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"I malati della Ferriera, l'Ilva del Nord-Est", di Adriano Sofri

Luigi Pastore, è nato a Barletta, ha 57 anni, è perito agrario, lavora da operaio alla Ferriera di Trieste da 14 anni, e fino a 4 mesi fa. Perché 4 mesi fa ha scoperto di avere un linfoma di MalT, e quando lo incontro sta per finire un ciclo di chemio “pesantissima”, poi dovrà ripeterla ogni due mesi. “Ho pensato: viene il cancro proprio a me, che sono quello che rompe… Poi ho ripensato che attorno a me i miei amici andavano in pensione e dopo pochi mesi morivano. E guarda che si andava in pensione giovani, per l’esposizione all’amianto. In questi giorni di festa mi hanno telefonato due che lavorano con me: uno ha un tumore al cervello, uno allo stomaco”.

Sono venuto a Trieste spinto da una serie di motivi. È uscita, commissionata dalla Procura, una certificazione sulla diffusione dei tumori polmonari negli anni dal 1974 al 1994 fra i lavoratori della Ferriera: superiore del 50 per cento alla media fuori dalla fabbrica. 300 su 2.142. Una proporzione allarmante. Però è allarmante anche che dati simili vengano compilati (sui documenti Inail e Inps) oggi, e che si aspetti l’analisi epidemiologica che arrivi ai nostri giorni. E la Ferriera sta addosso a Trieste quanto e più dell’Ilva ai Tamburi tarantini.
È difficile capacitarsi di una città piena d’intelligenza e di competenze che abbia lasciato correre per tanto tempo, quando non abbia screditato chi denunciava. Un altro motivo mi ha spinto. A Taranto mi ero sentito ripetere tante volte: “Ci trattano così perché
stiamo qui, in fondo all’Italia: nel nord non avrebbe potuto succedere”. Non è vero. Sono equanimi, sfruttatori e inquinatori. Succede a Seveso, a Mantova, a Brescia, a Casale… Succede a Trieste.

La Ferriera, già Italsider, poi Pittini, poi Lucchini e Rubashov, poi delle banche, è oggi affidata a un commissario governativo, Piero Nardi. Racconta Pastore: “Ho lavorato in cokeria, altoforno, qualità, e da ultimo al parco ghisa. Il mio linfoma, guarda, non fumo da 15 anni, vita regolare, i dottori dicono che non hanno la prova ma il MalT non è da fumo, io penso alle diossine emesse alla qualità, sotto il camino 5. L’Inail mi ha riconosciuto la malattia professionale, prima la broncopatia, ora il linfoma. E non è facile, tutti badano all’economia. La loro economia: nessuno che pensi che la mia chemio costa 13 mila euro. Gli operai sono anche strani, hanno paura di farsi le visite per non scoprirsi malati. Io appena avuta la mia diagnosi ho fatto una specie di comunicato”.

Ogni posto così ha un matto fissato. Qui si chiama Maurizio Fogar, è l’animatore del Circolo Miani. È ascoltato dagli uni, inviso agli altri: “Un allarmista”, “Con lui non si può parlare: ripete sempre le stesse cose”. È vero, è una Cassandra, ripete da quindici anni che la Ferriera va chiusa, che sta lì solo per speculare e far ammalare, sospetta ovunque complicità o omissioni, deride “esperti” che scambiano il benzene col benzopirene. Solo che, alla luce dei fatti – la Ferriera ridotta da 2 mila a 450 dipendenti, e vicina a spegnersi, senza un serio piano di bonifica e conversione, la Sertubi fallita, l’allarme sulle malattie, soprattutto infantili – forse aveva ragione, con la sua fissazione.

A Trieste ha vissuto un medico (e scrittore) illustre e generoso, Renzo Tomatis, che diresse il Centro tumori di Lione – e vi morì nel 2007. Ricorda fiero Fogar: “Nella sua ultima uscita, era in pensione, parlò della salute a Trieste al Circolo Gerbec a Servola: ‘Siccome vedo in sala Maurizio Fogar, colgo l’occasione per scusarmi per il colpevole ed omissivo comportamento dei miei colleghi sul dramma della Ferriera in tutti questi anni…'”.

