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"Ci vuole coraggio, l’inerzia non basta", di Claudio Sardo

Buone notizie da Bersani e Vendola. c’è una sinistra disposta ad assumersi responsabilità di governo, a mettersi in discussione, ad affrontare la crisi sociale più drammatica del dopoguerra, a parlare di uguaglianza e democrazia laddove prevalgono ancora le vecchie e fallimentari ricette economiche, a combattere il populismo e la demagogia che purtroppo annidano anche dalle nostre parti.
Siamo in un passaggio storico. Dal quale dipenderà il futuro dei nostri figli e la stessa democrazia europea. Usciremo dalla crisi cambiati. Ma i progressisti non possono limitarsi ad esprimere un disagio impotente. Nel cambiamento devono giocarsi le loro carte. Devono garantire la tenuta del Paese, e dunque gli impegni internazionali dell’Italia, condizione per giocare la partita in Europa.

Ma devono anche trasformare in azione di governo il loro pensiero critico e la loro speranza di giustizia sociale. Abbiamo un vantaggio: senza maggiore uguaglianza, senza maggiore mobilità sociale, senza maggiore innovazione resteremo schiacciati dalla competizione globale. Le destre hanno fallito. I nazionalismi sono figli della paura e negano il futuro. Solo una svolta a sinistra dell’Europa può consentirci di uscire davvero dal tunnel.
Anche una sconfitta, però, avrebbe oggi una portata storica. Non solo per la sinistra. Sotto le macerie potrebbe finire la stessa politica democratica, a vantaggio di tecnocratici e oligarchi oppure di populisti e demagoghi. È un impresa difficile e rischiosa. Guai a illudersi che l’inerzia del dopo Berlusconi conduca inesorabilmente a un governo di centrosinistra in Italia. L’inerzia non porta cambiamenti positivi. Ci vuole coraggio. Il coraggio di rischiare e di percorrere, controcorrente, anche i territori conosciuti.
Non era scontato ciò che ha fatto Bersani, accettando la sfida di nuove primarie e proponendo quella Carta d’intenti come base di un programma dei progressisti. Non era scontato che Vendola facesse propria la sfida del governo, rompendo lo schema dell’Unione, cioè dell’alleanza indifferenziata, più attenta ai numeri preventivi che non agli impegni verso il Paese. Costruire una vera, credibile alternativa di governo non sarà gratis. Bisognerà fare i conti con pigrizie, resistenze, opportunismi. Ma è arrivato il momento della verità.
O l’alternativa di governo avrà una forza e una coerenza, oppure sarà sconfitta. E, anche se la destra non fosse per nulla competitiva alle elezioni, questa sconfitta potrebbe arrivare come un boomerang, come purtroppo avvenne al tempo del secondo governo Prodi. La strada della sinistra di governo non può non dividersi, da subito, da quella del propagandismo di Di Pietro. Vada con Grillo, se coltiva lo stesso disprezzo per le istituzioni e se non intende assumersi una responsabilità nazionale di fronte alle cancellerie europee. Riformare la politica vuol dire correggere le tante storture ma anche difenderne la ragione fondativa: la politica e le istituzioni democratiche servono a chi ha di meno, perché della politica i ricchi possono farne a meno (tanto è vero che strizzano l’occhio ora ai tecnici, ora a Grillo).
Certo, le primarie del centrosinistra in questa contingenza sono un azzardo. Al di là delle buone intenzioni, possono portare i democratici e i progressisti fuori dalla sintonia con il Paese qualora la crisi finanziaria dovesse aggravarsi. Tuttavia, ora che sono in agenda, devono diventare un’occasione di ricomposizione sociale e di rilancio politico. Non le primarie del 2005, dunque, che sancirono aree di rappresentanza separata tra Prodi e i suoi sfidanti (Bertinotti, Mastella, Di Pietro, non a caso protagonisti della dissoluzione successiva). Sembra che, accanto a Bersani e Vendola, siano ora intenzionati a candidarsi Renzi, Nencini e Tabacci. Personalità con storia diverse, rappresentative di una ricca pluralità. Come negli Usa speriamo che queste primarie servano a produrre sintesi, a rafforzare, non indebolire, il vincolo e l’impegno reciproci.
Ieri Bersani e Vendola hanno detto che è ancora fantapolitica la lista unitaria alle elezioni. Lo schema di gioco attuale purtroppo è ancora il Porcellum, con annesso premio di coalizione. E le primarie che il centrosinistra sta per affrontare sono anch’esse di coalizione. In questo contesto è difficile dar torto a Bersani e Vendola. Ma è possibile sperare ancora che il Porcellum venga cambiato e che pure da noi, come in tutti i Paesi democratici, la competizione possa svolgersi tra partiti, in modo che il più votato possa formare attorno al proprio leader un governo di legislatura. E se una riforma elettorale ci riportasse finalmente in Europa, forse, non sarebbe più fantapolitica immaginare una forza unitaria dei democratici e dei progressisti, un Pd più forte, più largo, più aperto ai movimenti civici, una sinistra di governo capace di superare lo schema (perdente) delle due sinistre. Le primarie potrebbero diventare così non solo la sanzione di una alleanza politica ma, di più, la generazione di un nuovo patto, persino di una nuova progettualità organizzativa. Il consenso e la forza sono necessari a governare la crisi. E un patto robusto darebbe maggiore forza anche all’incontro con i moderati che vogliono chiudere la stagione di Berlusconi e della seconda Repubblica.
Non sarà facile. Ma nei momenti migliori della sua storia la sinistra di governo è già stata capace di mettersi al servizio dell’Italia.

