economia

"Ambiente e beni comuni le frontiere da esplorare", di Stefano Manzocchi

L’era della Grande Bolla del debito che si è esaurita nel 2007 ci porta in eredità, oltre che la stagnazione delle economie avanzate in conseguenza delle crisi debitorie pubbliche e private e della maggior avversione al rischio degli investitori, un paradosso del lavoro.

Il ciclo di crescita globale alimentato dal debito – a partire dal 1995 – ha contribuito per più di un decennio a sostenere l’occupazione negli Stati Uniti ed in Europa, ma nel contempo ha consolidato la svalutazione in termini sociali del lavoro. Gli studi di Thomas Piketty della Paris School of Economics mostrano come l’eredità ha spesso contato più del merito e dell’impegno nel determinare gli esiti della competizione economica tra individui nel mondo occidentale degli ultimi decenni. Non si tratta di una esperienza inedita: già nel XIX secolo la fine dell’egemonia britannica coincise con la prevalenza di un modello sociale fondato sulla rendita più che sul lavoro (o sull’impresa). Il paradosso consiste nel fatto che lo scoppio della Grande Bolla ci ha rapidamente condotti in una condizione di scarsità di impieghi disponibili, ma ci sta anche illuminando sulle degenerazioni della finanza e dell’arricchimento connesso a speculazioni più o meno fraudolente. Insomma, l’effetto è stato la riaffermazione dell’economia reale su quella di carta (e di mattoni), anche se naturalmente non è tutto marcio in Danimarca e le due sfere (produzione e finanza) sono ben interconnesse.

Quindi rivalutazione sociale del lavoro, ma scarsità degli impieghi: sono 48 milioni i disoccupati stimati dall’Ocse nelle economie avanzate, 15 in più del 2007. E lo scenario a venire prefigura per il nostro Paese un’industria che per tornare forte punterà più sulla produttività e sull’aumento delle ore lavorate che non sull’espansione degli occupati, mentre la Pubblica Amministrazione difficilmente amplierà gli organici nei prossimi anni.
Dove quindi trovare nuovi impieghi che colmino il vuoto che si è aperto? Coniugare lo sviluppo dei “beni comuni” con la ricerca del valore, di mercato e sociale, sembra una strada promettente. Sempre secondo l’Ocse, riducendo il totale delle nuove materie prime immesse nell’economia della Ue del 17%, si potrebbero creare tra 1,4 e 2,8 milioni di posti di lavoro, mentre il riciclo del 70% dei materiali primari potrebbe creare oltre 560.000 nuovi posti di lavoro entro il 2025. Inoltre, una migliore gestione dei rifiuti potrebbe creare più di 400.000 posti di lavoro entro il 2020.

Per avviare una filiera fondata sul riciclo e la trasformazione dei rifiuti – ad alta intensità di lavoro in alcune delle sua fasi, ad elevata intensità di innovazione in molti dei suoi processi – con forti connotazioni di valorizzazione dei beni comuni basta spesso una decisione amministrativa comunale.
Lo stesso dicasi per altre filiere che certo non soppianteranno la manifattura che regge l’economia del nostro Paese ma si affiancheranno progressivamente all’industria come l’abbiamo finora conosciuta.
Il Decreto-Sviluppo appena convertito in legge compie, da questo punto di vista, un passaggio culturale importante. Preso atto della impossibilità di stimolare o assecondare la crescita con fondi pubblici aggiuntivi, nell’epoca della spending review, guarda invece alla regolamentazione ed agli incentivi fiscali per trasformare i comportamenti sociali, creare nuovi mercati e ambienti per nuove imprese. Gli esempi sono molti, dalla ristrutturazione edilizia al risparmio energetico alla gestione dei rifiuti, appunto.

Altri ambiti dove coniugare i beni comuni e la creazione di valore si potranno aprire in futuro, ad esempio con il maggior ricorso a sistemi mutualistico-assicurativi per la sanità e la riabilitazione fisiatrica.
La rivalutazione sociale dell’economia reale si terrà su basi ancor più solide se innovazione, investimenti e regolamentazione si muoveranno nella duplice direzione di creare nuovi impieghi che allevino la crisi occupazionale, e di generare imprese portatrici di nuovi valori economici e sociali assieme.

da www.ilsole24ore.com