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"Non c'è mai stata nessuna riforma del mercato del lavoro", di Roberto Ciccarelli

Per Chiara Saraceno, sociologa del lavoro esperta di sistemi di welfare e politiche della famiglia, il record della disoccupazione giovanile al 35,1% dimostra che «non è vero che chi non prosegue gli studi ha maggiori chance di trovare un lavoro rispetto a chi sceglie di proseguire gli studi. Sia che vadano a lavorare subito, sia che restino all’università, entrando più tardi sul mercato con una qualifica più elevata, questi ragazzi affrontano lo stesso problema: in Italia la domanda di lavoro è scarsa».
Come giudica la riforma dell’apprendistato proposta dal ministro Fornero?
Direi che è benvenuta, anche perchè in Italia l’apprendistato non ha funzionato bene. Quello che non mi convince è che è stata proposta come la soluzione alla disoccupazione giovanile. In realtà, questa categoria comprende i giovani fino a 26 anni, cioè soggetti che non sono più quelli che rientrano nell’apprendistato. E poi, per parlare seriamente di apprendistato, sarebbero necessarie imprese che lo utilizzino, cosa che invece non accade perchè le imprese italiane preferiscono forme di precariato più leggere e meno responsabilizzanti. Ciò non toglie che l’apprendistato potrebbe essere una soluzione per i giovani che, per motivi familiari o di interessi personali, vanno subito al lavoro e magari tornano a studiare più tardi. Ma non può essere considerata la soluzione per la loro disoccupazione.
Tra i giovani che invece scelgono l’università, il 60% sono fuori-corso e, una volta laureati, restano a lungo inattivi o disoccupati. Sono stati definiti «costi sociali» e il governo ha pensato anche ad aumentargli le tasse…
Il ministro Profumo si è espresso con battute non proprio felici su persone che, in realtà, sono serissime. Si pagano per anni gli studi con il loro lavoro ma, in cambio, non ricevono alcun servizio, per gli atenei semplicemente non esistono. Bisognerebbe pensare a lezioni in orari dedicati, a tutoraggi, ma visto che all’università si taglia di tutto e di più, oggi nemmeno questo è possibile.
Le tutele della riforma del lavoro garantiranno i giovani dalla disoccupazione di lunga durata?
Forse la mini-Aspi servirà a proteggere qualcuno in più, ma resta il problema dell’esclusione della maggioranza dei lavoratori con contratti precari. Con le buone intenzioni di impedire la proliferazione di questi contratti, che nascondono un rapporto a tempo indeterminato, la riforma ha imposto vincoli che hanno peggiorato la vita delle persone. Nelle ultime settimane ho incontrato giovani furibondi. Se prima aspettavano una settimana tra un contratto e l’altro, adesso stanno fermi due mesi senza stipendio e senza mini-Aspi. Un po’ come accade alla Rai. In realtà la riforma Fornero è solo una razionalizzazione parziale dell’esistente, e non è riuscita a istituire il contratto unico che invece doveva essere il suo perno centrale. In Italia non c’è stata una riforma del mercato del lavoro vera e propria. Piaccia o non piaccia, una riforma avrebbe dovuto omogeneizzare i rapporti di lavoro precari. Una riduzione della frammentazione c’è stata, ma solo ai margini. Tutto è rimasto come prima.
Sta dicendo che la riforma del lavoro ha mancato i suoi obiettivi?
Quando il mercato del lavoro non tira, le imprese sono in crisi, i periodi di disoccupazione si allungano e non esiste nemmeno un reddito minimo di ultima istanza, è assai rischioso fare riforme di questo genere. Difficile sostenere la riduzione del tempo della protezione sociale e poi dire ad una persona che sono cavoli suoi. È ingiusto in generale, ed è pesante quando non si trova lavoro. In più è stato ridotto il ricorso alla cassa integrazione straordinaria e non è stato creato un sistema di protezione universale per tutti i lavoratori. In questa vicenda non bisogna dimenticare che la colpa è anche dei sindacati.
Perché?
Non erano tanto favorevoli all’unificazione del sistema di protezione. Non hanno molto combattutto per il reddito minimo, difendendo quel poco che è rimasto dell’esistente, senza nemmeno cambiarne la logica. Capisco che in una situazione di crisi si cerchi di difendere gli interessi costituiti per chi ce l’ha, però bisognerebbe avere uno sguardo lungo.
Conferma la sua posizione pro-reddito?
Oggi più che mai. Siamo uno dei pochi paesi al mondo a non avere un reddito minimo. In Brasile, un paese certamente più complesso del nostro, il reddito viene erogato a 63 milioni di persone, cioè all’intera popolazione italiana. Non vedo perchè non lo si possa applicare anche in Italia, con le cautele del caso. Abbiamo perso per l’ennesima volta il treno. Per il governo è stato facile sostenere che non c’erano soldi, tanto ci pensa la famiglia. Lo ha sostenuto anche Monti. Ma fino a quando la famiglia potrà sostenere questo sforzo non è chiaro. E, poi, chi non ha la famiglia giusta che cosa fa? «il REDDITO minimo viene erogato a 63 milioni di brasiliani, non vedo perché non lo si possa applicare
anche in Italia»
Il Manifesto 01.11.10