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"Il matematico che disse no, Volterra rifiutò di giurare fedeltà a Mussolini", di Pietro Greco

È all’inizio di novembre dell’anno 1931 che Benito Mussolini mette alla prova l’università italiana e ordina a tutti i suoi 1.200 professori di giurare fedeltà al suo regime. Non ne esce bene, l’università. Solo in 12, tra quegli illustri docenti, rifiutano. Tra quei pochi coraggiosi c’è un matematico marchigiano, Vito Volterra. Senatore del Regno, Presidente dell’Accademia dei Lincei. È lui la figura di maggior spicco della scienza italiana. È lui che «salva la faccia» degli scienziati italiani di fronte la mondo.
È davvero impossibile riassumere in poche righe la vita di Vito Volterra. Perché è stato un grande «creatore di scienza», protagonista assoluto di quella «primavera della matematica» che tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 fece della povera Italia una delle tre grandi potenze mondiali nella scienza dei numeri. Perché è stato un grande «organizzatore di scienza», fondatore di una quantità di società e istituzioni tra cui spicca, per importanza il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr): il massimo Ente scientifico del nostro Paese. Perché è stato un grande «politico della ricerca», che si è battuto con lucidità e determinazione per trasformare non solo la cultura italiana nella cultura di un Paese moderno, ma anche l’economia italiana nell’economia di un Paese moderno. E, infine, perché è stato un fiero avversario del fascismo, pagando un conto salatissimo alla sua coerenza e alla sua dignità.
Chi lo volesse conoscere più da vicino e in maniera più approfondita in ciascuno di questi aspetti, può consultare il libro Vito Volterra, pubblicato qualche anno fa da Angelo Guerraggio e Gianni Paoloni. L’unica biografia ricca e completa sul grande matematico italiano che sia stata scritta da storici italiani. Noi ci limiteremo a delineare la sua strategia di «politico della ricerca». Perché estremamente moderna allora. E, ahinoi, di estrema attualità anche oggi. Ma per farlo abbiamo bisogno di indicare le principali coordinate della sua ricca e intensa vita.
Vito Volterra nasce ad Ancona, il 3 maggio 1860. I suoi genitori sono ebrei e vivono nell’antico ghetto, edificato nel XVI secolo, del capoluogo marchigiano. Il padre, Abramo, muore che Vito ha appena due anni. Si assume la cure della famiglia orfana Alfonso Almagià, lo zio di Vito fratello della madre, Angelica. Il ragazzo è bravo e lo zio premuroso. In breve: nel 1878, a 18 anni e con il diploma in tasca, Vito si iscrive all’Università di Pisa. L’anno seguente entra alla Scuola Normale, dove ha come docenti due grandi matematici, Enrico Betti e Ulisse Dini. Vito, come farà per la sua intera vita scientifica, ha interessi che spaziano dal campo matematico più stretto, l’analisi, alla fisica-matematica. E, infatti, nel 1882, a soli 22 anni, si laurea proprio in fisica, discutendo una tesi di idrodinamica. L’anno dopo lo troviamo che già insegna, all’università di Pisa, meccanica razionale.
Come matematico puro studia le equazioni differenziali e quelle integrali, di cui sviluppa la teoria. Gli storici dicono che le sue ricerche sulle «funzioni di linea», le funzioni le cui variabili sono altre funzioni, sono di notevole importanza perché consentono i confini di quella che il francese Jacques Hadamard battezzerà «analisi funzionale». Come fisico matematico Volterra ottiene risultati non meno importanti, nel campo della teoria della luce che attraversa i mezzi birifrangenti e nella teoria delle distorsioni elastiche.
Nel 1892 muore Enrico Betti e Volterra è chiamato a sostituirlo sulla cattedra di meccanica dell’università di Torino. Cinque anni dopo, nel 1897, contribuisce a fondare la Società italiana di fisica (Sif), di cui diventerà presidente. Nell’anno 1900 si trasferisce a Roma, professore di fisica matematica alla Sapienza. Ormai è uno degli scienziati italiani più noti, anche all’estero. Non a caso è lui che i colleghi europei eleggono a Presidente del Consiglio internazionale delle ricerche. Osservatorio oltremodo privilegiato. Perché è da lì che Volterra ha modo di verificare come la scienza non abbia solo un valore culturale in sé; ma sia sempre più un mezzo con cui le nazioni europee più avanzate producono la propria ricchezza.
