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"Bersani: alle urne nel 2013 col patto dei riformisti", di Simone Collini

La proposta di un patto dei riformisti per la ricostruzione del Paese, un appello a forze moderate, movimenti, associazioni, personalità del mondo della cultura e dell’impresa a scrivere insieme l’agenda con cui andare alle elezioni del 2013. Ma questo, nell’intervento con cui oggi Pier Luigi Bersani aprirà la Direzione del Pd, arriverà dopo un ragionamento suI ruolo dell’Europa nella gestione della crisi, dopo aver ribadito la lealtà nei confronti del governo Monti, che deve però approvare subito le misure necessarie a far ripartire l’economia italiana, dopo aver risposto ad Angelino Alfano sulla possibilità di approvare entro i prossimi venti giorni una nuova legge elettorale.

E in coda a tutto questo, e dopo aver anche ricordato che il Pd è «il perno» di ogni possibile alleanza di governo, arriverà la candidatura alla premiership, compresa l’apertura all’ipotesi di primarie aperte nel caso (auspicato) ci siano altri contendenti.

LEGGE ELETTORALE, SFIDA AL PDL
L’appuntamento di oggi, racconta chi ha letto l’intervento con cui il segretario aprirà il confronto col resto del gruppo dirigente del Pd, segnerà un importante punto di svolta. Perché Bersani lancerà un appello «largo» a forze progressiste ma anche moderate, a partiti ma anche associazioni, affinché stringano con i Democratici un «patto per la ricostruzione» che avrà come data di inizio la primavera 2013 e che dovrà poi essere mantenuto per l’intera prossima legislatura («che dovrà essere costituente»).

Ma anche perché – al di là dei ragionamenti sull’emergenza economica e su ciò che l’Europa e il nostro governo dovrebbero fare per superarla – Bersani chiederà ai vertici del suo partito un mandato forte a verificare la possibilità di approvare entro le prossime tre settimane una nuova legge elettorale.

Il leader dei Democratici vuole rispondere ad Alfano, che ha proposto «un accordo» per superare il Porcellum «entro il terzo venerdì dalla Direzione del Pd». Bersani sottolineerà che ogni confronto dovrà avvenire in Parlamento, che il Pd è per il doppio turno di collegio ma è disponibile a discutere altri modelli di voto, purché siano fissati precisi paletti: che sia assicurata agli elettori la facoltà di scegliere i parlamentari e che sia garantita la governabilità.

Ma la sfida al Pdl sarà duplice, perché da troppo tempo vanno in scena veti, tatticismi, diversivi: è il caso della proposta di approvare una riforma istituzionale che introduca il semipresidenzialismo, a cui far seguire poi una riforma elettorale che porti al doppio turno. Per Bersani non si può però cambiare forma di governo attraverso un emendamento, non ci sono le condizioni per modificare una ventina di articoli della Costituzione in pochi mesi.

Se nei giorni scorsi un gruppetto di senatori Pd (Marco Follini, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Umberto Ranieri) aveva proposto di confrontarsi con la proposta di Berlusconi, Bersani oggi chiederà ai vertici del partito un pronunciamento che ponga fine a una simile discussione prima ancora che il dibattito in Aula entri nel vivo.

Se superare il Porcellum è d’obbligo, sarebbe però per Bersani un errore impegnare il Parlamento in un dibattito che non approderebbe a niente (mentre una riforma in chiave semipresidenzialista potrebbe essere affrontata con profitto nella prossima legislatura) e che distoglierebbe l’attenzione dai problemi reali. L’Italia è tutt’altro che uscita dalla crisi, e sarà soprattutto su questo che il leader del Pd insisterà nell’intervento con cui oggi aprirà i lavori della Direzione.

IL RUOLO DELL’EUROPA E MONTI
Il ragionamento partirà dal ruolo che può e deve avere l’Europa nella gestione della crisi e si concentrerà sulle proposte avanzate dai progressisti europei (dagli Eurobond alla tassazione sulle transazioni finanziarie), sulla necessità di prendere decisioni vincolanti al vertice di Bruxelles di fine mese e su ciò che il nostro governo può fare per lavorare insieme agli altri partner e convincere chi, come la Germania, ancora mostra resistenze a correggere la rotta.

Allo stesso Monti oggi Bersani chiederà di accelerare sulle misure necessarie a far ripartire l’economia italiana (politiche industriali ma anche deroghe al patto di stabilità interna con i Comuni) e di fare bene attenzione a non prendere decisioni che rischierebbero di favorire anziché contrastare la recessione (l’ipotesi di un aumento dell’Iva non viene affatto visto di buon occhio dal leader del Pd, che teme un ulteriore calo dei consumi se in autunno dovesse essere adottata una simile misura).

Al governo guidato da Monti, però, Bersani ribadirà l’assoluta lealtà del Pd. Perché con Monti ha siglato un «patto» a cui non intende venir meno. Ma anche perché nei prossimi mesi, con i rischi che corre l’Euro e quel che sta attraversando l’Unione, in primis con i casi della Grecia e della Spagna, l’Italia ha bisogno di «stabilità» e sarebbe un grave errore «accendere altri fuochi».

l’Unità 08.06.12

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Primarie, i dubbi e i sì «Ridiamo slancio al Pd», di Maria Zegarelli

