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"Catene alle pareti e check up delle crepe ecco il piano per salvare le case a rischio", di Elena Dusi

“Ridurre la vulnerabilità del patrimonio edilizio”, come chiede la Commissione Grandi Rischi, non è pensabile nel bel mezzo di un’emergenza. Nei paesi colpiti dal sisma è molto più urgente proseguire con la messa in sicurezza degli edifici pericolanti. Ed è questo che i tecnici sul campo continuano a fare, per nulla distratti dall’allarme di venerdì del governo. «Sapevamo anche prima quali sono i rischi che corriamo. Dopo una scossa possono ripetersene altre ed è in questa prospettiva che valutiamo se dare o meno l’agibilità delle case. Il nostro lavoro non è cambiato dopo il documento della Commissione. Semmai, notiamo più ansia tra la popolazione» spiega Alberto Borghesi, architetto del Servizio geologico sismico dell’Emilia Romagna. E c’è un aspetto che gli ingegneri sismici puntualizzano all’indomani dell’allarme del governo. Il comunicato della Grandi Rischi sottolineava infatti che “i valori dello scuotimento del terreno sono compatibili con i valori della mappa di pericolosità sismica”. Ma Alessandro Martelli e Paolo Clemente, esperti di ingegneria antisismica dell’Enea, fanno presente che le normative per costruire in Emilia Romagna prevedono uno scuotimento orizzontale massimo del terreno pari a 0,15 volte la forza di gravità. «A Mirandola e dintorni – fanno presente i due ingegneri – lo scuotimento ha raggiunto un valore di 0,3». Cioè il doppio. «Sarebbe ora di fare prevenzione in maniera seria, non di lanciare allarmi quando ormai siamo in mezzo a uno sciame sismico» chiede Martelli.

La Repubblica 10.06.12

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“Ma per capannoni e chiese ci vorranno tempi lunghi”

COSA fare ora? Il governo venerdì ha lanciato l’allarme: tra Finale e Ferrara potrebbero verificarsi nuovi forti sismi. «Mettere catene in ferro sulle pareti è una misura semplice ma efficace» dice Alberto Borghesi del Servizio sismico dell’Emilia Romagna. «Basta fare due fori con un trapano e fissare una barra sulle pareti per evitare che si aprano». Massimo Forni, l’ingegnere dell’Enea che fa parte del Comitato Operativo della Protezione Civile a Bologna, invita a tenersi alla larga da chiese e capannoni. «Questi edifici si sono rivelati molto vulnerabili. E, soprattutto per le chiese, rimediare in tempi brevi sarà difficile. Per le abitazioni, la popolazione dovrebbe fidarsi dei tecnici. Ho passato una serata a convincere gli abitanti di due caseggiati di Cento che il crollo dei comignoli e le crepe nelle strutture non portanti non sono pericolosi. Ma l’annuncio del governo ha fatto crescere la paura»

“Il primo nemico è il panico bisogna preparare la gente”

Mancanza di informazione e di “cultura sismica” hanno causato molti dei danni. «All’ospedale di Cento — spiega Massimo Forni, ingegnere dell’Enea — il 90% dei feriti si era fatto male scappando. Avevano urtato, erano scivolati o si erano gettati dalla finestra». Ma a chi si trova in un terremoto si consiglia di non scappare se l’uscita non è vicina. E a fare attenzione a quell’area vicina alla porta in cui tegole, vasi o cornicioni possono precipitare. «Quando non c’è conoscenza, è il panico a vincere» sostiene Forni. «Trasformiamo questa grande paura in cultura della prevenzione» chiede Alessandro Martelli, ingegnere antisismico e direttore del centro Enea di Bologna. «In Emilia Romagna non c’è memoria storica dei terremoti » spiega Alberto Borghesi del Servizio geologico regionale. «Ora che abbiamo scoperto il problema anche da noi, non facciamoci più cogliere impreparati».

Squadre di tre super tecnici per concedere l’agibilità

Valutare l’agibilità delle case è un lavoro rischioso, soprattutto se si annunciano nuovi forti terremoti. All’interno della Basilica di Assisi fu proprio una scossa di assestamento più violenta delle precedenti a uccidere due tecnici della Soprintendenza e due frati. Oggi a Cento Maurizio Indirli, ingegnere dell’Enea, dirige una squadra incaricata della valutazione dell’agibilità delle case. «Il nostro sopralluogo può richiedere poche ore o una giornata, come per il grattacielo di Cento. Prima di arrischiarci a entrare facciamo una perlustrazione esterna. Già così riusciamo a capire se ci sono lesioni alle strutture portanti. Se i danni sono limitati a tramezzi o tamponature possiamo anche entrare con i proprietari. Alla fine della perlustrazione compiliamo una scheda con la valutazione. Se necessario chiediamo interventi di puntellamento di travi o archi, transennature o bonifica di cornicioni e comignoli».

“Sisma di violenza inattesa gli ingegneri ne tengano conto”

E ORA adeguiamo le norme al rischio reale, chiedono tecnici e ingegneri. La Commissione grandi rischi ha chiesto edifici più robusti e “azioni mirate alla vulnerabilità del rischio sismico». Ma fino al 2003 l’ipotesi di un terremoto non era nemmeno contemplata per l’Emilia Romagna. «E oggi va meglio fino a un certo punto » spiega Paolo Clemente, ingegnere antisismico dell’Enea. «Si stima che un terremoto come quello accaduto in Emilia Romagna si verifichi ogni 2mila anni. Ma a noi ingegneri non viene chiesto di progettare edifici in vista di accadimenti così rari, perché costerebbe troppo. Il risultato è che lo scuotimento del terreno ha superato di molto quello previsto dalle normative. E a crollare non sono state solo le case, ma anche il sistema produttivo di una regione. Allora, è arrivato il momento di decidere se non convenga investire di più in prevenzione».

