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"Non abbiamo bisogno di governissimi", intervista a Pier Luigi Bersani di Maria Zegarelli

Casini dice che non pensa di farsi «fare da Vendola l’esame del sangue», mentre Vendola spiega che lui e Casini stanno «lavorando a due prospettive diverse»: Pier Luigi Bersani non sembra preoccupato dai distinguo tra i due leader, a cui il Partito democratico si è rivolto per l’alternativa di governo nel dopo Monti. «Mi sembra che tutto nasca da un equivoco, perché qui nessuno ha proposto un’alleanza con Udc e Sel», risponde il segretario dando il via a questa intervista.
Segretario, come giudica le reazioni alla Carta d’intenti del Pd? «Dal mio punto di vista mi sembrano reazioni positive, come anche i primi incontri, a partire da Nichi Vendola e il Forum del Terzo settore hanno dimostrato. Nei prossimi giorni ne seguiranno altri, ma credo che la nostra iniziativa sia stata compresa».
Vendola è stato tra i primi a condividere la Carta, ma la sua base è in rivolta, preccupata da un’alleanza che va dai progressisti ai moderati.
«Credo che nel giro di poco tempo tutto si chiarirà perché mi sembra che alla base ci sia un equivoco comunicativo. Nessuno ha parlato di un’alleanza tra Bersani, Vendola e Casini. Questa è stata la vulgata ma la realtà è un’altra. Noi pensiamo ad un campo di democratici e progressisti, non solo tra i partiti ma con l’associazione i movimenti, rivolgendoci a tutte quelle forze che non accettano la deriva populista, di destra e antieuropeista, che sta sempre più prendendo piede. Ma è ovvio che sono tutti passaggi da verificare, che sta a noi progressisti organizzare il nostro campo e lanciare una proposta aperta, dopodiché l’organizzazione di questo centro moderato non tocca a noi».

A voi, e a lei in particolare, spetta organizzare le primarie. Finora gli aspiranti candidati, oltre a lei, sono Vendola, Renzi, Tabacci e Nencini. Non pensa che possano indebolire il Pd anziché rafforzarlo? «Cerchiamo di tenere a mente il percorso. Prima si deve delimitare il campo sulla base di un confronto sui contenuti, poi si fissano regole e tempi per le candidature. Ragionevolmente potranno avvenire entro la fine dell’anno: lo stabiliremo insieme a chi parteciperà a questo percorso, non decido io da solo. Non ho mai pensato che le primarie possano essere un problema, sono una nostra cifra e, quando il confronto è alla luce del sole, ha una dimensione nazionale e mette al centro i temi del Paese, e non dei partiti, e se si fonda su principi e fondamenti programmatici essenziali condivisi, non deve destare preoccupazione».
E per la riforma della legge elettorale, in- vece, è preoccupato? Ogni volta che sembra vicino l’accordo si riparte da zero.
«Sono molto preoccupato perché vedo che di fronte ad una nostra chiarezza di posizioni, che è la stessa negli incontri riservati e nelle feste democratiche, il Pdl continua a fare melina. Noi abbiamo detto che non vogliamo tornare al voto con il Porcellum e chi dice il contrario vuol dire che non conosce il Pd. Il Porcellum produce gli Scilipoti: un nome, un programma. Anche in queste ore abbiamo dichiarato flessibilità nella discussione pur avendo una nostra proposta, da mesi, fondata sul doppio turno di collegio. Siamo disposti al confronto purché restino fermi due principi: la sera che si chiudono i seggi, si deve sapere chi può governare; il cittadino deve poter scegliere il proprio parlamentare. Possiamo ragionare sui modi di raggiungere questo obiettivo, ma finora non è ancora arrivata una proposta univoca dal vasto, spero sempre meno, campo del centrodestra». Nel caso di una legge elettorale che dà il premio di maggioranza al partito, il Pd arriverà a una lista unica con tutti coloro che parteciperanno alle primarie, da Vendola a Nencini?
«A me una cosa è chiarissima: Berlusconi certamente ha in testa meccanismi verbalmente innovativi, tanto che gli ho consigliato la lista “viva la mamma”, ma noi ci chiameremo Pd. Su questo non si discute. È evidente, però, che alla luce della nuova legge elettorale, dei meccanismi per dare il premio alle liste collegate dovranno essere individuati perché anche le individualità devono essere riconosciute. Detto questo sono convinto che, mentre oggi ci sono quelli che dicono, genericamente, che i partiti non riescono a fare la legge elettorale, il giorno dopo che la legge ci sarà, spunteranno i “puristi”, quelli che fanno finta di dimenticare che se non si raggiunge un compromesso in questo Parlamento non si va da nessuna parte».

Casini intanto ha detto che correrà da solo e poi eventualmente farà l’alleanza con il Pd. C’è da fidarsi o c’è il rischio che a urne chiuse rilanci la grande coalizione?

«Io mi affido ai processi di fondo che avvengono nella società. Avevo ragione quando parlavo della necessità di tenere insieme questione democratica e questione sociale, o quando avvertivo che la discriminante in Europa passava da un lato dalle posizioni regressive anti-euro, anti-fisco, anti-immigrati e dall’altro dalle posizioni progressiste e liberal-costituzionali europeiste. Credo che questa sia la dinamica profonda in Europa come in Italia. Quindi, più che alle diplomazie, che pure bisogna coltivare, mi affido al fatto che esistono forze moderate per le quali non è possibile cedere alle sirene populiste».

