attualità, pari opportunità | diritti, politica italiana

“Liste pulite, ecco la legge incandidabili i condannati fuori da Parlamento e Regioni”, di Liana Milella

“Liste pulite” subito. Anche per il voto nel Lazio, in Lombardia e in Molise a fine gennaio. È pronto — mancano solo gli ultimi ritocchi — il decreto legislativo con le nuove regole sulla non candidabilità a qualsiasi carica elettiva e di governo, pena l’immediata decadenza, di chi ha addosso una condanna definitiva per una pena minima di due anni. Cancellieri, Patroni Griffi e Severino sono stati di parola. Oggi i tre ministri — Interno, Giustizia, Funzione pubblica — si vedranno per chiudere il testo che, in settimana, passerà al vaglio di palazzo Chigi. Poi le commissioni parlamentari avranno 60 giorni per un parere consultivo che il governo è libero di accogliere o ignorare (come, in parte, è avvenuto per il taglio dei tribunalini). A quel punto il decreto sarà operativo. Se le elezioni regionali si terranno, come appare probabile, il 27 gennaio, c’è tutto il tempo per la piena operatività della legge. Che, merita ricordarlo, prevede anche la decadenza degli eventuali condannati eletti. Quindi i partiti, anche se il decreto non dovesse fare in tempo a diventare definitivo, non avrebbero alcun interesse a mettere in lista i condannati stessi per il Parlamento italiano ed europeo, Regioni, Comuni, Province, aziende e consorzi locali. Cartellino rosso anche per incarichi di governo.
Ieri è stata Anna Maria Cancellieri ad annunciare che il testo è «in gran parte pronto» e a garantire che sarà in vigore per le prossime elezioni. «È sicuro» ha detto il ministro dell’Interno riferendosi alle politiche. Ma, fatti rapidamente i calcoli, è evidente che nella corsa per le regionali i partiti dovranno tenere conto della nuova tagliola che sbarra la via ai condannati.
Dicevamo che i tre ministri sono stati di parola. L’impegno a fare il decreto «in una settimana» era già del 2 ottobre, tant’è che ne dette conto Repubblica, riferendo un colloquio al Senato tra Severino e Patroni Griffi sull’urgenza di far entrare subito in vigore la nuova regola. Cancellieri ha confermato la promessa presentando il rapporto sulla corruzione del collega Patroni Griffi. Lo stesso ha fatto Severino due giorni dopo il voto definitivo alla Camera sul ddl anti-corruzione di mercoledì. Qualche nodo tuttavia è aperto, e non di poco conto. Si cercano le formule giuste per fissare la durata dell’incandidabilità e l’effettiva lista dei reati compresi. Il primo problema verrà risolto graduando il tempo in rapporto alla gravità del reato commesso e della condanna subita. Di conseguenza
sarà più lungo, addirittura potrebbe essere definitivo come avviene per l’interdizione dai pubblici uffici, il periodo di stop per una condanna per mafia e terrorismo piuttosto che per un reato di minore gravità. Ma la regola, anche nel caso di una condanna a due anni, il minimo previsto, sarà di prevedere l’obbligo di far saltare comunque una legislatura.
Per la lista dei reati qualche problema c’è. La delega dice che devono essere compresi tutti quelli gravi e «di grave allarme sociale». La corruzione non è citata, ma si dà per compresa vista l’entità delle sue pene (fino a 15 anni per quella giudiziaria). Il problema è legato per l’ennesima volta a Berlusconi. Il quale, nel processo Ruby, è sotto processo per prostituzione minorile. Questo reato non rientra tra quelli che la delega prevede come obbligatori per la non candidabilità in caso di condanna definitiva. La delega parla di reati gravi, cita espressamente «i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale». Non cita il comma 3-quinquies in cui rientra il 600-bis, cioè la prostituzione minorile. Un caso? Anche in quella riga del ddl si celava una copertura per l’ex premier qualora dovesse cadergli addosso una condanna superiore ai due anni che ne metterebbe in discussione la candidabilità? È uno dei problemi che sarà dibattuto oggi, ma sul quale l’orientamento è quello di far prevalere l’entità della pena.
La Repubblica 05.11.12
******
“Non aspettiamo che la sentenza sia definitiva”, di Carlo Federico Grosso
Secondo indiscrezioni, il governo starebbe lavorando alla stesura del decreto delegato sulla non candidabilità dei condannati definitivi; l’intenzione sarebbe, addirittura, di approvare il nuovo testo legislativo in tempo utile già per le elezioni regionali di Lazio e Lombardia.
Se la notizia fosse confermata e, soprattutto, se l’iniziativa avesse successo, si tratterebbe di una dimostrazione ulteriore di efficienza di questo esecutivo.
Sempre secondo le indiscrezioni ricevute, la non candidabilità conseguente alle condanne penali avrebbe natura temporanea. Essa riguarderebbe, in particolare, i soggetti condannati in via definitiva ad una pena di almeno due anni di reclusione, ed avrebbe una durata doppia rispetto alla condanna ricevuta: quattro anni di sospensione per una condanna a due anni di reclusione, sei anni di sospensione per una condanna a tre anni, e via dicendo.
