppure come terreno di scorribanda per demagoghi e avventurieri. Il lavoro serio e lungo per la rinascita di quel cuore produttivo dell’Emilia-Romagna distrutto dal terremoto costituirà la prova più vera di cosa significano la buona politica e la buona amministrazione, molto di più di ogni di ogni vano discorso sulla riforma, in astratto, della politica.

l’Unità 06.06.12

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Sisma, le aziende agli operai «Una liberatoria per lavorare», di Michele Concina

Potete tornare a lavorare, ma a vostro rischio e pericolo. Se vi fate male o peggio, voi e le vostre famiglie non potete chiedere nulla all’azienda. Variamente attenuato, è questo il messaggio che alcune aziende della zona terremotata hanno indirizzato ai loro dipendenti, chiedendo una «liberatoria» come condizione per il rientro in fabbrica. Episodi limitati, tuttavia: a bloccare sul nascere ogni eventuale voglia d’imitazione è arrivato l’altolà non solo della Cgil e dei partiti di sinistra, ma dello stesso presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi.
L’unico caso documentato riguarda un’azienda di abbigliamento di Carpi, la Forme Physique di Paola Zerbini. Altre, non meglio precisate, avrebbero rinunciato a imitarla di fronte al fuoco di sbarramento che si è subito scatenato. La Cgil, parlando di «irresponsabilità e indecenza», ha prospettato denunce in Procura. Paolo Ferrero, leader di Rifondazione, ha gridato ai «delinquenti». Italia dei valori ha accusato gli imprenditori di «sciacallaggio»; Cesare Damiano, Pd, ex ministro del Lavoro, di «barbarie». E Squinzi, a chi gli chiedeva se la Confindustria condanna la richiesta di liberatorie, ha risposto: «Certamente. Ho sempre detto che bisogna ripartire, ma in sicurezza».
Senza arrivare alle scorciatoie imboccate da quelli della Forme Physique, molti imprenditori emiliani continuano a polemizzare sull’ordinanza del 2 giugno della Protezione civile riguardante la sicurezza dei capannoni. Secondo Carlo Alberto Roncarati, presidente dell’unione regionale delle camere di commercio, senza modifiche l’ordinanza «non lascerebbe scampo alle attività economiche che, quasi tutte, si svolgono in immobili costruiti prima dell’entrata in vigore delle attuali normative». Vale a dire, in capannoni che sarebbe impossibile, oppure costosissimo e lungo, adeguare alle leggi antisismiche.
Una spinta alla ripresa, in particolare delle aziende del distretto biomedicale di Mirandola, potrebbe venire dall’incasso dei vasti e annosi crediti che vantano nei confronti della clientela, cioè delle Asl. Sono 5-600 milioni, calcola Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica. Qualcosa si sta muovendo, su questo fronte: gli ospedali di Catania e Messina si sono impegnati ad accelerare i pagamenti.
Un’altra tentazione potrebbe essere quella di chiudere bottega, spostare altrove la produzione. Per arginarla, la Regione ha avvertito che «tutti i contributi europei, nazionali, regionali e locali saranno concessi esclusivamente alle imprese che confermeranno la loro permanenza sul territorio». Rimondi, di Assobiomedica, ha promesso: al massimo ci sposteremo di qualche chilometro, conservando gli stessi dipendenti. Da oggi è su Internet un primo elenco di capannoni in provincia di Modena liberi e utilizzabili per questa specie di mini-delocalizzazione.
Fra tanti che aiutano, ci sono i cantanti: il 25 giugno si esibiranno per i terremotati Francesco Guccini, Zucchero, Samuele Bersani, Laura Pausini, Gianni Morandi, Luca Carboni, gli Stadio, Cesare Cremonini. Salta agli occhi un’assenza, quella di Vasco Rossi: «Penso che la beneficenza si debba fare tirando fuori i soldi dal proprio portafoglio, senza troppa pubblicità», ha spiegato.
Ma, mentre l’elenco delle vittime si allunga -ieri sono morte due donne, portandolo il totale a 26- c’è anche chi cerca di approfittare delle disgrazie dell’Emilia. Le due maggiori organizzazioni degli agricoltori, Coldiretti e Cia, denunciano tentativi di comprare a prezzi ignobili il parmigiano dei magazzini crollati. E il Codacons, un’associazione di consumatori, in un esposto alle procure di Bologna, Modena e Ferrara, chiede d’indagare su tutti i fenomeni di speculazione riguardanti il settore agro-alimentare.

Il Messaggero 06.06.12