attualità, politica italiana

"L'Italia può davvero cambiare?", di Massimo Gramellini

Gioisce la Borsa, guaisce lo spread, Mariochiaro batte i pugni a Bruxelles, Marioscuro sguaina i pettorali a Varsavia, la Nazionale di calcio schianta e incanta, e pare proprio che nel week-end scenderà di nuovo il prezzo della benzina. Ma cosa succede? Dov’è finita la raffica di cattive notizie con cui ero abituato a iniziare la giornata? I titoli dei giornali radio del mattino mi proiettano in un Paese sconosciuto e dentro un’atmosfera dimenticata: soddisfazione, orgoglio, speranza che per una volta la fetta non cada dalla parte della marmellata.

Non fosse per il cafone che mi taglia la strada al semaforo e ha ancora ragione lui, penserei di essere emigrato durante la notte a mia insaputa. Sono travolto da questa ondata di italiani anomali che in poche ore hanno deciso di smontare luoghi comuni coltivati nei secoli e a cui mi ero persino affezionato, come ci si affeziona a una zia bisbetica o a una malattia cronica. Furbizia e Vittimismo, dove siete? Catenaccio, non ti riconosco più. Da Bruxelles a Varsavia questa è un’Italia che se la gioca, impone il suo ritmo, smette di nascondersi. Forse perché ha finalmente voglia di farsi scoprire diversa da come l’hanno sempre raccontata. Dei simboli tricolori resiste solo la Mamma, però declinato in modo inedito: lo sguardo della signora Silvia mentre si avvinghia al suo Balotellino preferito e quella mano bianca che scende con amore sulla testa nera sono gesti che sembrano quadri e valgono poemi.

Stavolta i parallelismi fra politica e sport non sono nevrosi giornalistiche, ma slanci del cuore. Ne avevamo bisogno. Ho visto persone abbracciarsi dopo la vittoria contro la Germania, perfettamente consapevoli che non darà lavoro ai giovani né umanità ai banchieri, eppure fanciullescamente felici di riscoprire che si può essere felici anche solo per due ore e anche solo per due gol. Finché nella notte dei bagordi sobri è sobriamente affiorata la notizia del successo di Monti sullo scudo antispread, che detto così sembra un’arma da Guerre Stellari e in fondo lo è.

Monti che sovverte l’immagine dell’italiano sbruffone e traditore, sostituendola con quella del negoziatore duro, leale nel rispetto della parola data, ma inamovibile nella difesa degli interessi nazionali. Buffon che, invece di festeggiare, lascia il campo imbufalito con i compagni perché nel finale qualche loro sciatteria aveva rischiato di compromettere la vittoria. Comunque la pensiate su Monti e su Buffon, non sono atteggiamenti da italiani. O non lo erano? Mi sorge il dubbio che questo Paese stia cambiando più in fretta delle statistiche, dei sondaggi e dei corsivi di giornale arrotolati sui cliché.

Che, insieme con la corruzione, il familismo e l’insopportabile disprezzo per qualsiasi cosa assomigli a una regola collettiva convivano, spesso nella stessa persona, il senso della dignità e persino della comunità. E se anche non fosse così, questi sogni europei di mezza estate possono dettare la linea, lanciare una moda. Si può giocare contro la Germania come se i tedeschi fossimo noi, ma dei tedeschi più creativi. E si può trattare con la Germania come se i tedeschi fossimo noi, ma dei tedeschi più duttili. Si può cioè immaginare di essere diversi rimanendo uguali. Con un po’ di fatica, di fiducia, di disciplina. In fondo l’evoluzione è questa, e vale per i popoli come per i singoli umani.

La Stampa 30.06.12