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"L'Ilva: se chiude Taranto addio anche a Novi e Genova", di Guido Ruotolo

Con il fiato sospeso si aspetta domani, quando il Tribunale del Riesame leggerà il dispositivo della decisione. Sapremo domani se l’Ilva vivrà o se, come ha detto ieri il suo presidente Bruno Ferrante alla Commissione parlamentare bicamerale sui rifiuti, «chiuderà Taranto e con Taranto gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure perché con lo spegnimento degli altoforni è un sistema che viene meno». È l’effetto domino dal primo giorno evocato e solo ieri esplicitato in una sede istituzionale. Ma il solo ricordarlo ha fatto gridare al «ricatto». Gaetano Pecorella, Pdl, presidente della Commissione sul ciclo dei rifiuti, non è tenero con Ferrante: «Non è accettabile il suo discorso. Ci ha detto che o gli lasciamo carta bianca oppure chiudono tutto. È stato deludente, ci aspettavamo un programma di rinnovamento profondo e invece nessuna discontinuità con il passato».

Saranno scarcerati gli otto indagati, e i sei impianti dell’area a caldo verranno dissequestrati o comunque saranno cancellati i custodi giudiziari e gli impianti riaffidati ai tecnici e manager Ilva? Se a Taranto, la difesa degli indagati si è mostrata fiduciosa sugli esiti del Riesame, a Roma il presidente Ferrante ha voluto giocarsi la carta della scelta dei Riva, del patron Emilio Riva. «Per i Riva Taranto è un impianto strategico. Dal ’95 sono stati investiti 4,5 miliardi di euro , e di questi 1,5 per l’ambiente. Ma se il Riesame dovesse confermare le misure decise dal gip, noi ci troveremmo in difficoltà, costretti a chiudere non solo Taranto ma anche gli altri impianti che trattano i semilavorati prodotti nell’acciaieria a caldo».

Il presidente dell’Ilva ha in più passaggi ribadito la linea della «discontinuità» con il passato, «non avendo condiviso» le scelte di «litigiosità giudiziaria» – i contenziosi aperti e ormai chiusi per rinuncia da parte di Ferrante di «non partecipazione» all’incidente probatorio con proprie controperizie, o «contestando» comportamenti di uomini della direzione, come Girolamo Archinà, licenziato tre giorni fa.

Ai componenti della Commissione bicamerale sui rifiuti, l’ex prefetto di Milano ha voluto sottolineare quanto quella della Procura sia stata «un’iniziativa meritoria», «per aver risvegliato le coscienze» su quel tema fondamentale che è il rapporto lavoro-salute. Ma nello stesso tempo, Ferrante ha preso le distanze dalle scelte del gip, dagli arresti domiciliari.

«È inaccettabile la minimizzazione da parte del governo del disastro ambientale e sanitario di Taranto». Mentre si sta creando uno schieramento politico – Idv, Verdi e Rifondazione – che chiede le dimissioni del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, a Bari ieri si è riunito un tavolo tecnico per rendere ormai operativo il piano varato dal governo per le bonifiche di Taranto. I 336 milioni stanziati sono stati così ripartiti: 119 per le bonifiche, 187 per gli interventi portuali e 30 per il rilancio industriale e investimenti produttivi con elevati livelli tecnologici.

A Bari, governo, Regione ed enti locali stanno costruendo le condizioni per rendere Taranto ambiente vivibile e compatibile con le industrie. Ma tutto questo con la decisione del Riesame c’entra poco.

La Stampa 07.08.12

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LA PREOCCUPAZIONE DEGLI 800 OPERAI ALESSANDRINI “CON LE SCORTE ANDIAMO AVANTI SOLO FINO A OTTOBRE”, di GINO FORTUNATO

L’incubo della chiusura dello stabilimento Ilva di Novi è sempre più incombente fra i dipendenti, soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente dell’azienda Bruno Ferrante.