La Repubblica 10.06.12

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“Le aziende: riaprire subito i capannoni integri”, di Francesco Alberti

La fretta di ripartire. La vischiosità della burocrazia. L’esigenza della sicurezza. Dopo il terremoto e le morti, l’altro spettro che si aggira su questa porzione d’Emilia, che del Pil è un bel polmone, ha il suono aspro di una frase che in pochi osano pronunciare ma che staziona nelle menti di molti: desertificazione industriale. «Non partire adesso significa morire tra poco» è il mantra che da Carpi a Mirandola, da Cento a Finale, rimbalza da tutti i soggetti produttivi, piccoli e grandi. Ma riaccendere i motori delle fabbriche significa rientrare in quei capannoni, divenuti cimiteri per troppi lavoratori, che al 90 per cento non rispondono ai requisiti antisismici, dato che fino a pochi anni fa l’Emilia non era considerata a rischio. Inevitabile allora che il pressing delle organizzazioni di categoria si concentri sulle norme che ora regolano la riapertura degli stabilimenti. «Troppe rigidità, così si impedisce di fatto la ripresa delle attività anche alle aziende che non hanno subito danni» hanno denunciato in coro il presidente degli Industriali di Modena, Pietro Ferrari, quello di Confindustria Ceramica, Franco Manfredini e il direttore di Unindustria Ferrara, Roberto Bonora.
Le perplessità riguardano l’ordinanza del governo sulla ricostruzione, firmata 3 giorni fa dal presidente Napolitano, che, pur rendendo più elastiche le norme sull’agibilità rispetto al decreto del 2 giugno elaborato dal capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, e anzi prevedendo l’introduzione di un’agibilità temporanea subordinata a misure di sicurezza minime (in pratica, l’imbullonatura delle strutture), non è ritenuto sufficiente dagli imprenditori per garantire un’immediata ripresa. «Il problema è la burocrazia — afferma il direttore dell’Associazione costruttori edili di Modena, Fausto Bedogni —: noi chiediamo che quei fabbricati che hanno superato indenni le scosse del 20 e del 29 (e sono moltissimi) possano riaprire subito con l’obbligo entro 3 o 6 mesi di effettuare le misure di sicurezza. Abbiamo calcolato che subordinare la ripresa anche solo all’imbullonatura dei capannoni significa perdere mediamente 3-4 mesi, considerando il tempo necessario per reperire gli ingegneri, i fabbri e le imprese di montaggio…». Anche gli agricoltori, alla parola burocrazia, vedono rosso: «È tale la vischiosità delle norme che non riusciamo nemmeno a fare solidarietà tra di noi» dice Mario Guidi, presidente di Confagricoltura (1 miliardo i danni solo nel Modenese). «Faccio due esempi. Sono talmente tanti i vincoli — aggiunge — che non è stato possibile stoccare, nelle celle frigorifere offerte dalle aziende dell’ortofrutta, le forme di Parmigiano Reggiano danneggiate. E anche solo per farsi prestare il trattore da un collega occorrono franchigie speciali».
Centrale la questione capannoni: «La raccolta dei cereali e della frutta è imminente e, se non disporremo di magazzini per lo stoccaggio, andrà tutto perduto». A Medolla, due giorni fa, le aziende della Food Valley hanno tenuto addirittura un convegno dal titolo «Tra emergenza e burocrazia» e alla fine non era chiaro se il nemico principale fosse il terremoto o «i troppi vincoli superflui che ci fanno perdere clientela».
In questo scenario, dove il rischio di stallo è più di un’ipotesi, si inseriscono poi dinamiche concorrenziali a dir poco discutibili. La Fiom-Cgil di Modena ha parlato di «sciacallaggio aziendale», accusando alcuni Comuni della Lombardia e del Veneto «di offrire condizioni agevolate alle nostre imprese per convincerle a trasferirsi definitivamente nei loro territori». Tutt’altra cosa invece le delocalizzazioni temporanee, con modalità condivise tra imprenditori e sindacati: alcune aziende hanno già imboccato questa strada, tra cui una multinazionale americana di San Felice sul Panaro che ha trasferito i 170 dipendenti in Lazio e Brianza.
E poi c’è chi si arrangia, pur di lavorare. Alla Blumarine, marchio della moda che fa parte del gruppo Blufin a Carpi (250 dipendenti), l’amministratore delegato Gianguido Tarabini ha piazzato all’esterno dei capannoni un tendone e sei container: «La produzione prosegue qui, in attesa che i nostri legislatori mi spieghino quando e con quali criteri potrò rientrare…». Invece Maria Gorni, presidente del Consobiomed, consorzio che riunisce una trentina di piccole e medie imprese del biomedicale a Mirandola, ha scelto la linea dura: «Noi non abbiamo aspettato le leggi, altrimenti saremmo spacciati: siamo entrati di notte nei capannoni senza avvertire i vigili del fuoco e abbiamo prelevato tutto quello che potevamo. L’abbiamo fatto a nostro rischio, nessuno dei dipendenti lo sapeva: i tempi dell’impresa non sono quelli della burocrazia».

Il Corriere della Sera 10.06.12