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"Due aziende su tre riaperte dopo il sisma", di Francesco Alberti

Due su tre sono tornati. E se il bicchiere mezzo vuoto è quel 39% di imprenditori che ancora non si sono rialzati e non dormono la notte al pensiero di quanti mesi dovranno passare prima di poter riaccendere i motori, è su quel 61% di «risorti» che trae linfa la ricostruzione emiliana: un’avanguardia di sopravvissuti che a forza di domeniche e ferie cancellate, a testa bassa, notte e giorno, inventandosi soluzioni in una sorta di «fai da te» creativo quanto coraggioso, ha riallacciato i fili con il mercato, recuperato fornitori e clientela, alla faccia di chi parlava di inevitabile desertificazione, dando per spacciato il modello industriale di questa porzione d’Emilia, miracoli annessi. La strada è in salita. La crisi non fa sconti a nessuno, figurarsi ai terremotati. E gli eterni mali italiani (estenuante burocrazia, legislazione farraginosa, crediti con il contagocce, una politica spesso inconcludente), visti e vissuti dall’epicentro, fanno ancora più male, oltre che rabbia. Però sono tornati: grandi imprenditori e piccoli artigiani, botteghe e multinazionali, commercianti e bancarelle. Con una grinta quasi sfacciata. Più del 50%, provando ad immaginarsi tra 5 anni, si dice certo di «potersi ricollocare ai livelli di produttività di prima del terremoto». E, addirittura, c’è un 25% che, forse per farsi coraggio o perché davvero ci crede, la spara grossa: «Nel 2017 saremo più forti di prima».
Oggi sono due mesi dalla seconda scossa, quella che diede il colpo di grazia. Era il 29 maggio scorso e fu una frustata del 5.8. Appena un decimo inferiore a quella del 20 maggio (5.9) e leggermente più potente di quella del 3 giugno (5.1). Una mitragliata sismica che uccise 26 persone, ne ferì più di 300, si lasciò dietro quasi 20 mila sfollati, mandando in tilt uno dei forzieri economici del Paese (35 mila aziende per 120 mila addetti). I morsi della terra addentarono brandelli di Emilia (Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Bologna), Lombardia (Mantova) e Veneto (Rovigo), provocando danni per 13 miliardi (quantificati due giorni fa dalla Protezione civile alla Ue) e azzoppando comparti economici (biomedicale, meccanica, agroalimentare) pari al 10% del Pil regionale e all’1,5% di quello nazionale. Due mesi dopo non è ancora tempo di bilanci, c’è ancora tanto da fare (si pensi solo all’emergenza scuole in vista dell’autunno), ma un punto fermo era necessario e la Cna nazionale ha affidato alla società Ipsos Pubblic Affairs il compito di infilare la sonda nella pancia del sisma. Un lavoro di una settimana (18-25 giugno) su un campione di 200 imprese, 120 direttamente colpite dal terremoto, 80 situate nelle vicinanze.
Finale Emilia, Cavezzo, Medolla, Mirandola, Sant’Agostino, Cento, Bondeno, Moglia e tanti altri. Ognuno con il suo simbolo di distruzione: un capannone, un campanile, un intero centro storico. È una foto a luci e ombre quella che emerge dall’indagine Ipsos. Grinta e ottimismo a parte, gli imprenditori non fanno sconti a nessuno. Se l’emergenza viene complessivamente giudicata in termini positivi (con Protezione civile, volontari e forze dell’ordine promossi su tutta la linea), il dopo lascia a molti l’amaro in bocca: lungaggini burocratiche, speculazioni, scarsa comprensione del danno, inadeguatezza nei rapporti con le banche, incertezza legislativa. A parte il volontariato e i mille rivoli in cui si è incanalata la solidarietà, il maggiore sostegno alle imprese è giunto, stando ai risultati del report, dalle organizzazioni di categoria, seguite a distanza dalla clientela, dai fornitori e quindi dallo Stato. Più distante, questa almeno la percezione, l’apporto dei Comuni e delle banche, mentre Regione e Camere di commercio sono relegate in coda. Tra i rischi futuri, i principali riguardano i tempi dei risarcimenti e la difficoltà di ottenere l’agibilità sismica al 60% prevista dalla legge. Le richieste? Aiuti finanziari, credito e garanzie per la ripresa, sospensione di mutui e scadenze fiscali. Ieri Roma ha battuto un colpo: 6 miliardi di fondi agevolati dalla spending review e la sospensione per 6 mesi dei pagamenti di luce, gas e acqua. Avanti così.