«Ormai lo conosciamo bene, è fatto così. Ascolta tutti ma alla fine le decisioni le prende in solitaria», racconta un deputato mentre è in corso una riunione dei capigruppo sulla spinosissima questione del ddl anticorruzione. Pier Luigi Bersani, come anticipato da l’Unità, annuncerà le primarie di coalizione durante la direzione di oggi. Una decisione di cui ha parlato con tutti i dirigenti del Pd, l’ultimo incontro proprio ieri mattina con Rosy Bindi, il vice-segretario Enrico Letta e i capigruppo di Camera e Senato Dario Franceschini e Anna Finocchiaro. Tutti gli hanno sconsigliato le primarie di partito, compreso Massimo D’Alema, perché è stato il ragionamento comune a molti questo significherebbe aprire un congresso e un dibattito tutto interno «che verrebbe vissuto come un’astrazione dalla realtà», come ha raccontato un parlamentare di Areadem. Senza considerare il rischio di lotte interne che porterebbero alle politiche un partito lacerato. In pista, infatti, non è detto che scenderebbe soltanto Matteo Renzi, nessuno potrebbe escludere, in quel caso, «il tana libera tutti».
LA STRADA OBBLIGATA
«A questo punto le primarie di coalizione sono una strada obbligata ma anche un’opportunità vera per coinvolgere movimenti, società civile e nuove energie attorno a quella che si presenta come l’unica alternativa di governo», spiega un bersaniano doc. E questa è anche stata la valutazione del segretario: aprire il partito per la formazione del programma, con l’appello alle forze civiche, agli intellettuali, ai movimenti, ma anche con una consultazione vera per la premiership, «mettendoci la faccia», non nascondendosi dietro una norma statutaria e puntando ad una piena legittimazione.
Arturo Parisi, non si sbilancia, chiede se questo voglia dire aver rinunciato alla riforma della legge elettorale: «Voglio ascoltare con attenzione cosa dirà in direzione perché voglio capire quale è il percorso che immagina ma è chiaro che se sono di coalizione sono contento». Accanto a lui Nichi Vendola si informa: «Parlerà di primarie di coalizione? Bene, benissimo». Anche perché Sel in caso contrario le avrebbe comunque lanciate a prescindere dal Pd, fanno sapere i suoi.
Per D’Alema se ci sono primarie di coalizione il Pd il suo candidato lo ha già ed è Bersani, ma l’unica dichiarazione che concede è per smentire un suo colloquio con un giornalista di un quotidiano secondo il quale era contrario alla chiamata ai gazebo.
Il tema è bollente tra i democrat in Transatlantico. «Facciamo le primarie? Ok, facciamole, vince Bersani, ma se Renzi prende il 30% poi quando si fanno le liste come ci regoliamo?», ragiona un onorevole al telefono senza rendersi conto dei taccuini aperti dei cronisti dando corpo al fantasma che aleggia nei pensieri di quanti vivono come un incubo l’eventualità anche soltanto di una buona affermazione di Renzi. Che cosa farà il sindaco fiorentino, come si piazzerà, quanto bisogna temerlo, soprattutto dopo l’assist di Confindustria? Bersani il problema sembra non porselo, ma di sicuro questa accelerazione nasce anche dal fatto che non aveva alcuna intenzione di dover rincorrere il rottamatore sulle primarie. E se lo Statuto prevede che il segretario Pd sia il candidato alla premiership nelle consultazioni di coalizione Bersani intende non appellarsi alla norma statutaria, «saranno comunque aperte a chiunque intende candidarsi», ha ripetuto durante gli incontri riservati di questi giorni.
«Le anticipazioni di Bersani sono molto coraggiose», commenta Ettore Rosato. «Con Bersani ne ho parlato più volte racconta Fioroni gli ho detto che devono essere primarie di area progressista, anche perché adesso non possiamo definirle in altro modo dal momento che la coalizione ancora non c’è». Ma Fioroni si aspetta di sentire soprattutto altro oggi: «Spero che cisipongaladomanda-ecisiadiala risposta su cosa deve fare il governo da qui ad aprile perché ci sono delle scelte politiche che vanno fatte. Ma non possiamo neanche giocare sul semipresidenzialismo: il rischio è che alla fine al Pd resta in mano il cerino della legge elettorale. È importante anche su questo avere una posizione e decidere, ad esempio, che se il Pdl bloccherà la riforma del Porcellum, ci si batterà per reintrodurre almeno le preferenze».
IL PROFILO RIFORMISTA
Walter Verini si sofferma poco sulle primarie, «sono sempre positive e se le facciamo devono essere aperte, molto aperte», ma quello che gli sta a cuore è il progetto politico e il profilo riformista del suo partito. «Intanto dobbiamo discutere di come rafforzare l’azione del governo Monti e di come condurre in porto la legislatura dice, ma spero che si parli molto di Italia, che si lanci un appello a tutti i riformisti del Paese affinché con il Pd si possa costruire un programma di governo candidando proprio il nostro partito a guidare il cambiamento del Paese, compresa la radicale riforma della politica».
«Non ho mai nutrito particolare passione per le primarie ma le ritengono strumento utile. Però se le dobbiamo fare le facciamo una volta, dice l’ex ministro Cesare Damiano quando si capisce quale sarà la legge elettorale e si delineerà il quadro le alleanze. Ma ogni partito deve indicare non più di un candidato». Secondo Damiano sarebbe come sparare con un’arma spuntata se il Pd arriva alle primarie di coalizione con più candidati.
Circola già una data, il 14 ottobre, la fibrillazione è altissima, non tutti hanno gradito la notizia, c’è chi dice che adesso inizia «il suicidio assistito perché da qui ad allora non si parlerà d’altro che di Renzi, Vendola e primarie, mentre il Paese sta andando a fondo».

l’Unità 08.06.12