Si riferisce all’ultima discesa in campo di Berlusconi?
«Il ritorno di Berlusconi è la conferma di quello che sto dicendo: la lira un giorno sì e un giorno no, no alle tasse, e fra un po’ torneranno i comunisti…».

In realtà secondo Fabrizio Cicchitto con l’apertura di Casini al Pd i comunisti sono già tornati…
«Appunto. Quando dico che la prima legge che faremo sarà per dare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati che studiano nel nostro Paese, so che Lega, Pdl e Grillo saranno contrari. I progressisti sono a favore, il centro costituzionale democratico deve scegliere. Si devono mettere dei paletti di civiltà, di europeismo, di riforma democratica su basi costituzionali, di patto sociale. E chiamare ad una alternativa alle ricette populiste regressive. Chi ci sta ci sta».

Stando alle dichiarazioni di Casini e Vendola si ha l’impressione che la strada sia tutta in salita. Lei ha detto che il suo obiettivo è scongiurare una nuova Unione. Sicuro di riuscirci?

«Qui torniamo nell’equivoco: noi non stiamo facendo l’Unione con Casini. Stiamo organizzando il campo dei democratici e dei progressisti i quali spero abbiano la capacità e la forza neces- saria a governare il Paese, che cercheranno un patto, se sarà possibile farlo, per le riforme democratiche, con forze diverse, anche moderate, ma saldamente costituzionali che non vanno lasciate in braccio alle formazioni populiste».

Quindi lei ha letto le più recenti interviste di Vendola e Casini tutto sommato positivamente?
«Mi sembra che in quelle interviste la ragionevolezza di questo percorso emerga abbastanza chiaramente, pur restando ognuno nel proprio campo».
Invece con Di Pietro è rottura definitiva o, come spera Vendola, ci sono ancora margini?

«Non so quanto Vendola lo speri. Io credo – avendo mostrato, in tutti questi mesi, assoluto rispetto per l’Idv e Di Pietro e avendo sentito posizioni del tutto inaccettabili e attacchi che nessun altro ci ha fatto – che la scelta di Di Pietro sia inequivocabile. Di fronte al passaggio che abbiamo davanti, cioè governare una crisi inedita dal dopoguerra ad oggi, Di Pietro ha scelto il disimpegno e da questa scelta sono derivati dei comportamenti che hanno portato a questa situazione. Nessuno potrà mai dire che è responsabilità del Pd».

Nel caso in cui si dovesse fare la riforma elettorale entro settembre è plausibile pensare ad un voto anticipato?
«L’ho ripetuto in tutte le sedi: noi oggi dobbiamo guardare alla fine naturale della legislatura, non siamo in grado di decidere altro ma è giusto darsi uno strumento, la legge elettorale, per affrontare qualunque eventualità perché siamo nel mare mosso, e dobbiamo essere pronti».

A proposito di mare mosso. Quanto sarà condizionato dall’Europa l’agire, soprattutto in fatto di politiche economiche, del prossimo governo?

«Tutto dipende da quello che succede nelle prossime settimane. L’altro ieri, con la riunione della Bce, c’è stato un passo avanti, ma non risolutivo. Quello che viene fuori è che un Paese, in parte vittima dei suoi problemi, in parte dell’attacco al sistema euro, per far mettere in moto procedure che lo aiutino anche semplicemente a pagare meno interessi sul debito, deve chiedere l’intervento europeo facendo scattare procedure di supervisione e senza sapere quali sono le condizioni che questo pone. La Banca centrale europea può agire, ma entro limiti assai ristretti. Mentre in Germania Corte costituzionale e Parlamento prendono tempo per approvare il Fondo salva-Stati. E intanto il Paese di cui sopra che fine fa? Muore. Insomma, non si può pensare di salvare la famiglia ammazzando qualche familiare e mettendo dei vincoli tali da vanificare quello che si fa per cercare di raggiungere degli obiettivi».

Sta dicendo che l’Europa non può chiedere misure ancora più dolorose?
«A Bruxelles non si parlò di ulteriori condizioni per l’accesso allo scudo anti-spread. Se ci fossero ulteriori condizioni concordate tra i Paesi, si vedrà. L’economia italiana ha le carte per superare le difficoltà».

Qualcuno parla anche di garanzie politiche per il futuro.
«Ricordo che i governi di centrosinistra hanno più volte dimostrato di saper affrontare e superare i problemi. Non c’è bisogno di ricorrere ai governissimi».

Bersani, la lista dei sindaci si farà o no?

«Non so da dove sia venuta fuori questa cosa. Vendola e io abbiamo detto che ci interessa moltissimo che questo grande campo progressista abbia dei protagonisti sociali e istituzionali che vengono da realtà diverse e quindi ci rivolgiamo anche ai nostri amministratori. Ma non abbiamo mai pensato a liste di sindaci».

Come pensa di coinvolgere sindaci e forze civiche in questo percorso se non attraverso delle liste?
«Intanto costruendo un progetto di governo che ingaggi queste forze non soltanto nella campagna elettorale ma nella governance del Paese. Incontrando il Terzo settore, ho parlato con un pezzo della classe dirigente di questo Paese che intendo coinvolgere nel governo. Un primo piccolo esempio è stata la Rai».

L’Unità 05.08.12