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"Quei ragazzini senz'anima che uccisero Desirée", di Giusi Fasano

I ricordi del giudice: troppa crudeltà, faticai a parlarne. L’intuizione fu di un luogotenente dei carabinieri, Domenico Zamparini. «Quel maresciallo era un grande» ricorda l’ex capo della procura minorile di Brescia Emilio Quaranta. «È morto qualche anno fa e ogni tanto penso a lui. Lo rivedo mentre mi chiede “che ne dice se controlliamo dove hanno passato le vacanze quei ragazzi di Leno?”. Era una buona idea e quello che scoprimmo fece svoltare le indagini».
L’autunno del 2002 era appena cominciato e a Leno, nel Bresciano, era scomparsa una ragazzina di 14 anni, Desirée Piovanelli, primo anno di liceo scientifico. Non tornò a casa la sera del 28 settembre e quel pomeriggio nessuno l’aveva incrociata, nessuno aveva saputo dire dov’era diretta quand’è uscita. I giorni a casa Piovanelli passarono in un crescendo di angoscia e presentimento. La sera del 2 ottobre suo padre Maurizio la implorò dagli schermi delle tivù («Ti prego torna a casa»), convinto com’era che Desirée fosse da qualche parte con il suo ragazzo, come aveva scritto lei stessa in un messaggino telefonico spedito al fratello qualche ora prima. Eppure c’era qualcosa che non andava in quel messaggino.
Il luogotenente Zamparini si mise a ricostruire la «vita» della scheda telefonica usata dalla ragazzina e scoprì che era stata rubata (e c’era la denuncia) in un camping di Jesolo. Che ci faceva quella scheda nelle mani di Desirée? Così il maresciallo andò dal procuratore Quaranta, appunto: «Vediamo dove hanno passato le vacanze quei ragazzotti…».
I «ragazzotti» erano dei minorenni di Leno che la studentessa scomparsa conosceva da quand’era bambina e che avevano in comune tante, troppe attenzioni per lei. Uno, Nicola, era stato respinto più volte e di lui Desirée aveva annotato nel diario: «Tenere alla larga». Gli amici più stretti di quel molestatore erano due: Nico, coetaneo, e Mattia, 14 anni. E guarda caso avevano passato le vacanze a Jesolo. Ce n’era abbastanza per metterli sotto pressione.
L’ex procuratore ripensa a quei giorni: «Ricordo che dopo l’accertamento sulle vacanze sentimmo per primo quel Mattia. Aveva compiuto 14 anni da poco, era emotivamente debole e non ci volle molto per farlo crollare. Ci raccontò del branco, di come avevano ammazzato la povera Desirée, ci parlò di Giovanni Erra, l’unico adulto del gruppo (aveva 36 anni, ndr), e ci disse dove avremmo trovato il cadavere…».
Il corpo di Desirée era in un vecchio casolare che si chiamava Cascina Ermengarda, a due passi da casa sua e da quella dei suoi assassini. L’avevano accoltellata e la sua agonia, stabilì poi l’autopsia, era durata quasi due ore. Tutto premeditato: attirarla nella cascina con il pretesto di farle vedere una cucciolata di gattini, violentarla a turno e poi ucciderla con un coltellaccio. Nicola aveva portato un sacchetto per infilarci i vestiti sporchi di sangue e aveva comprato un caricabatteria che andasse bene per il cellulare di Desirée, così l’avrebbero usato dopo il delitto per depistare gli inquirenti. Nico aveva recuperato delle fascette autobloccanti per immobilizzarla. E ciascuno di loro si era impegnato a dare una mano per tenerla ferma durante la violenza.
«Lo so che vale poco o niente come consolazione, ma ci tengo a dire che alla fine non sono riusciti a violentarla» sospira Emilio Quaranta. Desirée è riuscita a divincolarsi, perfino a liberare la mani dalle fascette. «Mi fai schifo, mi fai pena» ha detto a Nicola prima che lui le infilasse la lama nel petto. Erano in quattro, senza cuore e senza pietà e lei non aveva scampo. Chissà su quale dettaglio di quel posto squallido ha chiuso i suoi occhi per sempre…
Dopo tutti questi anni le sentenze sono diventate definitive. Per Mattia, condannato a 10 anni di reclusione, è quasi tempo di libertà. Per Nicola i giudici hanno deciso 18 anni di cella, per Nico 15, per Giovanni Erra 30. Nel 2007 la cascina del delitto è stata abbattuta, al suo posto adesso c’è un residence che si chiama «Cascina Desirée», perché nessuno dimentichi mai questa storia «di una violenza inaudita» come dice l’ex procuratore minorile.
Quaranta ricorda se stesso mentre annotava una traccia per la requisitoria. «Pensai: come faccio a descrivere tutta questa crudeltà? E mi venne in mente un’espressione che poteva contenerla: parlai di anestesia etica e sono ancora convinto che sia stato davvero così. Quei ragazzini non avevano minimamente la percezione di quanto fosse grave ciò che stavano facendo. Non hanno mai versato una sola lacrima, mai una sola parola di pentimento… delle pietre inanimate. Dissi ai giudici che in quei giovani imputati c’era un’angosciante normalità del male. Dopo 44 anni, 6 mesi e 22 giorni di lavoro io sono andato in pensione nel 2010. La storia della povera Desirée e l’inumanità dei protagonisti restano fra le cose più sconvolgenti di cui mi sia mai occupato».

Il Corriere della Sera 08.08.12