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"Corsa contro il tempo nei paesi senza scuole. Errani: subito i lavori. I sindaci: ce la faremo", di Giusi Fasano

Una scuola elementare piccola piccola che non c’è più, settembre che bussa già alla porta e un rischio che si fa strada fra le macerie. «Il pericolo è che qualcuno ci dica “adesso si chiude”» riassume Silvia Costa, presidente del Comitato dei genitori. «Resistere, questo è il nostro grande sogno. Sappiamo bene che dopo il terremoto siamo più vulnerabili ma ci siamo sempre battuti per difendere la scuola dalla chiusura e ce la faremo anche stavolta». Antonella Borghi, per tutti la «supermaestra» di Alberone (una frazione di Cento), dice che «disperdere questi alunni sarebbe un delitto» e si commuove quando racconta dei suoi sessanta e più bambini che «una volta alla settimana vengono da me, in un cortile, a parlare della paura delle scosse». Nelle cinque classi difese con le unghia e con i denti dal Comitato genitori nessuno potrà più entrare, «ci sono crepe non riparabili» spiega la maestra Borghi, «non sappiamo nemmeno se riusciremo a recuperare la lavagna multimediale, i libri, il materiale dei bambini… so che in mezzo al disastro queste sembrano piccolezze ma per i bambini sono cose importanti».
Tutto è importante, per le scuole dei Comuni emiliani terremotati con le sue 223 scuole danneggiate e inagibili e con i suoi 71.412 alunni rimasti senza classe. Non c’è un solo dettaglio che possa essere lasciato al caso o, peggio, tralasciato se si vuole vincere la corsa contro il tempo, il peggiore dei nemici. Perché tre mesi (si riapre il 17 settembre) sono pochi per mettere in piedi le scuole provvisorie che sostituiranno i vecchi edifici lesionati da abbattere (dati non ufficiali dicono che sono una novantina) o quelli che non si farebbe in tempo a rendere sicuri. E dove non sarà possibile recuperarli, serviranno anche banchi, libri, sedie, laboratori vari, palestre, lavagne computer, materiale didattico di ogni genere. «Tanto per citarne una: abbiamo speso 100 mila euro di giochi solo alla scuola materna, avevamo appena comprato lavagne multimediali…» dice il sindaco di Finale Emilia Fernando Ferioli. «Ora le mie scuole sono tutte inagibili anche se non tutte hanno danni seri. E io ho un migliaio di bimbi alle elementari, un altro migliaio alle medie e milletrecento alle superiori. Però ci può scommettere, ce la faremo».
C’era anche il sindaco Ferioli, ieri, alla riunione bolognese di cinquanta sindaci voluta dal presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani e dal capo della Protezione civile Franco Gabrielli. Tracciate le linee-guida degli interventi più urgenti: «Prima di tutto il tema delle scuole» ha spiegato lo stesso Errani. «Farò un atto già nei prossimi giorni per consentire ai sindaci di attivare subito i lavori. Poi, stringeremo assolutamente i tempi per acquisire, dove serve, i moduli provvisori per le scuole». «Ce la faremo, non ho alcun dubbio» si dice certo l’assessore regionale all’Istruzione Patrizio Bianchi, «a settembre ogni studente avrà la sua classe. E perché tutto vada bene contiamo molto sui sindaci, la nostra più grande risorsa».
«Da noi non ci sono scuole crollate ma al momento non sono utilizzabili le elementari e una delle due è messa proprio male» dice il sindaco di Cavezzo Stefano Draghetti che pensa all’utilizzo di strutture in legno per settembre e che si pone anche il problema di cosa fare poi di quelle scuole provvisorie. Il sindaco di Medolla Filippo Molinari ha pensato ai suoi due bambini: «Io manderò i miei figli nelle scuole che avranno l’agibilità strutturale, ovvio. Ma a questo punto al di là dell’agibilità si impone anche l’adeguatezza antisismica. Preferirei aprire i cantieri e metterle tutte e norma antisismica…». Ha più di un problema grave, il sindaco Molinari: il suo Comune ospita molte aziende-leader nel biomedicale, settore di punta dell’economia modenese. E anche in quel caso è una corsa contro il tempo, per non perdere la partita dell’occupazione. Lo sa bene il ministro della Salute Renato Balduzzi che ieri ha promesso tempi rapidi per «i pagamenti» e per la «ricostruzione, almeno minima, del tessuto produttivo».

Il Corriere della Sera 15.06.12