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La sfida dei cattolici a sinistra, di Claudio Sardo

È rimasto deluso chi sperava che l’incoraggiamento dei vertici ecclesiali a Mario Monti si trasformasse in un imprimatur alla sua lista, in un nuovo «partito dei cattolici». Come erano rimasti delusi coloro che invocavano un investimento della Chiesa sul centrodestra post-berlusconiano, magari per renderlo più simile ai teocon americani che alla Cdu tedesca. Il pluralismo delle opzioni politiche dei credenti è ormai una realtà. È lo scenario della sfida che hanno di fronte la Chiesa nella sua missione e i laici cattolici nella loro vita di cittadini. Peraltro i sondaggi segnalano che oggi è il Pd il partito più votato dai cattolici praticanti: e questo oltre ad essere uno stimolo per rafforzare l’identità di partito di «credenti e non credenti» e per sviluppare ancor più la ricerca di un «umanesimo condiviso» dimostra l’originalità italiana, dove il personalismo e il solidarismo cristiano sono stati, e sono tuttora, alimento fondamentale della cultura della sinistra.
Altro che «bipolarismo etico»! Se è vero che l’onda montante individualistico-radicale rischia di occupare tutti gli spazi della secolarizzazione, il pluralismo dei credenti può essere una risorsa a disposizione della società.
La recente prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al consiglio permanente della Cei esprime una forte consapevolezza di questa realtà. E anche una coscienza del ruolo nazionale della Chiesa, in un tempo in cui la crisi economica sta corrodendo il tessuto connettivo e il senso di comunità, in un tempo in cui la questione sociale indubbiamente si lega con la «questione antropologica», cioè con l’idea di uomo, del suo valore, della sua dignità, della sua vocazione altruistica e comunitaria. Il pluralismo dei cattolici, ha scritto Romano Prodi in un bell’articolo sul Corriere, ripropone il tema evangelico del «lievito»: sapranno essere i cattolici, nelle diverse forze politiche, una fonte di arricchimento civile, culturale, solidale della società italiana? E come? Per alcuni la diaspora politica è il certificato dell’irrilevanza cattolica, anzi dell’insignificanza. Ma l’impressione è che i più critici non sanno cosa cercare. Una nuova Dc? Un ritorno del «sociale» cattolico in chiave anti-statuale? Una presenza politica limitata alla battaglia sui «valori non negoziabili»?
Ci è sembrato di cogliere nell’intervento di Bagnasco una reazione a queste pulsioni, solo in apparenza battagliere, in realtà rinunciatarie. La sfida del pluralismo va affrontata con intelligenza e coraggio, pur in un contesto culturale dove l’apertura al trascendente, il senso di freternità, l’attenzione ai più deboli e alle generazioni future tendono ad essere svalutati. Il pessimismo cosmico dell’invincibile avanzata nichilista può forse essere figlio della ragione di un «ateo devoto», ma non della fede di un cristiano che vede negli uomini anche l’impronta di Dio. La fiducia contiene la fertilità. Anche quando la fiducia è iscritta nell’orizzonte oggi minoritario di una Chiesa che si scontra tante volte con gli interessi del mondo, oltre che con i propri peccati.
Nell’intervento di Bagnasco c’è, appunto, una sfida al pluralismo dei credenti. Non un rifiuto, non un invito a ridurre ad uno la complessità. Una sfida ovviamente difficile per la sinistra, e per i cattolici che militano nel centrosinistra. Ai quali Bagnasco non risparmia sferzate e mostra anche il terreno di possibili scontri futuri, a partire dalla legge sulle unioni civili. Eppure anche se il riconoscimento dei diritti e dei doveri delle coppie gay potrebbe essere destinato a produrre una contrapposizione con l’eventuale governo Bersani la sinistra non può non confrontarsi con gli argomenti del presidente della Cei. Anzitutto con il suo assunto di fondo: nella nostra società è «l’individualismo la madre di tutte le crisi». Se la coscienza di essere individuo è stata negli ultimi due secoli un vettore dell’espansione dei diritti, sociali e civili, oggi la persona rischia di essere stritolata dall’egoismo dei più forti e dalla solitudine sia della sconfitta che del successo. Nella moltitudine c’è l’uomo solo: invece è la comunità che ridà dignità alla persona. Come non vedere il filo robusto che lega il primato della finanza, l’ideologia liberista dominante, la pretesa di autoregolazione delle tecnoscienze, le leggi inviolabili del mercato, il prezzo drammatico della povertà e della diseguaglianza, l’impoverimento dei corpi intermedi (a partire dalla famiglia che è il nucleo primario).
