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La nostra vergogna, di Carlo Verdelli

Non è vero che il mondo è piccolo, non sempre. Non per i gay. Negli stessi giorni, nello stesso mondo, accadono cose opposte e lontanissime. E stanno accadendo tutte insieme. Tranne che in Italia, dove pure è in corso una campagna elettorale dove di tanto si parla, e si sparla, meno che di diritti civili, messi ai margini del dibattito per evitare, specie a sinistra, crepe nelle coalizioni. Eppure, altrove, la materia è incandescente. A tal punto che persino il Vaticano, proprio l’altro ieri, si è sentito in dovere di aprire uno spiraglio nel portale di San Pietro: il suo ministro della Famiglia, monsignor Paglia, ha detto che anche le coppie omosessuali hanno dei diritti. Diritti privati, bene inteso, in campo patrimoniale, per esempio, terreni limitati, comprensibilmente, che però “la politica”, esorta Paglia, “deve cominciare a percorrere tranquillamente”. Notare il verbo: “deve”.
In molti, indipendentemente dalle confessioni o dall’appartenenza politica, stanno già dando o hanno già dato. In Francia, il primo ministro Hollande (da sinistra) sta forzando i tempi per l’introduzione di matrimoni e adozioni gay. In Gran Bretagna, il primo ministro Cameron (da destra) sta sfidando il suo stesso partito per approdare allo stesso risultato e ieri alla Camera dei Comuni ha vinto il primo round. Per entrambi i leader, il peso di questa scelta è gravosissimo: piazze in rivolta, anatemi dei cattolici, costi politici imprevedibili. Ma il principio, evidentemente, prevale sul calcolo. E il principio è lo stesso evocato dal presidente Obama nel discorso per l’insediamento del suo secondo mandato: “Il nostro viaggio non sarà finito finché i nostri fratelli e sorelle gay non saranno trattati come tutti gli altri, per legge”. Una nuova frontiera, indicata con la potenza di parole, politiche e profetiche insieme, che si riannodano a quelle di Abramo Lincoln (1863) dopo la guerra di Secessione e l’abolizione della schiavitù (“Decidiamo qui, oggi, che questi morti non siano morti invano”) o alla storica perorazione, cent’anni dopo, di Martin Luther King: “Ho un sogno: che i miei quattro figli vivano un giorno in una nazione dove non siano giudicati dal colore della pelle ma dalla sostanza del carattere”. Il bianco come il nero. L’uomo come l’omo. Nelle stesse ore in cui Obama lanciava sul mondo, compreso quello musulmano, un’idea molto più esplosiva di una testata nucleare, il presidente russo Putin spingeva la sua Duma ad approvare una legge che vieta di fornire ai minorenni informazioni sui gay, mettendosi gagliardamente sulla strada di quegli 80 Paesi in cui l’omosessualità è considerata reato (e in 8 di questi, tra cui Iran, Arabia Saudita, Nigeria, punita con la pena di morte). Per un curioso gioco di specchi, sempre in concomitanza con la promessa epocale del presidente americano, il politico italiano forse più stimato
fuori dall’Italia, America compresa, e cioè Mario Monti, battezzava così la sua salita in politica, almeno per quel che riguarda i diritti civili: “ Il mio pensiero è che la famiglia sia costituita da un uomo e una donna, e ritengo necessario che i figli crescano con un padre e una madre”. Lo stesso concetto che Papa Ratzinger, poche ore dopo, ribadiva con più alate parole: “La reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura umana voluta dal Creatore. No a progetti in contrasto con l’antropologia cristiana”. Sarà una coincidenza, ma più o meno nelle stesse ore la commissione Giustizia della Camera bocciava il testo per una nuova legge contro l’omofobia. In Italia, dal 1993, sono punite tutte le discriminazioni immaginabili (razziali, religiose, etniche) ma non quelle sessuali. I “peccati” da noi si espiano, non si legittimano. E i “peccatori” si rassegnino. Oppure, se ne hanno la facoltà, denuncino il clima non favorevole nel quale sono costretti a vivere, come ha fatto ieri Niki Vendola su “Il fatto”, dove ha confessato di aver paura di uscire la sera a Roma da solo: la sua omosessualità pluridichiarata lo mette in pericolo “di fronte a piccoli gruppi fascisti, sdoganati negli anni del sindaco Alemanno e dediti all’igiene della società”. Eppure Vendola è un bastione di quel centrosinistra che si candida a governare il Paese, con buone possibilità di riuscirci. E che idea ha, quel centrosinistra, a proposito del fermento egualitario che sta attraversando l’Europa? Per ora, una soltanto: il riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, al pari di quel che già c’è in molti Paesi tiepidamente progressisti come Germania, Finlandia, Svizzera. Altrove, sono avanti di un pezzo. Dall’inizio degli anni Duemila, sono già otto i Paesi europei che hanno superato la divisione uomo-omo, dando il via libera a nozze e adozioni; tra questi, le molto cattoliche Spagna e Portogallo. Persino in Albania si può, nonostante la maggioranza musulmana e un premier conservatore. Stessi pari diritti in Argentina, Canada, Sudafrica. Di fronte a questa accelerazione globale, a questo movimento che marca ancora di più un’aspirazione concreta all’uguaglianza anche in un terreno minato e delicato come quello della sessualità, e più in generale, dell’uguaglianza, l’Italia elettorale, nel migliore dei casi, prende tempo. Quando è possibile allontana il problema, come nel caso di Paola Concia, deputata uscente del Pd, lesbica sposata all’estero, solo a fatica candidata nelle liste del suo partito, grazie anche alle proteste di un’ampia area variamente liberal (dal giurista Guido Rossi alla sociologa Chiara Saraceno, a Mara Venier). Altra soluzione: riparlarne dopo il voto, come se quello dei diritti civili fosse un argomento da eventuali e varie. Per capire quanto non lo sia, oltre al finimondo che si sta scatenando da Parigi a Londra a Washington, basterebbe riflettere su una frase dal cuor sfuggita a Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. Rivolgendosi a un gruppo di amici prima dell’esordio di Balotelli al Meazza di Milano, li ha sollecitati a seguirlo allo stadio con queste parole: “Andiamo a vedere il negretto”. Viene in mente l’immenso Mohammed Alì: “Allora il cameriere mi fa: noi non serviamo negri. Gli dico: comunque non li mangerei”. Una certa idea dell’Italia pretenderebbe una risposta così anche per i gay.
Da La Repubblica