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"Una svolta riformista", di Miguel Gotor

L’incontro tra Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola ha avuto un esito positivo perché è riuscito a definire le condizioni di base intorno alle quali nascerà il nuovo centrosinistra italiano. La riunione è avvenuta all’indomani della presentazione da parte di Bersani della Carta di intenti del patto dei democratici e dei progressisti con cui il leader del Pd ha proposto ad altre forze politiche, associazioni e movimenti civili una tavola dei principi e delle regole necessarie per candidare il centrosinistra in modo credibile e rinnovato alla guida del Paese. Dall’incontro sono scaturite due novità importanti che segnano una decisa accelerazione del dibattito politico nel campo progressista. La prima è che Vendola non ha posto veti al disegno strategico di Bersani di lavorare a un patto di legislatura con forze liberali, moderate e di centro. Alla base di quest’idea è il convincimento che l’Italia non si governa con una logica frontista che vede opporre seccamente la destra alla sinistra, ma necessita di un impegno ulteriore teso a favorire l’amalgama tra diversi. Se guardiamo al passato della storia italiana, dobbiamo riconoscere che le stagioni migliori sul piano dello sviluppo e delle riforme, o nella capacità di reagire a sfide drammatiche come quella del terrorismo, sono coincise con i momenti in cui si è raggiunto un incontro tra forze distinte lungo l’asse tra moderati e riformisti. È stato così nella fase della Costituente tra De Gasperi e Togliatti, negli anni Sessanta con il centrosinistra di Moro e Nenni, nella stagione della solidarietà nazionale tra il 1976 e il 1979 e ai tempi del governo Ciampi e dell’Ulivo di Prodi. Nel nostro Paese gli ideali
progressisti per affermarsi devono porsi l’obiettivo strategico di separare i moderati dalla destra, che non a caso ha vinto ogni qualvolta è riuscita a tenerli insieme. Per questa ragione la sinistra deve fare il massimo per elevare il suo profilo riformista e riformatore, contenendo, ma al tempo stesso interloquendo, con le spinte al radicalismo e al settarismo che esistono al suo interno e che hanno sempre finito per favorire la vittoria del fronte più conservatore.
La seconda novità è che questo centrosinistra non si presenterebbe come una carovana di sigle, ma in un formato molto più coeso che in passato. Ciò ha significato fare da subito i conti con l’antipolitica e il populismo presenti anche in quello schieramento e, concretamente, chiudere i ponti con Di Pietro. A questo proposito è importante che Vendola abbia condiviso questo distacco riconoscendo nella scriteriata politica portata avanti negli ultimi mesi dell’ex magistrato una deriva non recuperabile. Non bisogna credere che questa rottura non sia costata al Pd, anzi essa costituisce la migliore prova che Bersani fa sul serio perché è stato disposto a rinunciare a una vittoria elettorale facile, quella che con l’attuale legge gli sarebbe stata garantita dalla cosiddetta «foto di Vasto», per provare ad assumere in modo responsabile la sfida del governo dell’Italia. Questo passaggio conferma che il principale avversario dell’incontro tra moderati e progressisti sono i populismi al plurale che, alimentandosi a vicenda, caratterizzano lo scenario italiano: quello plebiscitario di Berlusconi, quello etnico della Lega,
quello antipartitico di Grillo e quello giustizialista di Di Pietro. Un ultimo elemento rafforza la nascita del nuovo centrosinistra. Al di là dei valori e dei principi contenuti nella Carta d’intenti, che saranno oggetto di ulteriori riflessioni e dell’arricchimento di quanti vorranno partecipare all’elaborazione di questo percorso comune, il punto più significativo del testo è il decimo, quello dedicato alla Responsabilità. Vendola, accettando di allearsi con il Pd, si è impegnato a sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier che sarà scelto con il metodo delle primarie. Di affidare a chi avrà il compito di guidare la maggioranza la composizione di un governo ispirato a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionali, che sono diventati criteri ineludibili alla luce dell’esperienza del governo Monti e dopo la fallimentare stagione berlusconiana. Di vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti del futuro governo a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta. Di sostenere infine gli impegni internazionali dell’Italia, presenti e futuri, fino alla loro eventuale rinegoziazione.
Si tratta di prerequisiti che costituiscono la premessa necessaria per dare vita alla nuova alleanza del centrosinistra. Solo se verranno rispettati si potranno mantenere le promesse contenute nella Carta di intenti ed era bene dirselo prima di mettersi in cammino: patti chiari, amicizia lunga.

La Repubblica 02.08.12