Ireati/ostacolo ad una candidatura sarebbero stati individuati, sostanzialmente, nell’ambito di tre tipologie: quelli previsti dall’art. 51 comma 3 bis c. p.p, quelli previsti dall’art. 51 comma 3 quater c. p.p., quelli previsti dal libro II, titolo II capo I c. p. Si tratta, fondamentalmente, delle seguenti categorie di illeciti penali: a) di reati gravissimi di tipo associativo, come le associazioni a delinquere finalizzate a commettere reati attinenti alla schiavitù delle persone, alla contraffazione di marchi o brevetti, al traffico di stupefacenti e al contrabbando, o le associazioni di tipo mafioso, nonché di reati altrettanto gravi come il sequestro di persona a scopo di estorsione e la riduzione o il mantenimento in schiavitù o in servitù e la tratta di persone; b) di reati di terrorismo; c) di tutti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
Che dire di fronte a queste indiscrezioni? Un giudizio esauriente sul decreto potrà essere espresso, ovviamente, soltanto quando ci si troverà di fronte ad un testo scritto in tutti i suoi dettagli. Già ora è tuttavia possibile formulare alcune valutazioni, talune sicuramente positive, altre ispirate ad una maggiore cautela.
Nulla da eccepire, innanzitutto, in merito all’indicazione, fra i reati la cui condanna è di ostacolo a una candidatura politica o amministrativa, dei reati associativi più gravi, degli ulteriori reati indicati nell’art. 51 comma 3 bis c. p.p. e dei reati di terrorismo. Perché, tuttavia, tali reati, e non altri reati «comuni» altrettanto, o addirittura più gravi? Qual è il criterio in forza del quale un condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione non può presentarsi alle elezioni e può invece, ad esempio, presentarsi l’autore di una violenza o di un altro reato contro la persona?
Il profilo più qualificante del decreto riguardaperaltro, sicuramente, l’inclusione, fraireati ostacolo ad una candidatura, di tutti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Tutti, anche quelli meno gravi, come l’omissione di atti di ufficio o l’abuso di ufficio, e non soltanto il peculato, la concussione e la corruzione. Si tratta, mi sembra, di un doveroso, importante, completamento della legge anticorruzione recentemente approvata in via definitiva dal Parlamento (e che prevedeva appunto, nel suo testo, la delega al governo per la definizione delle cause d’incandidabilità).
Anche qui, tuttavia, una domanda è d’obbligo. Perché circoscrivere a condanne superiori a anni due di reclusione l’ostacolo a candidarsi? Dato che i minimi edittali previsti nei confronti dei delitti contro la pubblica amministrazione non sono sempre elevati, e consentiranno frequenti condanne penali di minore entità, perché non abbassare quantomeno a un anno il livello delle condanne penali in grado di impedire di presentarsi alle elezioni? Dato che si tratta di reati commessi con abuso delle funzioni pubbliche esercitate, l’abuso mi sembrerebbe elemento di per sé in grado di impedire la sospensione temporanea del diritto di candidarsi.
Su un ulteriore profilo si potrebbe, infine, discutere: perché attendere, per applicare la sanzione d’incandidabilità, la sentenza definitiva, e non anticiparla invece al momento in cui viene pronunciata la sentenza di condanna di primo grado o quantomeno quella di secondo grado? Perché, mi si potrebbe rispondere, la Costituzione prevede che l’imputato deve essere presunto innocente fino alla condanna passata in giudicato, e, pertanto, fino a quel momento non lo si può ragionevolmente colpire con la limitazione di un suo diritto fondamentale. Accettiamo, nella prospettiva di questo giustificato garantismo, che le nostre assemblee elettive continuino ad essere, talvolta, zeppe di indagati e condannati di prima e di seconda istanza. Non potrebbero essere tuttavia, a questo punto, le stesse forze politiche ad autoregolamentarsi?
Al di là dei possibili rilievi, il testo che il governo si appresterebbe ad approvare costituisce comunque, rispetto alla situazione attuale, un grande passo avanti. Benissimo, pertanto, se esso verrà, come si prospetta, tempestivamente approvato. Che dire, tuttavia, se il governo cercasse di utilizzare gli ultimi scampoli di legislatura che l’attendono per fare approvare, magari con un decreto legge, quelle due/tre/ quattro ulteriori innovazioni che renderebbero la legislazione anticorruzione davvero incisiva a tutto campo nei confronti della corruttela dilagante?
Ci attendiamo dunque con ansia, dal ministro Severino, quantomeno i seguenti ulteriori provvedimenti, tutti, sibadi, diagevoleerapida confezione: l’abrogazione della Cirielli (per restituire tempi ragionevoli alla prescrizione), la reintroduzione del falso in bilancio, l’introduzione del delitto di autoriciclaggio, la riforma del voto di scambio.