attualità, economia

"Il caso Bellocchio", di Natalia Aspesi

Bellocchio ce le fa rivedere, e a distanza di tre anni e mezzo, come liberati da un incantesimo, se ne percepiscono tutta la vergogna, il cinismo, l’opportunismo, in certi casi l’orrore: come quando il primo ministro Berlusconi, col suo sorriso da piazzista, in totale impudente crudeltà, informa gli italiani che quel corpo perduto alla vita da tanti anni, ha ancora le mestruazioni e potrebbe quindi fare figli. E poi le sedute in Senato, e gli anatemi del pidiellino Quagliarello, e l’assurdo minuto di silenzio chiesto dal presidente Schifani all’annuncio che la macchina che mimava la vita di Eluana era stata finalmente staccata.
Con grande sapienza, e bravissimi attori, Bellocchio racconta del valore della vita e della morte con la storia di una tossica (Maya Sansa) che vuole a tutti i costi suicidarsi, a cui si oppone un dottore (Pier Giorgio Bellocchio) che vuole impedirglielo, “in nome dell’umanità”, mentre i cinici colleghi scommettono su quando Eluana morirà; con quella di una grande attrice (Isabelle Huppert) che ha una bellissima figlia in coma e che, senza fede, circondata da suore, sgranando il rosario, lavandosi le mani imbrattate da un sangue immaginario come recitasse nel Macbeth, pretende da Dio un miracolo; e quella che si riallaccia al frenetico momento politico di quei giorni, quando frettolosamente Berlusconi decise di far votare una legge che, per compiacere il potere vaticano, avrebbe dovuto cancellare quella che consente la libertà di cura. Il senatore del Pdl Toni Servillo non vuole andare contro la sua coscienza, e annuncia che non solo non voterà a favore, ma esprimerà nell’aula le ragioni del suo dissenso, per poi dimettersi. «Ma perderai la pensione! » gli dice il collega, che fu socialista come lui ricordandogli che fu il grande boss a salvarli dalla galera e non si può quindi disubbidirgli: e infatti, nelle stanze del partito, tutti a chiacchierare col telefonino e ad assicurare il loro sì.
Ci fu davvero, dice Bellocchio, un senatore friulano, amico di Beppino Englaro, che era deciso a dire no, poi come si sa, la nonvita di Eluana cessò prima che si votasse, e tutto finì lì. Il regista sostiene di non avere alcun atteggiamento di disprezzo verso quelle figure di politico che si aggirano nel suo film, ma certo non li esalta nella scena del tutto surreale in cui, come fossero i senatori dell’antica Roma, s’immergono nudi nei vapori del bagno turco, continuando a guardare la tivù del parlamento. Si ride quando il senatore psicanalista Roberto Herlitzka sostiene che «I politici sono tutti malati di mente». E noiosissimi, da curare con pastiglie per toglierseli di torno: «Sono smarriti, depressi, infelici, vagano per il centro senza sapere che fare, sentendosi inutili, terrorizzati dall’idea che la televisione non li chiami più, sempre più convinti di non contare niente».
Il senatore di Servillo non è una macchietta, è una bella figura di uomo ferito dalla malattia della moglie che ha aiutato a non soffrire più, e dall’ostilità della figlia, Alba Rohrwacher, che sta dalla parte di chi prega perché non sia staccata la spina della macchina che fa respirare, ma non vivere, Eluana. Bellocchio ricostruisce con maestria il caos emotivo di quei giorni che avevano trasformato la discussione sull’eutanasia in una tragedia nazionale dai pesantissimi risvolti non solo morali e religiosi ma anche politici. La folla di credenti davanti alla clinica, i canti sacri, le preghiere, i lumini, le messe, le grida «Assassini! », gli ammalati in carrozzella con il cartello «Ammazza anche me», la polizia, i sostenitori del diritto di far cessare le sofferenze di Eluana, i dibattiti in televisione, i cronisti a caccia di dichiarazioni sensazionali. Ma l’Italia si sa, è impaziente: annunciato che il corpo della povera Englaro si era spento, tutto finì in pochi giorni, si passò subito ad altro. Però al momento di girare il film, se ne sono ricordate la Provincia di Udine (il Comune ha favorito le riprese) e la Regione, che hanno cancellato la Friuli Film Commission che aveva già comunque partecipato al finanziamento del film, come appare nei titoli di testa. Bella addormentata entra nella ristretta rosa dei candidati al Leone d’oro.

La Repubblica 06.09.12

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“La par condicio non si addice a questa vicenda”, di Curzio Maltese

La colpa di Beppe Englaro fu di voler compiere alla luce del sole e nel rispetto della legge quello che ogni giorno si fa in silenzio in molte famiglie. Restituire la dignità della morte alla figlia Eluana, già persa alla vita da 17 anni. Staccare la spina di un accanimento terapeutico senza senso e senza speranza per Eluana, che serviva ad altri per altri scopi. È la scelta compiuta in tempi recenti dai due uomini più amati della chiesa, Karol Wojtyla e Carlo Maria Martini. Ma la chiesa, come tutti i poteri italiani, dei quali rimane l’archetipo, non è interessata tanto al rispetto autentico della legge morale, quanto al pubblico atto di sottomissione. Per averlo rifiutato, papà Englaro ha pagato un prezzo enorme. Gerarchie e associazioni cattoliche non hanno esitato a mettere in campo una propaganda infame, a usare disabili nelle manifestazioni con cartelli appesi al collo («Uccidi anche me! »), al linciaggio quotidiano («boia», «assassino») di un padre provato da un lungo calvario. Non si sono vergognati neppure di sfruttare il potere mediatico e il grottesco magistero morale di un noto organizzatore di festini, incidentalmente presidente del Consiglio. Un abisso di degrado insomma di una chiesa già percorsa da una furibonda lotta di potere, come si rivelò poi dagli scandali.
Con tali premesse, si sarebbe potuto temere dall’autore de I pugni in tasca e L’ora di religione un eccesso di furia indignata. A sorpresa invece Bella addormentata ha il difetto di apparire troppo prudente. Preoccupato di «non offendere nessuno», Bellocchio intreccia storie e personaggi con una strana ansia da par condicio. In termini giuridici, si chiama eccesso colposo di legittima difesa. Non che qualcuno possa sbandierare verità assolute in questi casi. Ma alla fine i personaggi della finzione appaiono al di sotto della tensione del conflitto reale, che esplode nelle immagini di cronaca splendidamente montate. Lo splendore del cinema di Bellocchio riemerge in scene indimenticabili, come il bagno da basso impero dei senatori, oppure in figure laterali, il capo banda berlusconiano interpretato dal grandioso Roberto Herlitzka, che distribuisce psicofarmaci per sedare i rari sussulti etici. A parte la scrittura, tutto è straordinario, regia, fotografia di Ciprì, montaggio di Francesca Calvelli, il portentoso gruppo di attori, tanto più quando i personaggi risultato meno credibili. Per esempio, il politico interpretato, al solito magnificamente, da Toni Servillo. In vent’anni da cronista non mi è mai capitato d’imbattermi in un parlamentare berlusconiano non tanto in preda a una crisi di coscienza, questo è capitato, ma totalmente immerso in un universo morale tanto limpido e coerente, quasi kantiano. Ma il cinema serve anche a inventare mondi paralleli.

La Repubblica 06.09.12