attualità, politica italiana

“La logica dello sfascio”, di Claudio Sardo

Pensavamo che era quasi impossibile fare peggio del porcellum. Ma Berlusconi e il Pdl stanno pensando di approvare un emendamento-trappola che ha il solo scopo di impedire al Pd di governare (o comunque di aumentare di molto il coefficiente di difficoltà), senza correggere alcuna delle mostruosità della legge elettorale. È un affronto, tanto più provenendo dalle stesse menti che hanno partorito nel 2006 questo sistema che non ha uguali in Occidente. È una porcata che va respinta non in nome di un’aspirazione di parte, ma dell’interesse del Paese di ricostruire una relazione efficace tra Parlamento, maggioranza e governo.
Se passasse questo piano scellerato i cittadini sarebbero comunque nell’impossibilità di scegliere i parlamentari, perché nulla cambierebbe sulle liste bloccate. Se passasse il piano non ci sarebbe alcuna limitazione alla frammentazione politica e al trasformismo parlamentare, perché lo sbarramento al 4% resterebbe aggirabile all’interno delle coalizioni. Se passasse il piano una sola cosa cambierebbe: il premio attualmente previsto per la coalizione prima classificata (che la fa crescere fino al 55% dei seggi della Camera) scatterebbe solo qualora venga superata la soglia del 40% o del 42% o del 45%. In caso contrario il Porcellum bis funzionerebbe come un sistema proporzionale puro.
Quali siano gli obiettivi del Pdl non ci vuol molto a comprenderli. L’area di centrosinistra impegnata nelle primarie è stimata nei sondaggi al di sotto del 35%. E le primarie costituiscono indubbiamente un vincolo politico: allargare le alleanze pre-elettorali a questo punto avrebbe un costo elevato, sia per il Pd che per eventuali interlocutori. La previsione di un risultato a due cifre del partito di Grillo completa poi lo scenario berlusconiano: senza premio, con un sistema proporzionale puro (dove persino la soglia di sbarramento può essere vanificata), l’esito di una coalizione destra-centro-sinistra potrebbe essere inevitabile. L’Italia verrebbe condannata all’emergenza, ad un governo forzato di grande coalizione. Molto probabilmente la sfiducia dei cittadini crescerebbe, insieme al distacco dalla cosa pubblica, ma Berlusconi, pur ridimensionato, pensa così di conservare almeno una piccola quota di potere tra le macerie. L’imbroglio del Pdl poggia su un giudizio espresso a suo tempo dalla Corte costituzionale: il premio di maggioranza senza limiti è di assai dubbia legittimità. Si tratta di una valutazione ineccepibile. Che per la politica seria avrebbe dovuto essere già da tempo motivo per una revisione profonda dei meccanismi elettorali. A cominciare proprio dalle liste bloccate, che stanno diventando un fattore di delegittimazione del Parlamento e dei poteri costituzionali. È un delitto far finta di non capire che anche questa è una vera emergenza. Sarebbe meglio evitare la strada delle preferenze. Anche perché i collegi uninominali avevano già riscosso un certo gradimento da parte dei cittadini: in ogni caso, è impensabile tornare alle elezioni con liste lunghe e bloccate, cioè con parlamentari «nominati». Chi non vuole cambiare, sta giocando al tanto peggio, tanto meglio. Del resto, Berlusconi non teme certo l’avanzata di Grillo: il suo obiettivo vero è impedire che dopo il suo fallimento emerga un’alternativa politica, è dimostrare che ha fallito la politica, non il suo governo. Tuttavia, la ricostruzione di un rapporto diretto tra cittadino ed eletto è condizione necessaria ma non sufficiente. La riforma del Porcellum è un’occasione per ridisegnare alcuni tratti del sistema, la cui torsione è stata causa non secondaria del disastro di oggi. La riforma del Porcellum è un’occasione che non si può perdere. In realtà, basta seguire uno qualunque dei modelli presenti in Europa per fare meglio, e rimettere in carreggiata la nostra democrazia. Ieri Roberto D’Alimonte, su il Sole 24 ore, ha avanzato una nuova proposta: si stabilisca pure che il premio di maggioranza per le coalizioni dichiarate prima delle elezioni scatti solo al di sopra della soglia del 40% ma, nel caso il premio non scatti, si attribuisca almeno al primo partito un premio di governabilità non inferiore al 10%. Non basterà a quel partito per costituire una maggioranza autosufficiente (il che è comprensibile, visti i consensi di partenza), ma si aiuterà almeno quel partito e il suo leader a comporre una coalizione coerente in Parlamento.
La proposta di D’Alimonte ha il pregio di raccogliere l’obiezione della Consulta, ma al tempo stesso di dare un’impronta europea al sistema. In tutti i Paesi d’Europa infatti i governi si formano attorno al leader del partito che ha preso più voti. E in tutti i Paesi d’Europa – si voti con il proporzionale o con il maggioritario, con i collegi o con le liste – sono i partiti i soggetti principali della competizione. Sostituirli con coalizioni coatte vuol dire aumentare il trasformismo, e non la trasparenza. Del resto, solo partiti dotati di una certa consistenza (guai a derogare sulla clausola di sbarramento) possono dar vita a maggioranze stabili.
L’Unità 05.11.12