L’Unità 02.08.12

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“La triplice intesa”, di Paolo Natale

È probabile che ora Antonio Di Pietro non sappia più bene cosa fare, nel prossimo futuro. Dopo essersi auto-escluso dal proseguimento del cammino unitario con il Pd, suo alleato nel 2008. Dopo aver tentato, inutilmente, di coinvolgere Beppe Grillo in una improbabile corsa comune; dopo svariati attacchi, anche pesanti, alle alte cariche dello stato. Ora l’unica sua vera chance di entrare in parlamento, con una certa forza competitiva, potrebbe essere rappresentata dall’accordo con l’ala sinistra della ex-Rifondazione comunista. Una soluzione di difficile praticabilità. Viceversa, se la novella triplice intesa tra Udc, Pd e Sel non fosse soltanto una soluzione estiva provvisoria, le possibilità di questa coalizione (certo abbastanza eterogenea, allo stato attuale) di conquistare la maggioranza elettorale e quella parlamentare sarebbero parecchio elevate. Quasi indifferentemente dal tipo di sistema elettorale che venisse adottato.
Ovvio: le reazioni degli italiani di fronte a questa ipotetica nuova proposta sono ancora da testare in maniera più approfondita. Mentre l’antico accordo di Vasto sarebbe stato capace di convogliare sulla sinistra anche gli elettori delle forze minori, vicine a quell’area, tentare di affiancare i centristi, i “sinistri” moderati e quelli più radicali rappresenta una vera scommessa sulle capacità della popolazione di comprendere questa alleanza, che alcuni punti di divergenza renderebbero senz’altro maggiormente difficoltosa.
Ma è nel contempo una scelta di fondo che ha spesso trovato il favore della popolazione: la richiesta cioè di cercare una possibile inedita governabilità del paese, nel tentativo di uscire dalle vecchie logiche di riferimento delle epoche belusconiane. E se a questi tre partiti si aggiungessero anche alcuni tecnici attualmente al governo, tra quelli più in sintonia con il paese, le possibilità di costruire in Italia un nuovo polo di riferimento, attento alle questioni economiche ma anche a quello sociali, troverebbero un livello di consensi crescente. Se ovviamente si evitasse il consueto tasso di litigiosità presente nel passato tra le diverse anime dei partiti (Prodidocet).
Ipotizzare risultati parlamentari è certo arduo, viste le considerazioni fatte e l’aleatorietà dei sistemi elettorali in cui si dovrà andare a votare. Ma è possibile, sulla base delle più recenti rilevazioni sugli orientamenti di voto, costruire un paio di scenari, legati alle più probabili regole della competizione. Il primo scenario ipotizza il mantenimento dell’attuale Porcellum (nella sua versione meno contraddittoria, quella della camera). In questo caso le stime più probabili vedrebbero primeggiare, con un margine abbastanza elevato, le tre forze della nuova intesa, che avrebbero dunque la maggioranza dei seggi alla camera dei deputati, seguite dal centrodestra, dal M5S e dalla probabile alleanza di sinistra e Di Pietro. A livello dei singoli partiti, il Pd si avvarrebbe di circa 230 seggi, seguito in questo caso dal M5S, con poco più di 100 e dal Pdl con 80. Quindi Sel e Udc, entrambi con circa 50 seggi, Idv (35) e Lega (20); chiuderebbero La Destra e la Federazione di sinistra (10). Come si nota, un parlamento del tutto sconvolto rispetto all’attuale, con la presenza comunque significativa del movimento che fa capo a Grillo.
Nel secondo scenario, una sorta di proporzionale alla tedesca (così gettonato dall’Udc di Casini), l’assenza del premio di maggioranza presente nel Porcellum renderebbe certo più difficoltosa la formazione di una maggioranza formata dai nuovi partiti della triplice intesa. Pd, Udc e Sel avrebbero probabilmente a disposizione soltanto pochi seggi di margine per poter governare in maniera semplice, e senza l’aiuto di altre forze, a meno che la percezione degli elettori di formare un parlamento inutile, sul modello delle recenti elezioni greche, non convinca i supporter dei partiti più deboli a concentrarsi su quelli che hanno qualche chance di governare.
Un’alleanza che potrebbe dunque convincere i cittadini italiani a tentare nuove strade per uscire dalla crisi di rappresentanza, ma anche abbastanza pericolosa, se si utilizzasse un sistema elettorale “troppo” proporzionale. Resta infine l’incognita del comportamento di Fini, che gli elettori di Pd e in particolare quelli del Sel non troverebbero gradito come alleato. Allargando la triplice al Fli, i risultati elettorali potrebbero non essere così favorevoli.

da Europa Quotidiano 02.08.12