attualità, politica italiana

"Per l'Europa o contro la scelta è questa", di Eugenio Scalfari

Mario Monti è molto soddisfatto delle decisioni prese da Mario Draghi: le Borse europee sono state in netto rialzo dopo quelle decisioni, lo “spread” è in netto ribasso, la speculazione si è “accucciata”. Ad un giornalista tedesco che gli domandava se l’euro avesse ancora un futuro il presidente della Bce ha risposto: «L’euro è irrinunciabile». È vero, il piano d’azione deciso dall’Eurotower rappresenta una svolta epocale di questa crisi ed anche un rafforzamento significativo della Banca centrale, della sua indipendenza e dei suoi poteri. Ma, per quanto ci riguarda, è necessario un altro passo avanti del governo, del Parlamento e dei partiti: bisogna europeizzare l’Italia affinché l’Italia contribuisca efficacemente ad europeizzare l’Europa. L’ha detto con estrema chiarezza Giorgio Napolitano nel suo recente discorso di Venezia: l’Italia deve puntare sulla nascita d’uno Stato federale europeo e non può farlo se non europeizzando i propri comportamenti.
Monti ha già iniziato questo percorso ma ora si trova anche lui di fronte ad una svolta difficile: deve accettare le nuove “condizionalità”, cioè ulteriori “compiti da fare a casa” ottenendo l’okay del fondo “salva Stati”, senza il quale Draghi non renderà operativo il suo intervento per quando riguarda il nostro Paese.
Le Borse, l’abbiamo già detto, hanno festeggiato e lo “spread” è calato di cento punti in pochissimi giorni, la speculazione è stata bloccata, ma questi positivi risultati non dureranno a lungo se l’intervento della Bce non diventerà operativo. Tanto più se la Spagna, come è assai probabile, accetterà di chiedere l’okay del fondo “salva Stati”. Se noi restassimo fermi nella nostra posizione di non chiedere quel-l’aiuto, la speculazione probabilmente lascerebbe in pace la Spagna e piomberebbe addosso a noi con rinnovato vigore.
Questo è dunque il passaggio che il nostro governo dovrebbe compiere e la maggioranza parlamentare che lo sostiene dovrebbe votare.
Per evitarlo senza conseguenze negative Monti ha in mente di creare un organo di controllo indipendente “in ambito parlamentare” che esamini quotidianamente tutti i provvedimenti in corso e dia il suo parere vincolante. In realtà questo organo esiste già in ambito parlamentare ed è il comitato di bilancio del quale è necessario il bollino di copertura prima che le commissioni competenti procedano sul merito. Fuori dall’ambito parlamentare ma nell’architettura costituzionale c’è poi la Corte dei conti. Non si vede dunque la novità della proposta allo studio.

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In che cosa consiste il piano d’intervento della Bce è noto: acquisterà sul mercato secondario titoli pubblici con scadenze fino a tre anni, anche residuali rispetto alle date di emissione; la quantità degli acquisti sarà illimitata; la Bce non sarà un creditore privilegiato; nel frattempo il fondo “salva Stati” interverrà se necessario alle aste indette dal Tesoro italiano.
L’obiettivo è quello di far diminuire i tassi di interesse dei Paesi “aiutati” con l’obiettivo di armonizzare i tassi in tutta l’eurozona. Ma per ottenere questi risultati estremamente significativi i paesi interessati – e cioè Italia e Spagna – dovranno accettare ulteriori condizioni il cui adempimento sarà controllato dalla “troika” composta da Bce, Fondo monetario internazionale e Commissione di Bruxelles. Controlli trimestrali e risultati certificati dall’Eurostat.
Non è un commissariamento tipo Grecia, specialmente per quanto riguarda l’Italia che la maggior parte dei suoi “compiti a casa” li ha già fatti, ma certo è l’assunzione di ulteriori responsabilità. Mario Draghi ha fabbricato il “bazooka” per bloccare la speculazione e Mario Monti dovrà metterselo sulla spalla e farlo funzionare.
Non c’è molto tempo. Prima avverrà e meglio sarà per noi e per l’euro, cioè per l’Europa.

