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"Ferragosto, esplode la crisi del lavoro", di Rinaldo Gianola

A Taranto c’è l’intervento chiarificatore di un giudice della indagini preliminari che impone la chiusura dell’Ilva come condizione per avviare la bonifica e il risanamento dell’area, con tanti saluti a chi si era illuso di poter continuare a produrre e lavorare nel più grande impianto siderurgico italiano con i suoi 12mila dipendenti. L’Ilva rappresenta il 20% del pil della regione Puglia, se l’impianto viene spento cessano la produzione altri due impianti al Nord e si avvia verso lo schianto un pezzo rilevante del nostro tessuto produttivo. Davanti a Montecitorio, poi, un uomo di 54 anni si è dato fuoco, è in fin di vita, pare per la disperazione di aver perso il lavoro e di essere rimasto senza un reddito. Negli ultimi mesi aveva avuto solo qualche contratto “a chiamata”, un lavoratore “squillo”, poi nemmeno questi. La fredda e parziale contabilità della recessione indica in 290 i casi di suicidio o tentato suicidio riconducibili alla crisi. Quindi c’è il caso di una compagnia privata di voli low cost, la Wind Jet del dottor Pulvirenti proprietario pure del Catania Calcio, che pare arrivata al capolinea, dopo mesi e mesi in cui le notizie delle difficoltà dell’azienda si sono moltiplicate senza che nessuno si preoccupasse di metterci una pezza. Così siamo arrivati all’esodo d’agosto con migliaia di cittadini bloccati negli scali, non si sa se la compagnia continuerà a volare e non si sa nemmeno se i 300mila passeggeri che hanno già comprato i biglietti per i prossimi mesi potranno essere “salvati” o perderanno soldi e voli. Martedì interverrà il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che di aerei se ne intende per aver creato quand’era amministratore delegato di Intesa San Paolo la cordata dei” patrioti” per salvare Alitalia e aveva tra i suoi maggiori debitori l’Air One del signor Toto. La gravità di queste vicende è ovviamente diversa, ma fotografano l’emergenza in cui è precipitata l’Italia del lavoro. Un’emergenza dalla quale pare che non riusciamo ad uscire. Ogni giorno c’è la sensazione di perdere qualche pezzo per strada, di assistere all’indebolimento di un sistema che non si regge più. Non c’è bisogno di aver studiato alla Bocconi per comprendere che la priorità assoluta del Paese è da molto tempo l’attivazione di politiche economiche e industriali capaci di riavviare un processo di investimenti, di crescita, di buona occupazione. Invece prima abbiamo avuto Silvio Berlusconi che vedeva i ristoranti pieni e quindi giurava sull’inesistenza della crisi, poi è arrivato il governo dei prof, più presentabile e capace, che ha privilegiato la riforma delle pensioni, dimenticando per strada però 390mila lavoratori, e poi quella del mercato del lavoro cercando di rendere credibile l’idea che se si altera l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori allora arriveranno valanghe di investitori stranieri ansiosi di attivare produzioni e iniziative imprenditoriali. La realtà, naturalmente, è profondamente diversa. Le imprese straniere continuano a fare affari dove hanno convenienza, compresa l’Italia. I francesi di Lactalis si prendono Parmalat, la svuotano del miliardo e mezzo di euro custodito in cassa, mentre le imprese e le banche italiane stanno a guardare. I tedeschi dell’Audi hanno messo sul tavolo un miliardo di euro per la Ducati dove c’è persino la Fiom a rappresentare una gran quota di dipendenti e la Volkswagen prenderebbe pure la nostra adorata Alfa Romeo, distrutta dalla Fiat che la rilevò nel 1986 grazie a Bettino Craxi, se solo Sergio Marchionne fosse disponibile. Ma sulle intenzioni della Fiat, le cui fabbriche italiane producono meno di quattro anni fa ma dovrebbero arrivare a un milione e seicentomila vetture entro il 2014 come scritto nel piano Fabbrica Italia, si informerà il ministro Fornero, che voleva ridimensionare pure la cassa integrazione all’inizio della sua azione governativa, e quindi possiamo stare tranquilli. Arrivati al quinto anni di crisi, con una recessione di cui non si vede la fine (prendiamo per buoni i dati di Confindustria), la nostra bella Azienda Italia ha perso per strada un milione di occupati, circa mezzo milione è stato interessato dalla cassa integrazione, la disoccupazione è largamente oltre l’11% se si considerano i lavoratori in mobilità, destinati ad essere espulsi dai processi produttivi, un giovane su tre è senza lavoro. Negli ultimi due anni hanno chiuso circa 30mila aziende, cresce la diseguaglianza tra chi sta meglio e chi sta peggio. Presso il ministero dello Sviluppo economico sono aperti 141 tavoli di crisi, interessano tutti i settori. non si salva nessuno, complessivamente coinvolgono 169mila lavoratori che rischiano di perdere il posto. Questa è l’Italia, potenza economica dell’Occidente industrializzato, nel bel mezzo dell’agosto 2012. Buone vacanze.

L’Unità 12.08.12