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""Rose e libri" per rinnovare la scuola", di Alessandro D'Avenia

La verità bisogna chiederla ai poeti, e questo verso potremmo impararlo a memoria, noi che lavoriamo nella Scuola. Ma, si sa, i poeti dicono verità troppo semplici perché qualcuno le ascolti. Inizia un nuovo anno di scuola, con ouverture tragicomica tra concorsi annullati per buste trasparenti, esami di Tfa degni delle serate Trivial e concorsoni per il reclutamento basati su un criterio rivelatosi insufficiente già da anni. Pazienza. Tutto ciò non ci esime dal lavoro quotidiano, che questa settimana ricomincia.
A tal proposito consiglio la (ri)lettura di un libro del 1932: Il mondo nuovo di A. Huxley. Se non avete tempo basta il primo capitolo, nel quale è descritto il modo in cui i bambini vengono educati nel nuovo sistema di controllo che garantisce l’equilibrio – basato sui consumi – del Nuovo Mondo. I bambini, che non nascono più nelle famiglie ma nelle provette con una selezione adeguata, sono educati in gruppo e obbligati ad odiare due cose che minano il consumo continuo di beni.
Introdotti in stanze piene di rose e libri colorati, non appena cominciano a sfogliare pagine e petali, attivano assordanti allarmi dal soffitto e dolorose scariche elettriche dal pavimento. Urlano impazziti, allontanandosi da rose e libri, apparente causa del dolore. Tutto ciò è ripetuto più volte. Una volta cresciuti, in modo puramente istintivo si terranno alla larga dalla natura e dai libri. Cioè dalla realtà, perché – spiega il direttore del Centro di Incubazione e Condizionamento – stare nella natura o leggere libri è un’abitudine che non genera consumi.
La scena – tragicamente reale oggi – mi ha fatto pensare per contrasto alla scuola come «resistenza» atta a restituire «rose e libri» agli 8 milioni di ragazzi che in questi giorni rientrano a scuola in Italia, spezzando il meccanismo pavloviano indotto dalla società dei consumi, che spinge a non tenere in considerazione la realtà e il suo senso, proprio perché alla realtà e al suo senso i ragazzi spesso associano allarmi e scosse elettriche: noia, delusione, paura, obblighi insensati e mancanza di risposte.
Settecentocinquantamila docenti possono restituire loro «rose e libri». Ma perché a volte quella reazione di fuga da libri e rose è provocata proprio dalla scuola?
I libri più odiati dagli Italiani? Quelli che si studiano a scuola: in vetta la Divina Commedia. Però se Benigni la racconta, tutti se ne innamorano. Come mai?
Credo che ciò valga anche per le materie scientifiche. A quante banalità si sottrarrebbero i nostri ragazzi se imparassero ad amare il mistero e lo stupore del mondo che la scienza prova a scandagliare con rigore e raziocinio. Una mia collega di scienze è diventata professoressa perché il suo professore durante l’ora di scienze poneva solo «perché» da risolvere: le spiegazioni nascevano dalla comune ricerca della risposta. L’entusiasmo era tale che ricorda a memoria quei quesiti: Perché se metto una ciliegia in un bicchiere di acqua calda l’acqua si colora di rosso?».
«Rose e libri». Non meramente come campo di prova per compiti, interrogazioni e programmi da svolgere, ma come sguardo contemplativo e non consumistico sul mondo (frui o uti: fruire o utilizzare? Si chiedeva Agostino). Solo chi entra in contatto vero con la realtà può entrare in contatto con se stesso e conoscere quindi sé e il mondo.
Perché le famiglie non pretendono più dalla scuola quello che per vocazione è chiamata a dare ai loro figli: non bei voti e promozioni facili, ma capacità di porre domande e trovare un senso alle cose che li circondano, attraverso i cinque sensi, stimolati dalla gioia di scoprire, spesso atrofizzata nei maestri che ripetono da anni le stesse lezioni. Inevitabile gettarsi sugli oggetti da consumare.
Socrate inaugurò lo stile occidentale del sapere e della scuola, e lo fecero fuori non solo allora. Alcibiade gli chiede: «Conoscere se stessi, molte volte, Socrate, mi è sembrata una cosa alla portata di tutti, molte volte, invece, assai difficile».
Socrate, in dialogo con i suoi allievi – il dialogo è infatti per lui il logos (parola, discorso, ragione) che passa attraverso (dia-) le persone alla ricerca della verità – risponde:
«Tuttavia, Alcibiade, che sia facile oppure no, per noi la questione si pone così: conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere».
Abbiamo rinunciato alla conoscenza come modo di prendersi cura di noi stessi. Pensiamo lo possano fare chirurgia e tecnologia: cioè i consumi di cui Huxley aveva previsto la dolce tirannide.
Ma ritorniamo al grido del poeta: come abbiamo osato anteporre qualcosa all’uomo? Ai ragazzi? Abbiamo messo al primo posto programmi e strutture e i risultati li abbiamo sotto gli occhi.
Propongo una piccola riforma a costo quasi zero. Perché quest’anno ogni insegnante non «cura» cinque alunni della propria classe in modo particolare? Come? Dialoga con loro una volta ogni tre mesi a tu per tu (sono solo tre colloqui da 15-20 minuti in un anno: primo, quarto, settimo mese, un’ora e mezzo ogni tre mesi, 5 ore in un anno) per conoscerne progetti, passioni, difficoltà, punti forti e punti deboli. Raccoglie i dati e dopo essersi confrontato con gli altri colleghi della classe (che hanno a cura gli altri gruppetti da cinque) durante consigli di classe non più burocratici, socraticamente prova a mettere in atto strategie educative perché i talenti di quei cinque ragazzi fioriscano.
Credo che questo sguardo ridarebbe dignità allo scopo della scuola. Una scuola come la nostra che ha programmi che il resto del mondo si sogna. Programmi però spesso asetticamente anteposti alle vite degli studenti, e non spazio condiviso di dialogo e ricerca della verità.
O torniamo a prenderci cura delle persone o continueremo a cercare salvezza in riforme di superficie, necessarie sì, ma molto meno di «rose e libri».
«Rose e Libri»: così vorrei chiamare una rete di rinnovamento della scuola, composta da genitori, studenti e professori. Chi mi dà una mano?
La Stampa 10.09.12