Ma non si possono contrapporre i temi della biopolitica alle emergenze sociali: giustamente il cardinale Bagnasco li ha collocati sullo stesso piano. E non si può dire che sui primi i cattolici sono tenuti a prescrizioni assolute, «non negoziabili», mentre sui secondi la realtà è così complicata da relativizzare ogni risposta politica. A questo proposito, forse, qualcuno pensa di aver trovato la tattica per mettere in fuorigioco i cattolici che scelgono il centrosinistra. I «principi irrinunciabili» (questa la formula usata nel famoso documento del 2002 della Congregazione della dottrina della fede, e non «valori non negoziabili») hanno da sempre costituito per i cattolici i presupposti della loro azione civile, politica, sociale, ma quando sono entrati nelle diverse culture e nei diversi ordinamenti hanno conosciuto inevitabili mediazioni. Non si tratta di cedimenti: e infatti non sarebbe il cristianesimo la radice principale della civiltà europea e occidentale se ciò non fosse accaduto.
Ora si obietta che l’aggressione riguarda l’identità stessa dell’uomo, la sua natura. Ed è per questo che la mediazione va ridotta al minimo. La manipolazione genetica, la svalutazione della vita, la potenziale onnipotenza della scienza, il mercato della cura: tutto ciò richiederebbe una battaglia difensiva, rigorosamente oppositiva. A queste obiezioni, certo, la sinistra non può rispondere tornando a separare la questione sociale dalla questione antropologica, magari con ragioni opposte ai teocon. Non può dire, pena una smentita dell’umanesimo che sta nelle sue radici, che occorre far fronte comune sui temi dell’uguaglianza e della giustizia sociale mentre invece sulla biopolitica si deve procedere in ordine sparso, o peggio rinunciare ad un punto di vista critico che favorisca il progredire della scienza ma al tempo stesso ne colga il limite: tutto ciò esattamente in nome dell’uomo, anzi della persona e della sua libertà.
Insomma, la sfida di tenere insieme uguaglianza, giustizia sociale, moralità, pace e vita non è solo dei cattolici di sinistra, ma di tutta la sinistra. E bisogna dire la verità: l’individualismo è penetrato in ogni schieramento politico, nessuno escluso, trainato dall’egemonia liberista dell’ultimo trentennio. Per questo il contributo maggiore che la cultura cattolica può dare alla sinistra è di tenere alta la guardia nei confronti della vulgata liberista. Tutto il contrario del moderatismo: i cattolici possono aiutare la sinistra ad essere sinistra, più fedele al senso di giustizia, più attenta ai deboli e agli ultimi, sempre pronta a domandarsi cosa serve all’uomo concreto affinché la libertà diventi autentica comunità.
In questa chiave il valore della vita è oggi un prisma con molte facce: la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, la valorizzazione della personalità e della diversità femminile, la lotta alle povertà, alle ingiustizie, alle disuguaglianze, i diritti dei giovani ad avere un futuro, i limiti al potere della finanza e del mercato, la necessaria mitezza del diritto quando affronta i temi sensibili della sofferenza, della malattia, della non-autosufficienza, l’integrità del corpo, il rispetto delle volontà, il primato del diritto del bambino sui desideri degli adulti. Non può esserci separazione per chi guarda la società dal basso e non dall’alto, delle élite o del potere.
Tutto questo è il contrario della conservazione. È la speranza di un cambiamento profondo, quasi di una rivolta contro il conformismo dominante. In questa ricerca di un «umanesimo condiviso» che naturalmente vada oltre il Pd e il centrosinistra e ispiri il lavoro di ricostruzione nazionale abbiamo un punto di riferimento forte, una stella polare. È la Costituzione italiana. Verrebbe da dire, come ha fatto Domenico Rosati su questo giornale, che nella Costituzione ci sono i nostri «principi irrinunciabili». Insieme laici e cristiani, come dice la storia di quelle pagine vitali. Esse hanno il pregio di essere già stati condivisi. Partiamo da lì. La Costituzione ci spinge verso politiche sociali più efficaci a favore delle famiglie in carne e ossa, dopo decenni di colpevole trascuratezza. E al tempo stesso la Costituzione garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità: per questo il riconoscimento dei rapporti affettivi delle persone omosessuali ha esso stesso un senso umanistico, in quanto affianca ai diritti dei doveri reciproci e dà valore alla stabilizzazione delle relazioni. Non basteranno poche parole a fermare un probabile conflitto, ma in nome dell’uomo si può cercare ancora. Insieme.

Da L’Unità