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"I doveri della legge", di Gianluigi Pellegrino

Dire che è assurdo dover scegliere tra salute e lavoro è senz’altro un bel dire, ineccepibile in astratto. Ma se andiamo al concreto della vicenda Ilva la petizione astratta rischia di mostrare la corda. Rischia di portarci su un binario morto dove la purezza dei principi si infrange sul sangue vivo delle scelte da compiere. Da parte di tutti gli attori coinvolti, governo, amministrazioni locali, giudici. Il punto è che mai come in questo caso la strada maestra deve essere quella della mediazione, anche tra valori e principi che sembrano irrinunciabili e incomprimibili. Il che ci consegna due risposte. La prima è che se si ha il dovere di mediare, la decisione finale non potrà essere dettata esclusivamente dalla tutela del lavoro (infischiandose della salute) né esclusivamente dalla tutela della salute (infischiandosene del lavoro), per difficile che sia anche solo pronunciarlo. La seconda risposta è che il potere più adeguato a svolgere questa difficile ma necessaria mediazione può essere solo quello legislativo.
Sta qui, a ben vedere, la soluzione dello straniamento che tutti noi avvertiamo nella difficoltà di orientarci tra quello che sembra un insanabile, ennesimo, e forse
il più lacerante per le coscienze, conflitto tra politica e magistratura. Perché si ha l’impressione che tutti abbiano ragione, i giudici nell’intervenire su una situazione di pericolosa se non mortale illegalità sul fronte dell’inquinamento ambientale, il governo nel voler garantire una strada di risanamento che non pregiudichi la produttività e la vita dell’azienda siderurgica. Ma queste ragioni, ciascuna in sé cristallina e ineccepibile, vengono a trovarsi oggi in fatale e irrisolvibile conflitto, consegnandoci un contrasto che abbiamo definito il più lacerante tra i tanti degli ultimi anni, perché questa volta interroga le coscienze e non presenta, come invece è stato tante volte nella stagione berlusconiana, una parte in evidente malefede animata soltanto da un desiderio di revangee da una congenita intolleranza ai controlli.
Se alla magistratura va riconosciuto il merito di aver posto finalmente la questione con la sola forza dirompente, idonea a svegliare istituzioni per decenni dormienti o conniventi, va pure evidenziato che non può chiedersi ai giudici oggi di operare la mediazione che è necessaria. È senz’altro vero che nessun potere è meccanicisticamente vincolato, e nemmeno quello giurisdizionale lo è tanto meno nelle fasi cautelari connotate per definizione da ampi margini di discrezionalità. Ma questo può solo consentire di rivolgere eventuali apprezzamenti critici su come la discrezionalità venga esercitata e, se del caso, a provare ad attivare gli strumenti interni al processo per cercare di ottenere correzioni dei provvedimenti giurisdizionali non condivisi, giammai francamente ad individuare un travalicamento dei poteri sino a coinvolgere la Corte costituzionale con una iniziativa che Catricalà ha troppo frettolosamente annunciato. Piuttosto la situazione è talmente peculiare ed emergenziale da imporre l’ingresso in campo dell’unico potere che può svolgere la necessitata quanto complessa mediazione: il potere legislativo.
È la legge nel nostro ordinamento lo strumento di elezione per la composizione di valori nel solco dell’interesse generale. Tante volte leggi ad hoc sono state assunte a sproposito, se non per servire biechi interessi di parte, ma ora è invece la volta che sarebbe del tutto necessaria e opportuna. Una legge-provvedimento i cui contenuti ovviamente dovranno essere confezionati dal governo (per poi passare alla conferma del Parlamento i cui gruppi dovrebbero essere previamente coinvolti) sulla scorta di un’ampia istruttoria che potrà essere compiuta dai ministri che Monti ha prontamente previsto di inviare sul posto ed anche con l’ausilio dell’Organizzazione mondiale della sanità annunciato ieri da Clini. Le soluzioni possono oscillare dalla più radicale che è quella dell’esproprio, proposta dal giudice Amendola nell’intervista di ieri a questo giornale, e che potrebbe operare anche una compensazione parziale o totale con i Riva tra risarcimento per i danni provocati e indennizzo per l’esproprio. Sino alla diversa opzione di un termine cogente imposto per legge per la messa a norma del funzionamento dell’impianto con sanzioni aggravate in caso di inadempimento e per le attività di bonifica, nel frattempo garantendo l’attività e quindi l’occupazione. Del resto, una ragionevole soprassessione in una vicenda inquinante che va avanti da decenni di per sé deve ritenersi sicuramente ammissibile. Non si tratta ovviamente si scelte facili né sul piano tecnico né su quello politico, ma quel che è certo è che se la via obbligata è quella della mediazione illuminata tra i valori in conflitto solo un legislatore, per una volta all’altezza, ha la forza di compierla. E il dovere di assumersene la responsabilità.

La Repubblica 15.08.12