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"Atenei, il quiz è un affare trionfa il numero chiuso", di Salvo Intravaia

Non saranno soltanto aspiranti camici bianchi, insegnanti e architetti a dovere fare i conti col quizzone ministeriale per accedere all’università. A settembre, uno studente su due dovrà cimentarsi con un lungo elenco di domande se vorrà frequentare la facoltà desiderata: in pratica, oltre 200 mila neodiplomati, per un “giro d’affari” per gli atenei pari a 10 milioni. Oltre ai corsi di laurea a numero programmato (chiuso) a livello nazionale — Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Professioni sanitarie e Architettura — sono in aumento i corsi universitari che prevedono lo sbarramento del test. Prendendo in considerazione le sole università statali, a settembre più di metà dei corsi sarà a numero chiuso: il 27 per cento a programmazione nazionale e il 27,2 per cento con programmazione locale degli accessi. Per affrontare il test si pagano da 50 a 100 euro “non rimborsabili” e i maligni ritengono che questo sia un modo anche per fare cassa. Una settimana fa, il rettore dell’università di Palermo, Roberto Lagalla, ha annunciato che nel capoluogo siciliano da quest’anno tutti i corsi universitari saranno a numero chiuso. «Sono almeno due i motivi che ci hanno spinto a programmare l’accesso a tutti i corsi di studio per il prossimo anno», spiega Lagalla. «Il primo — continua — riguarda i nuovi criteri di accreditamento dei corsi che prevedono un certo rapporto tra docenti e studenti. In sostanza, se vogliamo mantenere un certo standard di qualità, siamo obbligati a programmare gli accessi. Il secondo motivo è dettato da un credibile rapporto tra numero di laureati e potenzialità occupazionali ».
Una spiegazione che convince poco gli studenti. «L’Italia è il paese d’Europa con il minor numero di laureati ogni 100 abitanti e l’Ue ci chiede di raddoppiare questi i numeri in pochi anni — spiega Michele Orezzi, portavoce dell’Unione degli universitari — ma gli ultimi governi non hanno fatto altro
che aumentare gli ostacoli all’accesso universitario. E, approfittando della riforma Gelmini, i corsi a numero chiuso si sono moltiplicati, con università che hanno fatto proliferare i test d’ingresso per incassare soldi dagli studenti». «La cosa paradossale — continua Orezzi — è che questi sbarramenti coinvolgono anche corsi che formano figure, come i laureati in Farmacia, di cui il nostro paese ha assolutamente necessità».
In effetti, l’accesso a Farmacia è ormai a numero programmato in tutti gli atenei italiani. Nelle regioni settentrionali i corsi a numero chiuso decretati localmente sono 27 su cento mentre al Centro “appena” il 16,9 per cento. È nelle aree meridionali che il tasso schizza al 35,5 per cento: il doppio che nelle regioni dell’Italia centrale. Su un totale di 2.274 corsi di primo livello e a ciclo unico funzionanti nelle università statali, quelli a numero chiuso sono 1.231: il 54,2 per cento. Per coloro che intendono iscriversi a Scienze matematiche o informatiche, a settembre, la strada è abbastanza pianeggiante: solo il 13 per cento dei corsi è a numero chiuso. Ma appena si passa a Scienze chimiche i corsi a numero chiuso aumentano: il 55 per cento. Per toccare quasi il 90 per cento per coloro che si voglio iscrivere a Farmacia, Biotecnologie, Scienze biologiche e Biologia. L’accesso alla facoltà di ingegneria è abbastanza agevole — due terzi dei corsi sono ad accesso libero — e si registrano corsi a numero chiuso anche in Lettere — nel 20 per cento dei casi — e Filosofia: nel 30 per cento dei casi. I più facilitati sono coloro che invece desiderano vestire la toga: solo il 7 per cento degli accessi a Giurisprudenza è a numero chiuso.

La Repubblica 21.08.12