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"Perché siamo indifferenti a chi viola regole e leggi", di Giovanni Belardelli

Perché spesso siamo indifferenti verso chi non rispetta le regole? È come se nella patria del diritto (scritto) avesse preso corpo una singolare forma di common law, in virtù della quale molti decidono che una certa norma può essere ignorata. Del resto, non c’è forse un’idea del genere dietro comportamenti diffusi come l’elevata evasione fiscale o quella mancata osservanza dei vincoli edilizi che ha provocato la distruzione del paesaggio italiano? L’episodio dei lavori «gonfiati» dell’Aquila (Corriere, 6 settembre) fa sorgere interrogativi radicali su ciò che è o sta diventando il nostro Paese. Ecco i fatti: da una verifica della Guardia di finanza è risultato che nel capoluogo abruzzese alcuni proprietari di case si sarebbero accordati con un’impresa per dichiarare lavori non effettuati (il totale rifacimento del tetto invece della risistemazione solo parziale, l’installazione di ponteggi in realtà mai avvenuta e così via) ottenendo in tal modo un maggiore rimborso da parte dello Stato. Ciò che fa dell’episodio qualcosa di diverso dal «solito» scandalo sul dopo terremoto è la dimensione della truffa: su 73 pratiche esaminate, quelle che conterrebbero dati intenzionalmente falsi sarebbero più di un terzo. Anche considerando il campione non rappresentativo dell’intera ricostruzione aquilana, si tratta di una percentuale molto elevata, che induce a domandarsi se e quanto la propensione a non rispettare le leggi non faccia ormai parte della cultura di un settore consistente del Paese.
Qualche anno fa un giurista, Sabino Cassese, notò che la distinzione tra lecito e illecito in Italia viene spesso sostituita «da più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato» (Lo Stato introvabile, Donzelli). Insomma, come se nella patria del diritto (scritto) avesse preso corpo una singolarissima forma di common law, in virtù della quale molti decidono che una certa norma o legge può tranquillamente essere ignorata. Del resto, non c’è forse un’idea del genere dietro comportamenti diffusissimi come l’elevata evasione fiscale o quel mancato rispetto dei vincoli edilizi che ha provocato la distruzione del paesaggio italiano denunciata, ancora di recente, da Ernesto Galli della Loggia su questo giornale?
La truffa aquilana, quantitativamente limitata (almeno per il momento) nelle sue dimensioni, ci riporta così al vecchio tema della scarsa cultura civica degli italiani, sul quale circolano da tempo spiegazioni che sembrano fatte apposta per evitarci il fastidio di fare i conti con il problema. È inutile, ad esempio, evocare ancora una volta il «familismo amorale» utilizzato sessant’anni fa da Edward Banfield. Lo studioso americano si riferiva a un piccolo e poverissimo paese della Basilicata, dunque l’assenza di cultura civica che definiva con quell’espressione era il prodotto di un’arretratezza antichissima. Il «familismo amorale» di oggi è semmai il prodotto (uno dei danni collaterali, potremmo dire) dei modi in cui è avvenuta, dagli anni 60 in poi, la grande trasformazione della società italiana legata all’arrivo del benessere: una trasformazione che ha travolto strutture culturali, valori, criteri di comportamento legati al passato senza riuscire spesso a sostituirli in modo efficace. L’Italia, s’è detto mille volte, avrebbe sofferto della mancanza di una Riforma protestante: è possibile, ma certamente ha subito negli ultimi decenni gli effetti di una accelerata secolarizzazione che ha contribuito a intaccare, in parti importanti della società, quella distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è che si fondava sulla tradizione cattolica (ed è difficile pensare che i corsi di legalità messi in piedi nelle scuole possano avere la stessa immediata forza impositiva dei dieci comandamenti). Poco utile è anche quella spiegazione del nostro deficit di cultura civica che in anni recenti ha chiamato in causa Berlusconi come principale responsabile. Non solo, infatti, stiamo parlando di fenomeni che precedono la discesa in campo del Cavaliere. C’è anche da dire che, una volta riconosciuto come la cultura profonda del Paese si caratterizzi per una diffusa tendenza a non rispettare le leggi o non pagare le tasse, appare assurdo sostenere — come più volte nella polemica antiberlusconiana è stato fatto — che tutto ciò avrebbe lasciato immune chi votava contro Berlusconi. Come spiritosamente dichiarò una volta un esponente del Pd, l’onorevole Letta, è ridicolo affermare che solo a sinistra stanno le persone oneste mentre è a destra che sarebbero schierati tutti quelli che «parcheggiano in doppia fila».
Tra le false spiegazioni della mancanza di cultura civica del Paese, la più inutile, anzi probabilmente dannosa, è quella veicolata dal Movimento 5 stelle e in generale dall’attuale ondata antipolitica. Non che non siano giustificatissime le critiche al nostro ceto politico e alla resistenza che esso mostra di fronte a qualunque pur minima riduzione dei privilegi di cui gode. Ma episodi come quelli dell’Aquila stanno a confermare che l’idea di una società civile sana che si contrapporrebbe a un mondo politico tutto e sempre corrotto non risponde alla realtà. Quell’idea rischia invece di nascondere come a questo punto ci sia forse bisogno di un generale esame di coscienza, in un Paese che per troppo tempo ha consentito che norme e leggi potessero essere aggirate o infrante, a volte con l’approvazione, spesso nell’indifferenza di troppi di noi.

Il Corriere della Sera 08.09.12

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