La notizia non ha colto di sorpresa i lavoratori: i sindacati avevano già previsto questa evenienza e se n’era parlato alle assemblee dei giorni scorsi. Ma poi erano filtrate delle notizie più rassicuranti: «Lo stabilimento di Novi sta per sospendere l’attività per circa tre settimane, per la consueta manutenzione agli impianti – dice Bruno Motta della Cgil – Si tratta di una procedura che sarebbe stata applicata anche senza l’esplosione del caso Taranto. Poi da settembre si dovrebbe ricominciare a lavorare sfruttando le scorte di acciaio in giacenza nella fabbrica novese. Comunque sono limitate e consentiranno di proseguire la produzione al massimo fino ad ottobre».

In passato l’Ilva aveva già acquistato rotoli di materia prima (che a Novi viene trasformata «a freddo» in lamierino) dalla Russia e altri Paesi dell’Est: fra l’altro a costi altamente competitivi. Un’operazione che in caso di prolungato blocco di Taranto potrebbe essere ripetuta. Ma allo stabilimento novese – i dipendenti sono quasi 800, con l’indotto superano i mille, quasi tutti della zona – sperano in un programma di bonifica graduale dell’area tarantina meno «severo e rigoroso» e soprattutto che l’eventuale inasprirsi della vertenza non imponga la chiusura degli altri impianti nazionali, fra cui quello cittadino. La fabbrica di Novi, in base ai rilevamenti effettuati dall’Arpa, non svilupperebbe polveri sottili o altri elementi nocivi grazie all’utilizzo di basse temperature nella lavorazione del «lamierino», principalmente destinato all’industria automobilistica. Sino al 2008 a Novi si producevano sino a 2 milioni di tonnellate di laminati all’anno. Sembrano però lontanissimi quei tempi.

La Stampa 07.08.12

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“SENZA IL LORO ACCIAIO NON POSSIAMO ANDARE AVANTI SERVONO INTERVENTI GRADUALI O PER NOI È LA FINE”, di ALESSANDRA PIERACCI

Con 1760 dipendenti, di cui 900 in regime di contratti di solidarietà, e altri duemila lavoratori dell’indotto, l’Ilva di Genova dipende dall’altoforno di Taranto. Lo stabilimento di Cornigliano ha chiuso i suoi impianti a caldo negli anni scorsi, in seguito a lunghe trattative con gli enti locali e il governo. Ora sopravvive la lavorazione a freddo, ma senza il materiale che arriva dalla Puglia il complesso è inutile. «Lo sappiamo tutti. Le dichiarazioni di ieri non aggiungono nulla. È un messaggio dell’azienda a chi forse fino a questo momento, forse anche la magistratura, non aveva idea di che cosa fosse il ciclo della siderurgia. Un modo per far presente a tutto il mondo quali sarebbero le conseguenze della chiusura» dice Franco Grondona, segretario provinciale della Fiom. «È come se a Taranto ci fosse il mulino – prosegue e qui il panificio: senza farina niente pane». Fa lo stesso esempio anche il segretario generale della Uil, Pierangelo Massa: «Qui facciamo il pane, l’impasto arriva da fuori». Per Massa, le dichiarazioni di Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, «interpretano la posizione dura di un’azienda sotto schiaffo». La ragionevolezza vorrebbe «una bonifica con interventi graduali, c’è la possibilità di farlo».

«Speriamo che la ragionevolezza prevalga – si augura il presidente della Regione, Claudio Burlando – Il processo siderurgico si basa su lavorazione a caldo e a freddo, se si chiude l’altoforno salta l’intero ciclo produttivo. Speriamo che ci sia buonsenso, in un momento in cui anche la crisi dell’auto ha dato una mazzata all’industria dell’acciaio».

«In un momento di crisi planetaria, non si può mettere in ginocchio un settore strategico come questo. Si può trovare una mediazione. Sono passati decenni invano, mentre alcuni giocavano a rimpiattino, ora improvvisamente qualcuno spegne la luce e ci troviamo tutti al buio» conclude Massa.

La Stampa 07.08.12