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"Parlare delle differenze per fare della scuola un ambiente migliore", di Delia Vaccarello

Tre su quattro hanno subito una discriminazione in quanto gay o lesbiche. Uno su due a scuoala. Gli studenti sanno del rischio che corrono i compagni omosessuali, eppure fanno fatica ad empatizzare con loro, condividendo molti stereotipi radicati nell’opinione comune. A fotografare i danni procurati dal pregiudizio sono i risultati del progetto Niso cofinanziato dalla Commissione Europea all’interno del «Programma Fundamental Rights and Citizenship» e coordinato dalla Provincia di Roma. Tramite un questionario somministrato a 391 persone della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bi- sex, trans) e 741 studenti la ricerca ha saggiato la portata delle discriminazioni e il peso degli stereotipi. Non solo, ha messo a confronto le testimonianze delle vittime con la percezione che gli studenti hanno delle aggressioni. Così emerge che le discriminazioni scelgono il bersaglio a seconda dei luoghi: i maschi gay vengono presi più di mira a scuola (43 per cento), le lesbiche in famiglia (37 per cento). E i loro compagni non ne sono ignari. Il gruppo degli studenti mostra di sapere che per gli omosessuali la scuola e i luoghi «per tutti» possono trasformarsi in un inferno. Oltre la metà degli studenti intervistati (55 per cento) pensa che le persone gay e lesbiche in Italia vengano molto discriminate. I luoghi a rischio sono il quartiere (per il 65 per cento degli studenti), la scuola (59 per cento) nonché le attività dopo-scuola e il loro gruppo di amici (58 per cento). Al contrario, i contesti considerati come maggiormente friendly sono Internet (44 per cento degli studenti), la casa (37 per cento) e i bar o i locali in cui abitualmente si ritrovano (26 per cento).
Gli studenti mostrano dunque di percepire che lì dove gli etero sono maggioranza, le minoranze omosessuali non hanno vita facile. Si tratta di una nuova coscienza su cui si può lavorare per ridurre il peso delle discriminazioni: il bullo che vessa un compagno perché gay ritiene di avere dalla sua parte la maggioranza, che però, stando alle sensibilità degli studenti, è meno compatta di quanto si creda.
Al contrario sul fronte degli stereotipi gli studenti mostrano ingenuità e pregiudizi. Pensano che i maschi gay siano molto differenti dagli altri, soprattutto perché «effeminati» e comunque molto interessati all’apparenza (modo di vestire, atteggiamenti, ecc). Una idea «difensiva» che colloca l’omosessualità più temuta dai maschi in qualcosa di radicalmente altro da cui è possibile prendere le distanze.
Le persone lgbt, che soffrono dell’essere ingabbiati in una immagine fissa, «denunciano» oltre la presunta effeminatezza altri stereotipi che inchiodano i gay: promiscuità, passività, malattia. Attenzione solo all’esteriorità anche per le lesbiche definite dagli studenti mascoline soprattutto per il modo di vestire. Laddove le persone lgbt lamentano che lo stereotipo dipinge la donna lesbica come «violenta, aggressiva, e con problemi di relazione con gli uomini». Gli studenti sembrano guardare gay e lesbiche da fuori – sono «loro», non sono «noi» -, senza empatizzare con la fatica dei compagni omosessuali costretti a fronteggiare pregiudizi pesanti che riguardano non solo il look ma il modo di essere a livello profondo.
PREGIUDIZI RADICATI
Non mancano le differenze di genere: i maschi sembrano pronti ad assumere con meno distinguo i pregiudizi del pensiero tradizionale. Ancora, sul fronte delle definizioni resta uno zoccolo duro del 9 per cento che ritiene l’omosessualità una malattia, laddove per il 43 per cento è un orientamento sessuale naturale. Insomma, c’è ancora molto da fare, se ne parla oggi a Roma nel convegno «La scuola un posto migliore per tutti» in via dei Prefetti a partire dalle 10.30. L’obiettivo è creare un ambiente «dove anche i ragazzi e le ragazze omosessuali possano vivere e crescere con serenità», dichiara Marrazzo di Gay Center. La strategia quella di non limitarsi alla denuncia, come sottolinea Nicola Zingaretti, presidente della Provincia capofila del progetto: «Se io accettassi che un essere umano possa essere colpito, violentato insultato o per l’orientamento sessuale o per il colore delle pelle mi posso anche aspettare che un domani qualcuno, perché porto la camicia bianca, si senta in diritto di offendermi. Quindi le discriminazioni non vanno mai accettate perché quello, davvero, è l’inizio della fine. I reati vanno puniti ma la pubblica amministrazione non può limitarsi a chiedere le condanne, è troppo facile».
L’Unità 31.10.12