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"O si cambia o si muore", di Claudio Sardo

E’ una vittoria storica per la sinistra siciliana. Un successo mai neppure sfiorato dal Pd o dall’Ulivo negli anni di Berlusconi. Eppure non c’è da esultare. Più della metà degli elettori ha disertato le urne. Quello di Grillo è diventato il primo partito. L’esplosione del centrodestra non ha portato consensi al centrosinistra. La crisi politica unita a quella sociale spinge al ribellismo anziché alla ricostruzione. Lo scenario è pieno di macerie. E Rosario Crocetta, segno di rottura e di legalità, non dispone di una maggioranza precostituita che gli assicuri una navigazione sicura. Sarà un’impresa difficile. L’allarme è già suonato. La sfiducia verso i partiti rischia di diventare sfiducia nella democrazia. È suonato l’allarme anche per il Pd, il solo «partito» rimasto in campo. Non c’è più tempo. Il cambiamento va messo in campo ora. Non ci sono tatticismi che tengano. Vale per Crocetta, che deve costruire il suo governo con coraggio, sfidando l’Assemblea regionale. Vale per Bersani, che deve prendere il testimone di Monti dimostrando che i tecnici non sono stati una parentesi, ma neppure sono una condanna.
In Sicilia ha vinto un’alleanza di progressisti e moderati. È l’orizzonte di una riscossa civica, costituzionale, sociale. Ma serve ancora apertura, umiltà, rinnovamento. Guai a chiudere le porte. Bisogna includere per dare speranza, per progettare sviluppo. Chi a sinistra pensava di trarre una rendita di posizione dalla protesta è stato sconfitto. Il ribellismo è carburante solo per Grillo. Chi non si mette in gioco e non è disposto a rischiare, ha già perso.
L’Unità 30.10.12
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Rosario, la sinistra al governo «Questo voto cambia tutto»
Il viso e il corpo di un intellettuale di altri tempi, quando le radici di chi studia, con sacrificio della famiglia, affondavano in un mondo contadino. Il viso che impallidisce nell’assalto delle telecamere e rivela lo stress e la stanchezza più delle parole, che invece fanno un affresco in grande della vittoria ostinatamente perseguita e ottenuta: «Cambia la storia della Sicilia, è rivoluzione, con questo voto la Sicilia entra in Europa. Per la prima volta un presidente della Regione Sicilia di sinistra e dichiaratamente antimafia». Un successo che sconta una astensione sopra il 50% e un voto di protesta che fa del Movimento 5 stelle il primo partito (la prima forza politica, secondo il vocabolario politicamente corretto dettato da Beppe Grillo), nato dallo sgretolamento del Pdl, ottenuto nonostante la divisione a sinistra, nonostante le fragilità del Partito democratico che cerca di risalire la china dopo i contrasti delle elezioni palermitane.
Nella selva delle telecamere, mentre su via della Libertà, i supporter applaudono e scandiscono: «Rosario, Rosario», «Crocetta, Crocetta» «Presidente, presidente», emergono a malapena i suoi capelli scuri. Lui si arrabbia quando i cronisti scrivono «stranamente scuri», perché lui, che ha 61 anni, i capelli non li ha mai tinti, li ha ereditati da sua madre che faceva la sarta, cuciva i vestiti dei figli con i resti delle pezze di stoffa, e i capelli li aveva scuri anche a 90 anni.