La differenza fra Taranto e Trieste sta nelle dimensioni: non delle città, che si somigliano e si assottigliano allo stesso modo precipitoso, ma delle fabbriche. L’Ilva ha 12 mila dipendenti, e quasi 20 mila con le ditte, la Ferriera 450, e un migliaio sì e no con le ditte. E poi la magistratura: a Taranto ha preso in mano il destino cittadino, a Trieste no. Quando le denunce hanno avuto un seguito, il reato perseguito era l'”imbrattamento”, passibile di una contravvenzione, come le scritte murali di Mario che ama Maria. (Nel 2010 furono bensì arrestati dirigenti della Ferriera Lucchini, e sequestrata una discarica abusiva di 360 mila tonnellate di rifiuti speciali e tossici, che interrano un vasto tratto di mare: ma l’iniziativa veniva dalla Procura di Grosseto).

Li trovo, Fogar e gli altri, davanti a un supermercato a ridosso della Ferriera, con le scatole da scarpe, chiedono di sottoscrivere un euro. In capo a tre giorni ne avranno raggranellati 800, buoni per le bollette più incombenti. Sono militanti inusuali, un medico, un’impiegata comunale, un operaio, un poliziotto, una maestra, un ufficiale marittimo. E Mario, ex postino, fuoruscito da due tumori, che andò a Roma a fare le selezioni da Bonolis e cadde alla domanda se Madonna avesse mai cantato in italiano: voleva dire no, disse sì, e tornò indietro, senza la vincita che avrebbe devoluto al Circolo.

Il Circolo sta in uno stanzone sul tetto, dal quale si domina – per così dire – la fabbrica, se ne fronteggiano fumi e vapori colossali, si spazza la polvere nera – “imbrattamento” – si guardano i bambini dell’asilo nido che giocano nel cortile. Si vedono anche i camini del cementificio e dell’inceneritore, tutti vicini, e il tratto di mare nel quale si vorrebbe piazzare un rigassificatore, a completare l’opera – ne ha scritto per Repubblica Paolo Rumiz. Fa freddo, le discussioni si fanno coi cappotti indosso, c’è un gran disordine di libri e ritagli, ma anche due piccoli acquari di pesci benvoluti. Fogar non smette mai di ricordare inesorabilmente date, episodi, dichiarazioni. La siderurgia è da tempo solo un pretesto, dice: l’acciaieria trasportata in Russia nel 2004, altoforno e cokeria servono solo a giustificare la Centrale di cogenerazione che utilizza i gas di risulta e, grazie alle agevolazioni “ecologiche”, vende l’energia elettrica a tre o quattro volte il prezzo ordinario, a spese del consumatore.

Una siderurgia che si morde la coda: esiste per produrre gas nocivi che siano impiegati a generare energia da vendere a tariffe maggiorate perché ha impiegato i gas nocivi. È l’affare che protrae l’esistenza della Ferriera, oltre a un altro regalo colossale, il privilegio di usare la banchina non solo per il carico e scarico di minerali, ghisa e coke, ma per terzi: un porto in concorrenza, la più conveniente, col vero porto, anche lui in piena crisi. Oltre che il serbatoio di voti, sempre più striminzito, ma ancora capace di far gola in una città in cui il lavoro agonizza.

Ma a questo punto la manovra politica è un esercizio di equilibrismo: promettere la continuazione della produzione e la sua cessazione, il lavoro e la salute, non insieme, ma spartiti, il lavoro agli uni e la salute agli altri, e peggio per tutti. A stare al ministro Clini – il quale ha dato un ultimatum di un mese per mettersi a norma, e se no dismissione: il mese è già passato – la Ferriera dovrebbe chiudere da un momento all’altro. (A proposito: Clini si specializzò in medicina del lavoro con una tesi sulla cokeria triestina).

Pastore: “Credi a me, a norma non c’è nemmeno un bullone. L’Italia ha bisogno di siderurgia, ma pulita. Questa è finita: e non è che la chiudano le istituzioni, come avrebbero dovuto, si spegne da sola, per esaurimento, e questa fine mi turba. Hanno raschiato il fondo del barile, e se ne vanno per non pagare le bonifiche. Non le farà nessuno. Io sono in malattia, ma sono tuttora Rsu, ho fatto il mio dovere. Ti faccio un esempio: si portavano le tute a casa, le mogli che le lavavano potevano ammalarsene. Ho ottenuto il lavaggio alla cokeria, poi agli altri reparti e alle ditte esterne. Non è vero che gli operai non segnalano le cose che non vanno.

Io non le segnalo a voce, e anche quando fu introdotto un modulo dall’azienda, in mano all’operaio restava solo uno scontrino, io facevo la copia della denuncia e la faxavo. Voglio rientrare per controllare che le cose siano a posto: col commissariamento vanno via le ditte, gli operai dovranno fare anche il loro lavoro, la fabbrica diventerà più pericolosa. Già, come diciamo noi, mettevano il fil di ferro, ora taglieranno corto”.

La Repubblica 14.01.13