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"Tenetevi il dolore pochi soldi per curarlo", di Mario Pirani

Sconcerto e delusione piovono per e-mail. Pezzi di Welfare sanitario, costruiti ad uno ad uno con fatica, vengono demoliti. I medici, ormai esasperati, scrivono ai giornali. Raccolgo brandelli delle loro voci. “Le scrivo dopo tanto tempo – mi dice il bravo Claudio Blengini, medico di famiglia a Dogliani (Cn) –. Come lei ricorda abbiamo fatto insieme a tante persone di buona volontà battaglie memorabili perché questo paese finalmente si dotasse di una legislazione civile per quanto riguarda il dolore e le cure palliative… Le scrivo ora perché ho la sensazione che la spending review e i conseguenti tagli alla Sanità stiano nei fatti vanificando il progetto che stavamo tentando di costruire in difesa dei malati sofferenti… Ho avuto modo di sentire in una recente trasmissione il livello degli stipendi dei grandi manager. In compenso seguitiamo a tagliare in Sanità dove sicuramente ci sono degli sprechi e usi inadeguati e impropri di risorse ma ci sono anche tante esperienze positive che sono cresciute o stanno crescendo e rischiano invece di naufragare… I tagli saranno lineari e colpiranno allo stesso modo esperienze efficaci e rami secchi. Si moltiplicheranno le riduzioni dei servizi per quadrare i conti. Aumenteranno ancora le liste di attesa dei centri per il dolore come se un paziente in precaria e dolente condizione potesse attendere un mese o due per essere trattato. Lei si ricorderà che noi medici di famiglia di questa zona del Piemonte avevamo cercato di organizzare un ospedale di comunità per i nostri assistiti ma vi abbiamo dovuto rinunciare perché l’amministrazione pretendeva una supervisione. Abbandonammo così un lavoro portato avanti per anni con passione, tutto diventò lungo degenza e ora, visti i tagli, anche questa sarà eliminata e sostituita da una semplice residenza assistenziale. È un gioco al ribasso… I più deboli saranno i primi a pagare. Altre vie ci sarebbero. Per l’intasamento dei pronti soccorsi basterebbe soltanto mettere un ticket su chi si presenta con richieste inutili e inadeguate. Ma dire questo rischia di essere impopolare, peccato che sia la sacrosanta verità”.
Passiamo dal Piemonte al Lazio. Il trionfo delle chiacchiere. Il nuovo grande ospedale Sant’Andrea nel 2003 venne eletto azienda di riferimento regionale per la terapia del dolore. Fu inaugurata la sala operatoria e le altre strutture necessarie. Purtroppo l’amministrazione si dimenticò che occorrevano nell’organico anche gli infermieri. Ora il Centro funziona a fatica due ore la settimana appoggiandosi a qualche infermiere volontario. D’altra parte gli infermieri rappresentano solo il potere che governa gli ospedali. Le unità operative sono assegnate agli infermieri, il numero dei capisala sono aumentati oltre il necessario, le direzioni sanitarie sono affollate d’infermieri promossi dai reparti di degenza agli uffici ad occuparsi di formazione e così via, quando la priorità dovrebbe essere quella assistenziale. La direzione come in tutti gli ospedali cerca di evitare scontri con il cosiddetto “comparto”.“Percontroseinostri infermieri rifiutassero lo straordinario o venisse loro impedito, il Centro di terapia antalgica dovrebbe venire chiuso del tutto”, conclude uno dei medici del Sant’Andrea.
In qualche altro ospedale le cose vanno meglio. Così un Centro di eccellenza che riesce ad applicare la legge 38 nel garantire l’accesso alle cure palliative è quello diretto dal prof. Antonio Gatti a Tor Vergata. In questo Centro i medici hanno l’obbligo di registrare il dolore, con dettagliate procedure, nella cartella clinica di ogni paziente che viene controllata ogni 4 ore giorno e notte. Fra tutti i vantaggi di una legge qui finalmente applicata vi è che questa consente di fare del dolore cronico, una vera e propria malattia, che quindi non può essere ignorata o sottovalutata come oggi spesso avviene. Un’attenzione particolare viene posta inoltre nel dolore post operatorio che viene preso in carico non appena terminata l’operazione dalla procedura antidolorifica. Fino a quando non occorrerà più la cura ospedaliera e il malato potrà essere gestito a domicilio.
La Repubblica 05.11.12