Cattolico, profondamente credente, comunista e gay, «ha servito messa fino a 20 anni», racconta di lui Totò Cardinale che, ai tempi della Dc, era suo avversario. È stato un militante del Pci come suo fratello Salvatore, che era deputato. È stato assessore alla cultura con il sindaco Gallo, del Pci. Eletto sindaco di Gela nel 2001 con Rifondazione, al primo mandato entrò in carica dopo aver fatto ricorso, al secondo prese il 65 per cento dei voti e, in quel trionfo, pesava l’impegno antiracket che gli ha fruttato il sostegno della Confindustria Sicilia del “no” al pizzo: Ivan Lo Bello, Antonello Montante, Emma Marcegaglia, ma anche di funzionari dello Stato come l’allora vicequestore di Gela Malafarina, che ora sarà al governo della Regione con lui «per continuare, in altro modo, la battaglia». Dichiarò la sua omosessualità allora, appena eletto sindaco, ma, racconta ancora l’onorevole Cardinale, «se non l’avesse dichiarata lui, nesuno avrebbe saputo nulla, è stato sempre una persona riservatissima». Forse proprio l’esperienza di sindaco gli fa rispondere, ai cronisti che chiedono dove troverà la maggioranza per governare, che la «troverò sui contenuti e, se non la troverò, torneremo a votare e prenderò il 60 per cento». Respinge l’acronimo coniato in campagna elettorale, il croc ché, dalla combinazione del suo nome con quello del leader di Grande Sud Gianfranco Micciché: «Niente inciuci lombardini, miccichini, musumecini. Si troveranno nell’Assemblea regionale tre o quattro persone disposte a lavorare per il bene comune della Sicilia e non per calcoli personali».
Ha fatto tanta politica ma non è un politico di professione, entrò all’Eni come operaio, non era riuscito a laurearsi per difficoltà economiche ma è diventato un ottimo tecnico informatico, ha lavorato nel Golfo Persico, ha imparato l’arabo, il francese e l’inglese, «è un uomo colto, un leader del noi e non dell’ io», dice di lui il suo amico e sostenitore Beppe Lumia. «Determinato, le decisioni più difficili, più scabrose, le prende da solo senza consultarsi con chi gli sta vicino», racconta Mariella Maggio, segretaria della camera del lavoro di Palermo e ora eletta nel listino del presidente. Una dote, quella di saper decidere in solitudine, che gli servirà molto, perché entra a palazzo d’Orleans circondato dalle macerie del sistema politico e del fallimento economico: «Non dovrà guardare in faccia a nessuno, perché la crisi siciliana è altrettanto grave di quella nazionale». Crocetta annuncia per il suo primo giorno di lavoro che «mi guadagnerò lo stipendio tagliando consulenze inutili e pagate in modo spropositato». La sua elezione – dice guardando al voto di protesta per il M5S – «è il miracolo di avere unito partiti e antipolitica». Quel voto, e soprattutto il minisondaggio palermitano che dava i grillini al 27 per cento, hanno agitato i sonni dell’ ultima notte, prima dell’apertura delle urne. Davide Zoggia, inviato di Bersani a sostenere la campagna elettorale, è finalmente sorridente: «Il risultato del Pd è buono, questo voto avrà una ricaduta nazionale». Crocetta , ecumenico, non chiude nemmeno verso quelli che dovevano essere gli alleati naturali, Sel e Idv, che hanno fatto la scelta di andare in solitaria e che non entrano a palazzo dei Normanni: «Mai immaginato l’alleanza con l’Udc contro di loro».
La foto prima foto ricordo, in una saletta riservata del comitato elettorale, mentre le tv lo aspettano in sala stampa per le dirette, è con Gianpiero D’Alia e Beppe Lumia, quelli che per primi hanno creduto nella sua candidatura. Arriva Giuseppe Lupo, segretario regionale del Pd, è la seconda foto, come i quattro moschettieri. Il senatore D’Alia, coordinatore regionale dell’Udc: «Abbiamo consapevolmente scelto un candidato che fa bene all’immagine dei siciliani e gli elettori hanno capito».È stato D’Alia, nell’agosto di quest’anno, quando ancora c’era la foto di Vasto, a fare il passo indietro, che ha sbloccato l’impasse della candidatura. «Ora – dice D’Alia – sull’astensionismo dovranno riflettere tutti, vincitori e vinti. Bisogna cambiare rapidamente. Tagliare i costi della politica, perché il risanamento in sintonia con il governo Monti si deve fare salvaguardando le fasce deboli».
La terza foto è con la figurina esile di Lucia Borsellino, il volto molto somigliante a quello del padre, che sarà assessore alla sanità, materia che conosce benissimo, da integerrima dirigente della Regione.
L’Unità 30.10.12