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"La road map di Bersani convince tutti. Un mese per decidere quali primarie", Rudy Francesco Calvo

Gazebo per aprire il campo dei riformisti e scegliere il premier, poi patto di legislatura coi moderati. Per Pier Luigi Bersani quella di ieri «è stata una bella giornata» (sono parole sue), in cui è riuscito a mettere tutti d’accordo nel suo partito, ottenendo un sì unanime alla sua relazione, che ha aperto la riunione della direzione nazionale. Certo, sul percorso che lui ha individuato, soprattutto per quanto riguarda le regole delle primarie, rimangono forti dubbi tra i dirigenti democrat. Ma il segretario, in direzione, ha voluto lanciare un messaggio quanto più possibile chiaro: «Il senso per un cittadino è che noi, a differenza di tutti gli altri, gli facciamo scegliere il candidato premier. Poi come, fra chi, fra quanti, lo decidiamo».
Di sicuro, saranno primarie «aperte», cioè alle quali potranno partecipare esponenti di altri partiti, personalità singole o sostenute da liste civiche che decidono di prendere parte al «campo democratico e progressista» e, come preannunciato, altri iscritti al Pd. Oltre al segretario, ovviamente, che si è già candidato. Si tratta, però, solo del punto di arrivo («entro la fine dell’anno») di un percorso che inizierà subito, con un patto per le riforme che Bersani rilancia ad Alfano: «Tre settimane e si decide se c’è l’accordo o no».
Sulla legge elettorale, perché il semipresidenzialismo «non è percorribile in questo scorcio di legislatura». La proposta del Pd rimane l’uninominale con doppio turno alla francese, anche se «non butto via nessuna ipotesi di extrema ratio», precisa il leader dem. L’importante è eliminare il Porcellum, altrimenti «anche il resto del film si indebolisce un po’». Cioè, quel «patto di legislatura» che dai democratici e progressisti si dovrà allargare – nelle intenzioni di Bersani – ai moderati (dopo la celebrazione delle primarie), per occuparsi insieme di «salvare l’Italia e l’Europa». Il segretario sa che nei prossimi mesi «non migliorerà rapporto tra politica e opinione pubblica» e che probabilmente prima del 2013 nasceranno nuove offerte politiche.
Per questo non servono «generiche carovane » (che ricorderebbero la gioiosa macchina da guerra del ’94), ma bisogna «ricavare governabilità dalla partecipazione». Il primo effetto della proposta di Bersani è stato quello di far ritirare a Civati, Gozi e gli altri l’ordine del giorno che avevano preparato proprio per chiedere le primarie per la scelta del candidato premier, ma anche per i parlamentari e il rispetto del limite dei tre mandati, senza deroghe. Su questi ultimi due punti – garantiscono – la vigilanza rimarrà alta. Sulle regole che dovranno regolamentare la scelta del candidato premier, invece, il confronto è rinviato all’assemblea nazionale che si svolgerà a luglio.
Molti dem sono intervenuti per sottolineare la necessità di puntare prima sul progetto e poi sulle primarie, in modo da «non farne un momento salvifico» (D’Alema), chiedere «un’ulteriore riflessione» sulla possibilità che ci siano più candidati dem (Marini), o definire con chiarezza «qual è il campo di forze al quale noi attribuiamo il compito micidiale di governare il paese» (Gentiloni), precisando che «quell’alleanza di Vasto non funziona».
Sulle possibili opzioni di riforma elettorale, è stata sancita la definitiva rottura di MoDem. Per Fioroni, se non si riuscisse a cambiare il Porcellum bisognerebbe tenere in considerazione l’introduzione delle preferenze. Possibilità respinta al mittente da Veltroni, mentre lo stesso Gentiloni dice no anche alle primarie per le liste bloccate. Nelle sue conclusioni, Bersani ha stoppato anche le critiche al governo, confermando che l’orizzonte del Pd rimane il 2013. «Qui diciamo quello che pensiamo – ha avvertito il segretario – ma fuori da qui non possono esserci sbavature, tutte le critiche devono stare al di qua del tema della induzione di instabilità».
Nel corso del dibattito, erano stati ancora i Giovani turchi ad andare giù duri sul rapporto con l’esecutivo. Fassina lo ha accusato di «inadeguatezza di cultura economica » e di una «caduta di credibilità con le forze economiche e sociali», mentre Andrea Orlando ha chiesto di chiarire il dissenso del partito dalla linea «prima il rigore e poi la crescita».