Nel 1905 è nominato Senatore del Regno e subito dopo ecco la sua prima grande intuizione come «politico della ricerca»: prendendo esempio da analoghe istituzioni presenti da tempo in Europa fonda, infatti, la Società italiana per l’avanzamento delle scienze (Sips), di cui diventa presidente. Volterra vuole la Sips non abbia un carattere accademico ma « che questa società abbia una larga base, che possa stendere le sue radici liberamente in tutto il paese e abbracciare tutti coloro che volenterosi amano la scienza; sia quelli che hanno direttamente portato ad essa un contributo, sia quelli che desiderano solamente impadronirsi di quanto altri hanno scoperto». Lo scopo è chiaro: vuole che la scienza esca dalle università e che la cultura scientifica si diffonda nel Paese. In un Paese, che, spiega: «non apprezza ancora nel suo giusto valore l’importanza della ricerca scientifica né quale forza rappresenti per la prosperità civile ed economica di una nazione».
Vito Volterra sostiene che la scienza ha un valore strategico per il Paese, sia perché ha un valore culturale intrinseco, come spiega in polemica a don Benedetto Croce che lo nega. Sia perché è la leva principale per assicurare «al prosperità civile ed economica di una nazione». La società accademiche, come la Sif, servono per irrobustire dall’interno la comunità scientifica italiana. Ma le società non accademiche, come la Sifs, servono per stabilire i contatti tra la scienza e la società italiana, compresa la sua componente politica. Un dialogo decisivo non solo e non tanto per la comunità scientifica, ma anche e soprattutto per il Paese.
Volterra è un sincero patriota. Cui non difetta il coraggio. Ed è per questo che il Senatore decide di partecipare nella maniera più diretta possibile alla Prima guerra mondiale: arruolandosi, a 55 anni, nel Corpo Militare degli Ingegneri. Malgrado i suoi numerosi impegni pubblici e, persino, militari Volterra non cessa di essere un matematico creativo. Non è certo un caso che proprio in questi anni ottenga uno dei suoi risultati scientifici più noti anche la grande pubblico: l’equazione che spiega il rapporto tra prede e predatori nella dinamica delle popolazioni. L’equazione – passata alla storia come equazione Lotka-Volterra – è la prima applicata in ecologia e inaugura un nuovo campo di studi: l’ecologia matematica.
INCARICO ANCHE A PARIGI
Quando finisce la guerra, Volterra riprende a tessere la sua tela di «politico della ricerca». Se il Paese vuole agganciare il treno dei più ricchi ed evoluti, deve dotarsi delle necessarie strutture. In particolare lo stato deve creare un luogo dove una massa critica di ricercatori possa portare avanti i suoi studi, nell’ambito delle scienze fondamentali e soprattutto applicate, senza distrazioni. Neppure quelle didattiche che sottraggono tempo ai docenti universitari. E così inizia a proporre ai colleghi scienziati e ai colleghi politici la creazione di un Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Non è impresa facile. Ma neppure la determinazione del matematico senatore è cosa banale. Nel 1923 il Consiglio Nazionale delle Ricerche vede finalmente la luce. E lui, Vito Volterra ne è il presidente. Intanto, dal 1921, è presidente anche del Bureau International des Poids et Mesures, l’ufficio internazionale dei pesi e delle misure che ha sede a Parigi. Conserverà questa carica fino alla morte. Nel 1923 diventa presidente anche dell’Accademia dei Lincei.
Non c’è dubbio che Volterra gestisca molto potere, in Italia e all’estero. Ma non c’è dubbio neppure che per il matematico marchigiano il potere è un mezzo, non un fine. Pronto a metterlo in discussione, se sul piatto della bilancia c’è un ideale. Lo ha dimostrato in passato. Lo dimostra quando Mussolini diventa Presidente del Consiglio e inizia a costruire il regime. Vito Volterra non ha dubbi. La sua opposizione al fascismo è immediata e senza tentennamenti. Pronto a pagarne tutte le conseguenze. Nel 1925 non esita a firmare il manifesto intellettuali antifascisti redatto dal suo amico/avversario, don Benedetto: noto come «Manifesto Croce». Mussolini, purtroppo, non è meno determinato. E l’anno dopo, nel 1926, il Duce lo caccia dal Cnr, chiamando a sostituirlo, nel tentativo di salvare la faccia davanti al mondo, il celeberrimo Guglielmo Marconi.
Nel 1930 i fascisti chiudono il Parlamento. Non è più senatore. Nel 1931, come abbiamo detto, Vito Volterra rifiuta di giurare fedeltà al regime: non è più professore. Nel 1934 i fascisti lo cacciano da ogni residua posizione: non è più accademico dei Lincei. Vito Volterra muore l’11 ottobre 1940. Da pochi mesi l’Italia è entrata in guerra. Da molti anni ha perso il treno su cui aveva cercato di farla salire un testardo matematico marchigiano.

da www.unita.it