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"Parole violente a destra", di Michele Ciliberto

Vale la pena fare un piccolo esercizio di lettura sui titoli dedicati dal Giornale e da Libero alla vittoria dell’Italia sulla Germania, e agli insulti in essi contenuti verso la cancelliera tedesca Angela Merkel. Italia – Germania è stata una bella partita di calcio. E, come tutti gli eventi sportivi, ha coinvolto passioni e sentimenti assai intensi.
In Italia migliaia di persone si sono raccolte in piazza per assistere alla partita, ma in Germania è accaduta la stessa cosa. E chi in questi giorni si fosse trovato a Berlino avrebbe potuto vedere molte macchine tedesche avvolte in piccole bandiere nazionali in segno di festa e di augurio.
Nihil sub sole novi. Nulla di nuovo sotto il sole. Si sa: lo sport, specie il calcio, ha un forte valore simbolico ed è un luogo privilegiato di espressione e di manifestazione delle identità culturali, religiose, nazionali.
Stanno qui le radici del suo valore e, al tempo stesso, del suo possibile, e tragico, degenerare. Una partita può essere infatti una festa e una manifestazione di libertà, ma può anche trasformarsi nel suo opposto, e diventare luogo, e strumento, di violenza e anche di sopraffazione.
Come avviene in ogni festa popolare, anche in una partita di calcio il crinale fra «natura» e «cultura» è infatti precario, e può spezzassi in ogni momento, non solo sul piano verbale. Del resto, è un copione che in Italia, negli ultimi tempi, abbiamo visto recitare più volte ad opera delle fasce più estremiste dei tifosi, che hanno trasformato una festa popolare in una sorta di sanguinario rito tribale.
La violenza e la volgarità dei titoli con cui i direttori del Giornale e di Libero hanno celebrato la vittoria italiana contro la Germania all’inizio non sono dunque originali; si tratta di un lessico di matrice «goliardica» (e so bene che dicendo questo offendo la goliardia) assai noto, contro cui non varrebbe la pena di polemizzare.
La novità sta nel fatto che questo lessico volgare e miserabile è utilizzato per insultare il capo del governo di un autorevole Stato europeo e per sviluppare, in questo modo, una violenta polemica politica contro l’idea di Europa e di unità europea, vista come l’origine di tutti i mali. E si fa questo cercando di sfruttare sentimenti anti-tedeschi oggi diffusi, e ulteriormente acuiti in questi giorni dalla partita con la Germania, con l’obiettivo politico di creare un senso comune di tipo nazionalistico contrapposto all’ethos europeo che si è cercato di costruire con fatica, ma con importanti risultati dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi; un ethos, lo sappiamo tutti, che attraversa oggi un momento di massima difficoltà.
Sta proprio qui la violenza e l’insidiosità di quell’attacco: le parole non sono mai indifferenti. Al suo livello di rozzezza e di volgarità, quel lessico pone infatti un problema politico ed etico-politico, ed è su questo terreno che esso va anzitutto contrastato, riaffermando con forza sia l’idea dell’Europa che quella della unità europea. Ma per poterlo fare in modo efficace, e rigettare ogni rigurgito nazionalista, occorre essere chiari su un punto essenziale.
L’Europa è senza alcun dubbio il comune destino di tutti i popoli europei. Lo è, oltre che per scelta, per necessità. Chi non capisce questo è fuori del mondo, oltre che della storia. Mentre l’Occidente si afferma e si espande, l’Europa rischia di tramontare; e tramonterà se non si ripensa, e si riafferra, in modi originali. Ma può farlo solo situandosi oltre il tradizionale orizzonte statale moderno; riuscendo ad intrecciare in nuove forme identità nazionali e «cosmopolitismo»; connettendo molteplicità e varietà delle tradizioni culturali, filosofiche e religiose e nuove forme di identità europea, liberamente condivise.
In altre parole, l’Europa può avere un futuro solo se riconosce le differenze di cui è fatta la sua storia, e che sono state, e sono, la radice della sua potenza e della sua libertà; se, cioè, non si riduce a un paradigma unico, a una dimensione unica. La vita, la storia si esprime, e vive, attraverso le differenze, a tutti i livelli: in politica come in economia e nella cultura; decade quando si risolve in grigia, indifferenziata, unità: il contrario esatto di ogni forma di vecchio e nuovo nazionalismo, anche di quello di rito berlusconiano, propagandato dai direttori del Giornale e di Libero.
E questo significa che in Europa non ci sono, e non possono esserci, Paesi guida e che l’Italia ha una sua parola da dire in questo grande continente. Non solo quando gioca a pallone.

L’Unità 30.06.12