attualità, politica italiana

"Tremonti senza pudore: è tornato il grande mistificatore", di Emilio Barucci

Non se ne sentiva proprio il bisogno, dopo il pifferaio magico Berlusocni, ricompare anche Tremonti il mistificatore della realtà. Con una violenta intervista a Panorama Tremonti maneggia i fatti a piacimento per dimostrare che le cose andavano meglio quando era lui a governare e si lancia in una dura invettiva contro Monti paragonandolo a un podestà dell’Italia per conto della Germania (gauleiter), un po’ come Mussolini lo era per Hitler. Vale la pena di sottolineare le brutalità del paragone: Monti sarebbe espressione di un potere autoritario incarnato dalla Germania. È facile immaginare quale sarebbe la sua politica europea: una guerra di liberazione dalla dominazione tedesca.
Nell’intervista Tremonti ci propone una personale ricostruzione della vita economica del paese negli ultimi anni. Una ricostruzione che suona più o meno cosi: fino a quando siamo stati noi al governo le cose andavano bene, la crescita non era male, il debito pubblico era sotto controllo, la coesione sociale era salvaguardata, poi nell’autunno 2011 la crisi si è abbattuta sull’Italia. Una crisi politica che ha trovato terreno fertile nella crisi dell’euro. Monti avrebbe solo aggravato la situazione.
Questa ricostruzione merita di essere discussa nel merito. Partiamo da un dato: Tremonti è stato ministro dell’economia dal 2001 in avanti per circa sette anni. Ebbene, sotto la sua regia, dal 2001 al 2005 il debito pubblico in rapporto al Pil è calato di appena tre punti (da 109 a 106), dal 2008 al 2011 è invece salito da 106 a 120. Nella sua prima esperienza, il tasso di crescita del Pil è stato pari appena allo 0.78% annuo, nella sua seconda esperienza è stato pari a -1.2%. Non regge la favola della tempesta perfetta della crisi dell’euro (che sarebbe causata da un’architettura europea costruita male): nel 2001 il Pil pro capite italiano era superiore a quello medio dell’area euro (118 contro 112), nel 2011 il Pil italiano è inferiore a quello medio dell’area euro (100 contro 108). Un dato impietoso. Non si tratta solo di una crisi politica ma anche economica strutturale. È l’ora di farla finita con la mistificazione del nemico
esterno (prima la globalizzazione adesso la Germania), la verità è che l’economia italiana negli ultimi anni ha subito una violenta ristrutturazione che non è stata per nulla governata. Tremonti ne porta ampia responsabilità per il tempo in cui è stato ministro e perché non ha mai messo in campo una vera politica economica per il paese. Nella sua azione ha avuto un solo obiettivo, quello di contenere il debito pubblico, un obiettivo che ha spesso perseguito con operazioni di ingegneria finanziaria, per il resto ha fatto ben poco. Da buon esperto di scienza delle finanze, ma privo di una vera cultura economica, ha solo curato i conti pubblici, le politiche per la crescita e i temi dell’equità non sono mai rientrati tra le sue priorità. Sotto la sua regia il governo dell’economia è stato gestito esclusivamente in una logica di potere a favore delle parti dell’elettorato che sostenevano il governo. Per cogliere la pochezza della sua proposta vale la pena ricordare la sicumera con cui Tremonti nel bel mezzo della crisi (agosto 2011) sanciva che la soluzione dei problemi dell’Italia passavano per la modifica dell’articolo 41 della Costituzione stabilendo che l’iniziativa economica è libera salvo quello che è espressamente proibito.
Veniamo alla capitolazione ingloriosa del 2011. Tremonti sostiene che la crisi italiana sarebbe stata politica. Non c’è dubbio che lo sia ma si scorda di dire che si è trattato di una crisi tutta interna alla maggioranza di centrodestra che oramai da un paio di anni era imballata per gli scandali giudiziari e privati del primo ministro. Un non governo che ha portato al dileggio internazionale e alle pressioni dei mercati finanziari. La verità è che nessuno in Europa credeva alla capacità di Berlusconi e di Tremonti di affrontare la crisi dell’euro. Certo Monti non ha salvato il Paese ma ha dato un contributo importante al recupero di credibilità internazionale, prova ne sia che nel novembre 2011 lo spread italiano era superiore a quello spagnolo di 150 punti base e che adesso siamo sotto di ben 90 punti. Ce n’è per dissentire su alcune delle sue misure ma di qui a paragonarlo a un gauleiter ce ne vuole. Di fronte ai problemi del paese sarebbe bene che chi ne porta le responsabilità recuperasse un po’ di senso del pudore e, forse, della realtà.

L’Unità 18.01.13

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