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Non è detto che le “nuove condizioni” chieste dalla “troika” si concentrino su nuovi sacrifici, nuova fiscalità, nuovi tagli alla politica sociale. Da questo punto di vista infatti il governo Monti ha già fatto molto, a cominciare dalla riforma delle pensioni, da quella del lavoro, dalla lotta all’evasione, dalla riforma della sanità e da un inizio di riqualificazione della spesa. Il risultato è l’avanzo della spesa corrente che sfiora ormai il 4 per cento.
Se l’intervento della Bce farà diminuire il tasso di interesse, ogni punto in meno di quel tasso significherà una diminuzione di 16 miliardi annui nell’onere del Tesoro per il debito pubblico.
Con ogni probabilità le “nuove condizioni” riguardano dunque l’incremento della produttività, lo snellimento della pubblica amministrazione, una “spending review” più incisiva, una tassazione sulle rendite per eliminarle. Infine l’esecuzione rapida dei provvedimenti già approvati.
Le “nuove condizioni” hanno dunque un obiettivo che unisce il mantenimento del rigore e i presupposti della crescita. Se il nostro governo, dopo opportuni negoziati, arriverà all’accordo, entreremo in una fase nuova dove anche le istanze sociali potranno trovare più ampio accoglimento.
Ma le “nuove condizioni” hanno anche e inevitabilmente un risvolto politico: esse impegnano il nostro Paese fino a quando la crisi non sarà superata. Detto in modo ancora più chiaro, significa che il nuovo governo che si insedierà dopo le elezioni del 2013 avrà, per quanto riguarda l’economia nel suo complesso, la strada già tracciata. Alla pietanza in corso di cottura potrà aggiungere una manciata di basilico o di prezzemolo o di menta ma non molto di più.
Il rilancio contro la recessione vero e proprio sarà l’Europa tutta insieme a doverlo sostenere e un’Italia in regola potrà dare un contributo di grande importanza. Quando il nostro Presidente della Repubblica parla di europeizzare l’Italia ed europeizzare l’Europa è proprio questo che pensa e che esorta a fare. Ben per noi se seguiranno la sua esortazione.

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Alcune forme d’opposizione hanno preso iniziative che si definiscono
da sole. Roberto Maroni ha lanciato un referendum leghista che riserva l’uso dell’euro alle sole regioni virtuose (ovviamente del Nord). Le altre tornino alla liretta d’un tempo.
Antonio Di Pietro invece ha avuto un’altra pensata: raccogliere le firme e indire un referendum per l’abolizione dell’articolo 18 del codice del lavoro. Vendola si è associato. Acqua fresca per racimolare qualche voto vagante ma incitare le piccole imprese a scomparire nel sommerso.
Immaginiamo per amore d’ipotesi che i voti populisti di questo tipo si raccolgano insieme e mettano in imbarazzo la maggioranza parlamentare futura o addirittura la scavalchino come reagirebbero i mercati? E immaginiamo che quel bel ragazzo di Matteo Renzi, abilissimo nell’arrampicarsi sulla pertica dell’“outsider”, sia lui a guidare un moncone dell’ex Pd insieme ad un moncone del Pdl e spetti a lui di rappresentarci in Europa. Il presidente della Bundesbank un’ipotesi del genere per buttare l’Italia fuori dall’euro se la sogna la notte.

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Angela Merkel sta attraversando un passaggio molto stretto. I falchi della Bundesbank non si limitano a manifestare il loro dissenso dalla politica di Draghi votandogli contro nel Consiglio direttivo della Bce, ma lo attaccano ripetutamente e radicalmente sui giornali di mezzo mondo in compagnia dei liberali e della Csu bavarese e perfino di alcuni “colonnelli” del partito della Cancelliera. Gran parte dell’opinione pubblica tedesca è con loro, non vuole che la Germania ceda sovranità all’Europa spendacciona. Rifiuta l’Europa ed auspica che la Corte costituzionale di cui si attende il verdetto il 12 prossimo, dichiari incostituzionali i fondi “salva Stati”.
Che cosa farà la Cancelliera nei prossimi giorni per bloccare quest’offensiva? Tra le varie ipotesi c’è quella che attribuisce alla Merkel l’intenzione di pretendere per il suo governo la supervisione sulle “nuove condizioni” da imporre ai Paesi che chiedano l’auto del “salva Stati”, ma si tratta di un’ipotesi priva di senso: le “nuove condizioni” – se la Spagna e anche l’Italia decideranno di chiederle – prevedono il controllo della “troika” (Bce, Commissione Ue, Fmi). La Germania è ampiamente rappresentata in tutte e tre le istituzioni; inoltre la Bce è indipendente dai governi, sicché quest’ipotesi non sta in piedi.
In realtà la Merkel ha un’altra strada da seguire, che ha già imboccato da alcuni mesi senza però farne il centro della sua politica. Adesso è venuto il momento di porre come obiettivo primario la fondazione dello Stato federale europeo del quale la Germania non può che essere il perno di sostegno.
Ciò significa dare la priorità – almeno per quanto riguarda la politica economica e sociale – all’Europa rispetto agli Stati nazionali. Se sceglierà questa la strada, la prossima campagna elettorale tedesca si svolgerà all’insegna d’una scelta tra Europa e Germania.
Stando agli attuali sondaggi non c’è dubbio che l’opinione pubblica tedesca sceglierebbe la “nazionalità” e rifiuterebbe l’europeizzazione, ma un risultato del genere farebbe saltare l’intera costruzione europea a cominciare
dalla moneta comune. Questa è una responsabilità che per ragioni se non altro storiche la Germania non può assumersi.
Infine: le previsioni dell’Ocse dicono che nei prossimi due trimestri il Pil tedesco sarà negativo, rispettivamente dello 0,2 e dello 0,8 per cento. Recessione dunque anche in quel paese fin qui considerato il motore del continente. Se la previsione sarà confermata la Germania avrà un disperato bisogno d’una politica di rilancio della domanda e degli investimenti, che è l’esatto contrario di quanto predicano gli avversari di Draghi L’europeizzazione degli Stati nazionali è la sola strada pensabile e questa è la sfida che tutti ci coinvolge, Germania in testa. La Cancelliera ha la capacità politica di percorrerla ponendola fin d’ora al primo posto nell’ordine del giorno dell’Europa.
L’Italia non può che essere parte attiva di questa partita. Monti ha sempre sostenuto questo obiettivo, Napolitano altrettanto e non a caso l’ha richiamato nel suo discorso di Venezia e lo richiamerà ancora proprio oggi a Cernobbio. Noi abbiamo una campagna elettorale ormai imminente. Se le forze politiche la smetteranno di “pettinare le bambole” (come ha scritto Alfredo Reichlin sull’“Unità” di ieri) e capiranno che anche per noi è venuto il momento di porre la costruzione dell’Europa al centro della politica italiana, si sarà compiuto un passo avanti fondamentale. Oppure, nel caso contrario, un passo indietro drammatico perché il baratro in cui non siamo caduti è ancora lì, aperto e a poca distanza.

La Repubblica 09.09.12

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“Napolitano: vigileremo sugli impegni dell’Italia Monti: adesso difendere l’Ue”, di UMBERTO ROSSO

Si fa “garante” dell’agenda Monti, della continuità delle scelte del governo per tenere fede agli impegni contratti con l’Europa. Giorgio Napolitano lo considera «un mio dovere, fino al termine del mandato presidenziale ». Molto è stato fatto dal premier ma «non illudiamoci, tanto resta da fare». Da qui alle elezioni, «da tenere entro e non oltre l’aprile del 2013», dunque, il presidente della Repubblica avrà un target preciso: vigilare perché «venga esplicitamente e largamente condiviso l’impegno a dar seguito e sviluppo a scelte di fondo concordate in sede europea». E a rafforzare l’asse fra Colle e Palazzo
Chigi, ecco che Monti a Cernobbio riprende proprio un allarme lanciato da Napolitano due giorni fa: il rischio populismo in Europa. Il presidente del Consiglio ha proposto perciò, incontrando Van Rompuy, un vertice straordinario dei paesi della Ue a Roma, in Campidoglio, luogo altamente simbolico, dove si firmarono i trattati del 1956. «Triste e pericoloso è un fenomeno di disgregazione che si manifesta in tutti gli Stati membri — ha denunciato il premier — e dobbiamo reagire». Dal presidente del Consiglio europeo ha incassato subito l’ok.
Napolitano, nel suo videomessaggio al Forum Ambrosetti, si è rivolto a tutti gli schieramenti politici che si preparano alla battaglia delle urne chiedendo che, almeno sul terreno degli impegni da rispettare con la Ue, riconoscano «un impegno convergente ». Ma la linea indicata dal capo dello Stato, evidentemente, si proietta anche sul dopo, sul governo che verrà, che potrebbe essere lo stesso Napolitano in caso di elezioni anticipate di pochi mesi a tenere a battesimo. Il capo dello Stato solleva il velo sulle preoccupazioni e i timori che girano in Europa sul post-Monti. Un interrogativo, ammette, che «comprendiamo bene» e che riguarda «gli scenari politici e le soluzioni di governo che potranno scaturire dal risultato delle prossime elezioni parlamentari».
Pone il tema ma, ovviamente, non può indicare soluzioni. La platea di Cernobbio interpreta le parole del capo dello Stato come una volata ad un super Mario bis (chi meglio di Monti potrebbe portare avanti l’agenda Monti?) però il messaggio del capo dello Stato non entra (e non potrebbe) nel merito di tempi e formule per Palazzo Chigi. Anche per la semplice ragione che non è chiaro ancora con quale sistema elettorale andremo a votare. Così, in cima ad una auspicata «costruttiva conclusione della legislatura», Napolitano torna a mettere la riforma elettorale, per creare finalmente «condizioni favorevoli a una migliore rappresentatività e governabilità del sistema politico-istituzionale». Via il Porcellum, torna a sollecitare di fronte allo stallo delle trattative. E siccome non solo in Italia ma in tutta Europa le elezioni presentano «incognite ed esiti incerti», con riferimento implicito alle ventate di antipolitica e di rifiuto dei partiti, Napolitano lancia un appello ad avere «fiducia nel metodo democratico». Come? Contando sulla «maturità delle nostre opinioni pubbliche», e con un sereno svolgimento delle competizioni elettorali garantendo «l’affidabilità di ciascun nostro paese negli anni successivi ». E certo non farebbe male, ammonisce, un po’ di «self restraint » (di autocontrollo) di quanti in Europa con dichiarazioni in libertà generano «confusione e incertezza sui mercati».

La Repubblica 09.09.12